La tradizione scolastica prosegue durante tutto il Seicento. I luoghi in cui si sviluppa sono principalmente le università, sia dell’Europa cattolica che del Nord Europa (si può infatti parlare di una scolastica luterana e calvinista). L’oggetto di studio di tale tradizione sono i testi di Aristotele, in particolare la Metafisica. Animano il dibattito scolastico le controversie teologiche, soprattutto all’interno del mondo cattolico, tra gesuiti e domenicani.
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L’interazione della filosofia universitaria con il pensiero della modernità
Nel Seicento, la grande corrente di pensiero sorta in Spagna negli anni del concilio di Trento e diffusasi in tutta Europa grazie all’opera dei gesuiti, la cosiddetta “seconda scolastica”, perde molta della sua forza teoretica e si riproduce quasi esclusivamente nell’insegnamento nelle università. In tal senso, essa si sviluppa in particolare nelle facoltà di teologia delle università cattoliche spagnole, portoghesi e italiane, e, in Belgio, a Lovanio. Inoltre lo stesso fenomeno si verifica nelle facoltà di filosofia delle grandi università dominate dalla Riforma.
Oggetto principale di studio è il pensiero aristotelico e segnatamente la Metafisica. In Italia, a Padova, e nel Nord Europa si studiano anche le opere scientifiche e l’Etica Nicomachea.
Per affrontare questi studi, è considerato fondamentale sapere alla perfezione le lingue antiche, e in particolare il latino classico, e nel contempo conoscere perfettamente le opere di Aristotele in greco; infine, è ritenuta buona cosa anche conoscere l’opera di Tommaso d’Aquino e munirsi di buoni commenti contemporanei. Questi commenti, anzi, acquistano sempre più rilievo e subiscono un’evoluzione che li porta a divenire il testo base dell’insegnamento universitario.
L’analogia indica in genere una relazione tra più cose, aventi in comune qualche determinato aspetto. Il significato originario fa riferimento alla proporzione in quanto uguaglianza di rapporti, nella forma a:b=c:d. La formula risale al pensiero matematico, in particolare a Euclide, e viene detta analogia di proporzionalità. Già dal Timeo Platone ne faceva un principio non più puramente matematico ma utile alla spiegazione dei rapporti tra principi cosmogonici (acqua, aria, terra, fuoco). Il concetto viene ripreso come metodo conoscitivo della realtà da parte di Agostino e della tradizione agostiniana. Il significato più usato nella teologia della scolastica del Seicento è quello legato all’analogia di attribuzione: essa risale ad Aristotele, benché il filosofo greco, come sottolineato dallo studioso Enrico Berti, ne parli solo nei termini di omonimia relativa e non propriamente di analogia. Tuttavia Aristotele rimane una fonte importante della tradizione medievale anche sotto questo profilo. La teologia medievale di matrice aristotelica, infatti, sviluppa una dottrina originale per cui l’analogia non indica una somiglianza di rapporti, bensì un riferimento intermedio tra univocità ed equivocità. Ricordiamo che un termine è univoco quando dice di realtà del tutto simili, cioè che appartengono alla medesima specie o definizione (quiddità): “uomo”, ad esempio, può stare per tutti quegli esseri che sono animali razionali, ed è pertanto predicato univocamente di Socrate. Si dice, al contrario, equivoco un termine quando sta per realtà tra loro del tutto differenti. “Cane”, ad esempio, può indicare sia l’animale sia la costellazione.
In questo contesto, allora, un termine si dice analogo se fa riferimento a un rapporto (o correlazione) avente fondamento nella realtà, come nel caso dell’univocità: cosa che può verificarsi nonostante i modi del riferimento – come avviene nell’equivocità – non siano direttamente riconducibili a un unico concetto o definizione. L’aggettivo “sano” infatti può venir predicato correttamente di molte cose diverse: il corpo dell’animale, l’individuo in carne e ossa; un certo sintomo, come il colorito della pelle o l’urina; il cibo o il farmaco, in quanto causa, a diverso titolo, della salute.
