3. Leonardo Bruni: uomo, Dio e mondo alle soglie del Rinascimento

di Luca Bianchi

3.1 Storiografia e orazioni

Leonardo Bruni nasce ad Arezzo nel 1370 e muore nel marzo 1444. Cancelliere della Repubblica di Firenze dal 1427 alla morte, ma anche autore di eleganti composizioni latine, Bruni si segnala per le sue orazioni, di argomento sia religioso sia politico, oltre che per l’opera storiografica (i dodici libri delle Storie fiorentine, la cui stesura lo accompagna per tutta la vita). Rifacendosi a modelli greci, Bruni vi esalta la bellezza, la virtù e i successi politico-militari di Firenze, assurta a simbolo di una repubblica ideale, reincarnazione dell’antica pólis greca e baluardo contro la tirannide. Governata dalla legge e fondata sui principi dell’uguaglianza e del merito, Firenze gli appare come una nuova Atene, patria della civile convivenza chiamata a svolgere una duplice missione: in ambito politico, difendere la pace e la libertà dell’intera Italia; in ambito culturale, diffondere nel mondo intero gli studia humanitatis dopo secoli di barbarie intellettuale, di corruzione linguistica, di disprezzo per i saperi veramente “umani”.

3.2 L’opera di traduttore

Fra le tante traduzioni in latino curate da Bruni, spicca per il successo registrato quella dell’Epistula ad adolescentes (o De utilitate studii) del grande Padre della Chiesa greco Basilio (330-379), terminata entro il 1403 e dedicata a Coluccio Salutati. L’elogio che Basilio aveva fatto dello studio dei grandi autori pagani, in particolar modo dei poeti e di Platone, ritenuti utili alla cultura cristiana, rappresenta il motivo ispiratore della lunga e influente opera di traduzione dei “classici della filosofia” che Bruni intraprende nel 1404-1405 e prosegue per oltre trent’anni.

In un primo tempo, Bruni rivolge la sua attenzione a Platone, le cui opere erano solo in minima parte note al medioevo, e realizza eleganti versioni latine del Fedone (1404-1405), dell’Apologia di Socrate (1404-1409), del Critone (1404-1409), del Gorgia (1409) e delle Lettere (1427). Traduce inoltre frammenti del Fedro (1424) e del Simposio (1435), nonché l’Apologia di Socrate di Senofonte.

Una teoria della traduzione

Non minore attenzione viene riservata alla filosofia pratica di Aristotele, di cui Bruni traduce prima l’Etica Nicomachea (1416-1417), poi gli pseudo-aristotelici Oeconomica (1420), infine la Politica (1436-1438). Pur se accolte favorevolmente da un vasto pubblico, come testimonia l’elevato numero di manoscritti e di edizioni a stampa, queste traduzioni suscitano aspre controversie. Un non meglio identificato Demetrio, Battista de’ Giudici (?-1483 ca.) e Alfonso di Cartagena (1384-1456) prendono le difese delle versioni medievali, giudicate meno eleganti ma più accurate; criticano Bruni per lo scarso rigore e l’imprecisione terminologica della sua versione e, in particolare, contestano la sua resa di alcuni concetti chiave. Nasce così, intorno al 1420, il De interpretatione recta: un opuscolo dalle dichiarate finalità autodifensive, che nondimeno rappresenta una delle più approfondite discussioni teoriche sul “tradurre correttamente” che la cultura occidentale abbia prodotto. In aperta polemica con il metodo della traduzione “parola per parola” (ad verbum), spesso adottato nel medioevo, Bruni difende una tecnica di traduzione più libera, capace di cogliere il significato complessivo del testo aristotelico e di restituirne sia il contenuto concettuale sia la forma stilistica, senza violare “la purezza del discorso latino” inquinandolo “con espressioni greche o barbare”. Tuttavia, egli appare pesantemente condizionato da pregiudizi classicisti, che lo portano a considerare “non latina” qualsiasi parola non utilizzata da autori come Cicerone o Quintiliano (35 ca.-96); finisce, suo malgrado, per introdurre una notevole confusione nella resa dei termini tecnici, incoerentemente sostituiti da una molteplicità di sinonimi e circonlocuzioni, mettendo al bando non solo i loro più ostici calchi dal greco, ma anche vocaboli ormai entrati nell’uso comune, come politica e democratia.

