Con Galileo si aprirà la rivoluzione scientifica vera e propria, contemporaneamente a una rinnovata riflessione metodologica destinata a travolgere, in pochi anni, tutto l’impianto della filosofia naturale aristotelica.
La questione del “metodo” è il crocevia della modernità da cui si dipartono le vie, talvolta parallele, talvolta divergenti, della tecnica, della scienza e della filosofia. La questione è moderna anche se la parola è antica: un’eredità platonica che conoscerà il suo momento di gloria dopo il Discorso sul metodo di Cartesio. Prima, più che di un metodo generale della scienza, si parlava come Bacone di un Nuovo organo, cioè di una nuova logica, o di una serie di procedure, come le galileiane “sensate esperienze” e “certe dimostrazioni”, destinate a creare un sapere scientifico degno di questo nome. Ma il trionfo, largamente postumo, dell’operetta cartesiana ha fatto passare in secondo piano le altre espressioni linguistiche di quello che fu, nei fatti, un movimento collettivo e per niente riducibile ad un’unica personalità. Si trattò peraltro di un movimento tutt’altro che uniforme, anzi attraversato da forti contrasti e da differenze evidenti, anche se spesso sottostimate nelle rappresentazioni trionfalistiche dell’avvento della scienza: scienza che fu insieme baconiana, galileiana e cartesiana (prima di essere definitivamente newtoniana) e spesso senza consapevolezza di quanto potenzialmente contrastanti fossero queste spinte interne.
Un avvento rapido, quello della scienza moderna, ma tutt’altro che inspiegabile. Il declino e la crisi della scienza aristotelica è un processo lungo e sinuoso. Dietro la facciata di un aristotelismo largamente imperante, destinato a resistere nelle università almeno fino alla fine del Seicento, agiscono fermenti diversi, sorti nel terreno fertile della meccanica e delle scienze applicate. Ma perché si giungesse a una rifondazione generale del sapere occorreva una rottura netta rispetto alla tradizione aristotelica, che si avrà soltanto tra la fine del Cinquecento e la prima metà del secolo successivo.
All’origine del dibattito sul metodo, la posizione di Bacon ha qualcosa di paradossale: nelle sue opere, riconosciute come inaugurali della questione del metodo della scienza, non si trova una sola scoperta scientifica degna di questo nome. Non solo: la sua estraneità al filone più innovativo della scienza moderna, l’astronomia, lo vede in controtendenza rispetto al movimento che attraversa la cultura europea in quegli anni. Ma ciò che Bacon ha chiarissimo, e che costituisce il suo segno nella cultura europea moderna, è il rapporto inscindibile tra esperienza e scienza e, di ritorno, tra scienza e tecnica, e quindi tra scienza e società. La scienza non è pura contemplazione delle cose ma osservazione diretta della natura da cui si traggono gli strumenti per un intervento diretto nella e sulla natura stessa, in nome del benessere collettivo dell’umanità.
Con Galileo Galilei si aprirà la rivoluzione scientifica vera e propria, contemporaneamente a una rinnovata riflessione metodologica, in un unico impulso rinnovatore destinato a travolgere, in pochi anni, tutto l’impianto della filosofia naturale aristotelica. Come spesso accade nella storia delle idee, i singoli elementi della svolta sono già presenti nella cultura precedente: la rinascita della matematica e lo studio delle sue applicazioni pratiche, l’attenzione per il lavoro degli artigiani e per le loro macchine, l’importanza degli esperimenti e dell’aspetto empirico della ricerca. Ma Galileo riesce ad unire questi variegati elementi in modo indissolubile e senza più alcun compromesso di scuola.
Cartesio ha un approccio più sistematico: pensa al metodo non come a un insieme di mere procedure valide in questo o quel settore della ricerca ma come a delle norme vigenti in ogni campo del sapere, dalle più astratte riflessioni metafisiche fino alla morale ed alla medicina. L’ideale di Cartesio è quello dell’unità della scienza, che costituirà la svolta della filosofia moderna: oggetto di studio della filosofia, prim’ancora dei vari fenomeni naturali o intellettuali, sarà la mente stessa. Con il che viene posto un obiettivo quanto mai ambizioso: riunificare tutto il sapere umano sotto un unico principio al contempo metodologico e metafisico: il celebre cogito ergo sum costituirà questo principio fondamentale, da cui scaturisce l’intero sapere.
La crisi del cartesianesimo nella seconda metà del Seicento ha varie motivazioni, ma tra esse la più importante sta nella sconfitta che la scienza di Cartesio conosce a opera di Isaac Newton e degli scienziati da lui ispirati. Newton sostiene di “non fingere ipotesi” e di affidarsi unicamente all’induzione. Ma al contrario di quella di Bacone, l’induzione di Newton suppone una scienza già matura. I fenomeni da cui parte non sono semplici osservazioni dirette, ma leggi matematiche ormai stabilite, come le leggi planetarie di Keplero e quelle di Galileo sulla caduta dei gravi. Nei Principi matematici della filosofia naturale (1687), Newton compirà una geniale riunificazione normativa, subordinando entrambi i corpi di leggi al principio della gravitazione universale, da cui poi deduce tutti gli altri teoremi fisici, in un impianto destinato a resistere nelle sue strutture portanti almeno fino ad Einstein.