Nella cosiddetta analogia di attribuzione o di proporzione, quindi, la correlazione indica una effettiva dipendenza di molteplici significati rispetto a un unico senso; si tratta di una gerarchia (ordo ad unum) che segue un modello di derivazione del tipo principale/derivati. Per proseguire con il nostro esempio, “sano” si riferisce principalmente all’animale, e soltanto in secondo luogo indica un certo rapporto reale del soggetto stesso con le altre cose. Più in generale, l’essere si dice direttamente della sostanza e solo successivamente delle altre categorie; ne consegue che l’ente è la nozione più onnicomprensiva che l’intelletto possa concepire, poiché va oltre la distinzione tra i sommi generi, includendo tanto l’essere della sostanza quanto quello dell’accidente.
Con la piena circolazione dei testi aristotelici, seguita alle traduzioni e ai commenti greco-arabi, la trattazione filosofica e teologica dell’analogia muta ancora. Si deve a Tommaso l’aver posto al centro della riflessione analogica il problema della sostanza. Tommaso rileva, ad esempio, come non sia possibile attribuire il termine “sapiente” univocamente a Dio e alle creature: nel caso di queste ultime esso indica una perfezione separata dall’essenza, poiché ad esempio l’uomo è uomo anche se non è sapiente; la stessa cosa è impossibile per quanto riguarda Dio, data la sua assoluta semplicità. D’altra parte, non è nemmeno ipotizzabile un’attribuzione equivoca, altrimenti sarebbe improponibile qualsiasi teologia. Non resta che ammettere che per qualsiasi perfezione si affermi di Dio e delle creature, essa si dice in modo analogo, cioè “per il rapporto che le creature hanno con Dio, in quanto principio o causa, nella quale preesistono in modo eccellente tutte le perfezioni delle cose” (I pars, q13, a5).
L’attribuzione, quindi, permette di giungere a cogliere l’ente in quanto ente, ovvero il rapporto stesso di dipendenza di tutto ciò che è rispetto a Dio; e in questo senso va oltre la natura delle cose (res) e funziona cioè in senso trascendentale. Perciò la teologia naturale è scienza, anzi scienza prima come la metafisica aristotelica.
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Tommaso d'Aquino
Vol.1
La dottrina di Tommaso viene poi ufficializzata come manifesto dell’ordine, ma nello stesso ambiente universitario domenicano emergono subito prese di posizione e divergenze importanti. La dottrina tomista, non smetterà di suscitare diatribe, soprattutto con la tradizione scotista, che si protrarranno in particolare nella cosidetta seconda scolastica. Particolarmente rilevanti saranno le critiche, di natura eterogenea, che sorgono in seno alla tradizione scotista. Secondo questa linea di pensiero, infatti, per quanto riguarda la relazione teologica che coinvolge l’Essere supremo e le creature contingenti, come l’esistenza e l’essenza, è necessario un concetto unico a tutti gli effetti; mentre l’analogia, intesa come prossimità o rassomiglianza tra nozioni diverse, non offre alcuna garanzia di autentica unità formale e concettuale. Senza tale sintesi, del resto, non sarebbe nemmeno concepibile in termini aristotelici alcuna scienza, né alcuna metafisica, cioè nessuna conoscenza di un primo principio trascendente, poiché due concetti anche molto simili non fanno per questo un unico concetto. Secondo Scoto e la sua tradizione, venendo meno l’unità analogica dell’ente, viene meno l’oggetto che consente alla teologia di svilupparsi come una scienza speculativa, ovvero come un sapere in grado di conquistare per via dimostrativa e razionale alcune verità o preamboli della fede. La metafisica, infatti, dal canto suo può certamente giungere alla dimostrazione di un primo principio, infinito e necessario, più o meno come è stato fatto dagli antichi; ma non può pervenire alla dimostrazione di un Dio personale, creatore onnipotente, assolutamente libero. Dunque la teologia secondo Duns Scoto e la tradizione scotista si distingue dalla metafisica per il suo oggetto proprio, ed è scienza solo in senso relativo, ovvero è scienza pratica, in quanto ha essenzialmente il compito di regolare il comportamento umano in funzione del messaggio divino e in vista della vita futura.