Ciononostante Bruni mira a coniugare le esigenze, fra loro conflittuali, dell’eleganza e della fedeltà e si vanta di non aver aggiunto o tolto “una virgola o una iota al pensiero di Aristotele”, proponendo ai traduttori di calarsi completamente nell’opera che stanno affrontando, fino ad essere “rapiti” dalla sua forza espressiva. Egli confida, per parte sua, di poter fornire a quei lettori “che usano il latino ma ignorano la lingua greca” veri surrogati dei testi originari.

3.3 Le opere filosofiche e “l’umanesimo civile”

Le maggiori opere filosofiche di Bruni sono i Dialogi ad Petrum Paulum Histrum, risalenti al 1405-1406, e l’Isagogicon moralis disciplinae, un’introduzione alla filosofia morale scritta in forma dialogica forse nel 1423. Oltre a offrire una brillante descrizione delle discussioni che si svolgevano presso il circolo del Salutati, i Dialogi contengono una vibrante denuncia della cultura scolastica, del suo (presunto) abuso del principio di autorità, della sua inhumanitas derivante sia dallo scarso interesse per l’eleganza espressiva sia dall’attenzione, che Bruni considerava eccessiva, per le problematiche logiche e fisiche.

Ripresa da Aristotele l’idea che l’uomo è “animale politico”, Bruni si dichiara contrario a ogni scelta di vita solitaria, polemizzando sia contro un’interpretazione monastica e ascetica della vita religiosa, sia contro una lettura in chiave puramente letteraria ed estetizzante degli ideali umanistici: di qui, fra l’altro, la sua predilezione per Dante, ritenuto, dal punto di vista “civile”, superiore a Petrarca.

Il problema morale

Nell’Isagogicon moralis disciplinae, concepito come un compendio dell’etica aristotelica, Bruni ribadisce la centralità del problema morale, sviluppando nuovamente la polemica antiscolastica: riecheggiando motivi introdotti dal Petrarca, egli osserva che per “ben vivere” non è necessario tanto conoscere “le cause della brina, della neve, dei colori dell’iride”, ma la natura del sommo bene e gli strumenti che consentono di esercitare la virtù, non solo nella vita privata ma soprattutto nella vita civile. Inoltre egli propone una conciliazione fra le principali scuole filosofiche. A suo avviso, infatti, la concezione aristotelica del sommo bene non sarebbe affatto in contrasto con quella stoica e con quella epicurea: sia la pratica della virtù, raccomandata dagli stoici, sia la conoscenza e la contemplazione del vero, sulla quale aveva tanto insistito la tradizione aristotelica, porterebbero con sé “immensi piaceri”, assimilabili a quelli ricercati dagli epicurei. Si apre così la strada ad una valutazione positiva dell’insegnamento di Epicuro, la cui ricerca del piacere sarebbe al contempo una ricerca di “giustizia, temperanza e prudenza”; ma ciò avviene nel quadro di una più generale rilettura del nesso, caro alla cultura umanistica, fra vita attiva e vita contemplativa.

Non meno originale di questo sforzo di trovare un accordo fra l’etica aristotelica, quella stoica e quella epicurea è il tentativo di sminuire le divergenze fra la concezione pagana e quella cristiana della vita. Pur ammettendo che la prima ricercava “il frutto della virtù in questa vita quale fine supremo”, mentre la seconda indica “il fine di un’altra vita”, Bruni sostiene che non solo nel modo di considerare i vizi e le virtù, ma anche “in ciò che sembra appartenere specificamente alla cristianità”, i filosofi antichi “concordano con noi, pensando, prescrivendo e insegnando le stesse cose”.

Teorie del potere nell’umanesimo italiano

Il principato

Nel Quattrocento la situazione italiana vede la fine del sogno della “politica dell’equilibrio”; è una battuta d’arresto nel quadro del processo storico che, nel Nord Europa, avanza verso la formazione degli Stati nazionali. Questa evoluzione europea viene favorita da un progressivo decadere degli opposti universalismi: il papato e l’impero. I nuovi corpi sociali che lentamente erodono istituti e simboli universalistici, in Italia assumono una forma distante dall’autocrazia: la repubblica cittadina. La costruzione delle nuove sovranità trova un fondamento teorico grazie alla riscoperta e alla diffusione dell’Aristotele politico, il cui linguaggio condiviso contribuisce a fondare una nuova “arte politica”. Essa definisce le caratteristiche dello Stato (inteso come complesso di istituti e leggi) oltre che i requisiti di principi e reggenti.