Nel pensiero medievale le discussioni sull’analogia coinvolgono i teologi più importanti, da Enrico di Gand a Guglielmo di Ockham. Ma è da queste due particolari concezioni che partono e si sviluppano le infinite diatribe della seconda scolastica.
Rispetto alle teologie medievali, gli scolastici del Seicento non si occupano di problemi di fondazione della teologia: non ci si chiede più se la teologia sia una scienza, se sia divisa dalla metafisica e quali siano i suoi oggetti. I testi dei maestri del XIV secolo continuano tuttavia a essere stampati e a circolare nelle biblioteche: le discussioni cartesiane sulla certezza esistenziale, il “Dio ingannatore” e il “genio maligno” sollevano problemi attuali, ma che risalgono anche ad autori medievali come Gregorio da Rimini (1300 ca.-1358) o gli ockhamisti del XIV secolo. Tuttavia, i protagonisti della tradizione scolastica del Seicento preferiscono concentrare i propri studi sulla metafisica. Ci si interroga sulla possibilità e sulla dinamicità della creazione all’interno del modello aristotelico di un universo statico ed eterno.
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Linguaggio e conoscenza: gli ockhamisti
Vol.1
Gli scolastici cattolici affrontano questo problema secondo due aspetti: 1) da un punto di vista conoscitivo, ci si chiede come sia possibile dire e conoscere l’essere partendo dalle creature; 2) da un punto di vista ontologico, invece, posto che in Dio le creature coincidono necessariamente, ci si domanda quale distinzione vi sia tra l’essenza e l’esistenza.
La fonte principale di questo tipo di approccio è Francisco Suárez (1548-1617) con le sue Disputazioni metafisiche, un’opera innovativa che affronta la metafisica non più attraverso il commento ai testi aristotelici, ma secondo un metodo per problemi e questioni; queste sono di volta in volta risolte per essere poi ordinate in un quadro sistematico. Le Disputazioni costituiranno il modello per l’insegnamento universitario della metafisica fino al Settecento inoltrato. Per Suárez, l’essere è caratterizzato dalla possibilità di esistere e se ne può parlare grazie alla cosiddetta “analogia di attribuzione intrinseca”. Il campo d’applicazione fondamentale dell’analogia è quello dei cosiddetti “trascendentali” (termini come “unità”, “bontà”, “verità”), che esprimono quelle proprietà che si ritrovano in forma analoga in tutti i modi nei quali l’essere si può esprimere. L’“attribuzione” indica che un termine può avere un significato diverso a seconda che venga riferito a questa o quell’altra realtà: per esempio, sia la medicina sia il colorito del volto vengono detti “sani” perché hanno entrambi ordine e proporzione rispetto alla “salute” che sola verifica il concetto in senso pieno. Il fatto di essere “intrinseca”, infine, riguarda uno stesso nome che viene attribuito a cose diverse per il fatto che possiedono, anche se in forma diversa, una medesima realtà.
La metafisica cattolica mostra uno spiccato interesse per la via scelta da Suárez e per l’indagine sull’ente in quanto tale: il termine stesso “ontologia”, nonostante le origini greche della scienza che definisce, compare infatti per la prima volta nel Seicento.
Il gesuita Pedro Hurtado de Mendoza (1579-1641) sostiene che l’ente è trascendente e che esso è identico e uniforme se considerato in modo astratto come un concetto, ma che tuttavia si “contrae” nelle varie differenze determinate dagli enti individuali: è proprio su questo rapporto che si regge l’analogia. Per quanto riguarda, infine, la distinzione tra l’essenza e l’esistenza, essa è di tipo razionale: non si può pensare in alcun modo l’essenza separata dall’esistenza individuale nelle creature.
Rodrigo de Arriaga (1592-1667), personaggio noto nei dibattiti del tempo, arriva addirittura a sostenere che, per quanto riguarda la metafisica, la separazione dell’ente dalle creature è esclusivamente concettuale. Pertanto non ha senso discutere sull’analogia o sull’univocità: sono solo nomi diversi per la stessa cosa. Alcuni tomisti “radicali”, infine, sostengono la tesi che tra l’essere di Dio e l’essere delle creature vi sia un’analogia di proporzionalità. In altri termini, questo discorso non è incompatibile con il fatto che un nome possa essere attribuito a cose diverse in virtù di un loro rapporto, come nell’esempio già considerato dell’attribuzione del termine “sano”.