L’umanesimo

Se è vero che l’umanesimo è il prodotto del sistema italiano delle città-Stato, esso fin dalle sue origini si presta a legittimare e sostenere lo status quo dei molteplici regimi vigenti, tra repubbliche, principati e regni. Il nuovo statuto della retorica e degli studia humanitatis determina un radicale mutamento nelle forme e nei contenuti della letteratura politica e un diverso ruolo del letterato. Petrarca, ad esempio, insistendo sugli ideali romani della gloria mondana e della fama, sostiene che la “gloria deriva naturalmente dall’amore per la virtù”, e per delineare questa virtus principesca ricorre a tre fonti principali: il De officiis ciceroniano, la Politica di Aristotele e il diritto romano. Coluccio Salutati, cancelliere dal 1375 al 1406, esalta invece la Florentina libertas in opposizione alla nemica tirannide milanese dei Visconti, e forgia l’ideale umanistico dell’uomo politico, servitore della patria, amante della libertà e obbediente alle leggi.

Con Leonardo Bruni l’esaltazione della vita attiva e dell’impegno civile trova il suo apice, e nel contempo la linea repubblicana assume una nettezza senza precedenti. Con l’uso delle traduzioni, del dialogo, e della storiografia, il programma di Bruni mira a “laicizzare” la morale e la politica operando una saldatura tra cultura e vita civile.

La rottura tra intellettuale e potere

Landino, Leon Battista Alberti, Alamanno Rinuccini, Marsilio Ficino, in soggiorno estivo presso il monastero di Camaldoli insieme a Lorenzo e Giuliano de’ Medici, intrattengono animate discussioni sull’opposizione tra il modello della vita attiva e quello della vita contemplativa. Adottando il punto di vista neoplatonico di Ficino, si decreta la supremazia della vita contemplativa mediante una conciliazione tra letteratura umanistica e teleologia cristiana. Si consente così al letterato, nella mutata scena politica fiorentina segnata dal “buon governo” di Lorenzo de’ Medici, di riacquisire prestigio vestendo i panni, anche se politicamente depotenziati, di dotto consigliere o segretario di corte, modello poi consolidatosi dai primi del Cinquecento. In questo contesto, il ripiegamento nella dimensione privata e nella quiete degli studi diventa, in questi intellettuali, una diretta conseguenza del venir meno di ogni protagonismo politico del letterato e della constatazione della negatività del potere.

La “soluzione principesca”

La trattatistica del secondo Quattrocento mira a consolidare la posizione dell’umanista nelle corti italiane come consigliere del principe. A partire dagli anni Sessanta fioriscono una serie di scritti nei quali si forma un canone di virtù – filantropia, pietà, moderazione, giustizia, amore per la verità –, che si affianca a quello platonico classico delle quattro virtù fondamentali: saggezza, coraggio, moderazione e giustizia.

Il polo principale della soluzione cortigiana al problema del potere principesco è il regno aragonese. Lorenzo Valla apre per primo la strada all’uso politico e religioso della filologia con il De falso credita et ementita Constantini donatione (1440), che demolisce le pretese papali di dominio temporale.

Nel De principe di Giovanni Pontano si arriva a conferire una piena dimensione cortigiana al rapporto tra umanisti e principato. Qui il livello della riconciliazione umanistica con il potere principesco prende la forma di una vera e propria precettistica che anticipa la letteratura di corte cinquecentesca di Castiglione (1478-1529) e di Guazzo (1530-1593). Il fulcro teorico dell’opera è racchiuso nell’elencazione delle virtù del sovrano ideale, le cui finalità sono la pace e il contenimento del popolo: la sua autorità si fonda soprattutto sulla virtus, che si declina principalmente in virtù umane come la liberalità e la clemenza.

LETTURE

La formazione dello Stato moderno

LETTURE

L'eredità della tradizione politica medievale da Tommaso d'Aquino a Wyclif