Anche nel Nord Europa si studia Aristotele nonostante le critiche di Lutero e Melantone. Vi sono molte influenze della metafisica cattolica: i due grandi blocchi, divisi da un punto di vista teologico, lo sono meno per quanto riguarda gli scambi teorici a livello accademico. Molti teologi luterani e calvinisti si formano in Italia; viceversa molti italiani si recano nel Nord esportandovi la tradizione dell’aristotelismo padovano. Lo studio della metafisica nella scolastica protestante si caratterizza per il tentativo di separare la scienza dell’essere in quanto tale (la metafisica) dalla scienza di Dio (la teologia). Lo Scientiae metaphysicae compendiosum systema di Bartholomeus Keckermann (1572-1609) è considerato il testo base per tutto lo sviluppo del movimento: la metafisica è articolata a partire dal rapporto sostanza/accidente piuttosto che da quello ente/differenziazioni. Fondatore della scolastica luterana è considerato invece Cornelius Martini (1568-1621). Docente a Rostock, ritiene che lo studio della filosofia sia utile per la teologia: la conoscenza è la via che porta lo spirito alla gloria.
In Olanda si ha una forte presenza scolastica sia calvinista sia cattolica. Il maggior centro calvinista è l’università di Leida. Il confronto tra la nuova filosofia cartesiana e la scolastica è in Olanda particolarmente vivace. La vicenda delle Meditazioni metafisiche di Cartesio è emblematica: le Meditazioni, infatti, sono concepite proprio come un confronto con la metafisica scolastica. Caterus (1597-1641), autore delle Prime obiezioni all’opera cartesiana, è un perfetto esponente della scolastica olandese. La discussione tra il teologo olandese e il filosofo francese è un dialogo tra sordi. Caterus, leggendo il testo, non vede nessuna difficoltà nel riportare Cartesio a Tommaso, mentre il sistema cartesiano, basato sulla distinzione di ambiti tra esperienza scientifica e metafisica, è l’opposto esatto del progetto scolastico che mira a tenere insieme le due discipline. Cartesio vuole comunque ottenere l’approvazione dell’autorità alla sua metafisica. Si può interpretare questa circostanza come un escamotage o un’abile strategia dissimulatoria: un procedere cauto e reticente per infiltrare la propria filosofia nei luoghi dominati dallo strapotere degli accademici scolastici.
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René Descartes
All’interno dell’insegnamento universitario gli studi di logica vertono principalmente sull’analisi filosofica del linguaggio; pochi sono gli sviluppi della logica formale. Per quanto riguarda le fonti, fermo restando che la base resta l’Organon, le grandi conquiste formali del XIV secolo vengono dimenticate o fraintese. Molto forte è invece l’influenza di Pierre de La Ramée.
Dinnanzi al problema di come trovare un fondamento alla logica, la maggior parte degli studiosi sostiene che essa si basa su concetti che si formano nell’intelletto: si sceglie quindi un’ipotesi “psicologistica”. Passa in secondo piano il problema di come i termini all’interno delle proposizioni rinviino alle cose e si privilegia invece il rapporto tra le parole e la comunicazione o la comprensione di concetti. La maggior parte degli interpreti non distingue tra significazione e “supposizione” (suppositio). Nella tradizione logica della scolastica medievale, infatti, la “supposizione” deve essere intesa come la funzione di sostituzione che un termine svolge, all’interno di una proposizione, rispetto a qualcosa d’altro: per esempio una o più cose nel mondo, un concetto, una parola. Per i logici del Seicento, invece, la supposizione è solo l’uso di un nome per la cosa che il nome designa.
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Le forme della suppositio in Ockham
Vol.1
Benché entrambi i termini, “metafisica” e “ontologia”, siano stati introdotti nel lessico filosofico per indicare una disciplina coltivata per la prima volta da Aristotele, nessuno dei due risale propriamente al filosofo greco. Metafisica, come è noto, è il titolo che gli editori antichi hanno dato all’opera di Aristotele in cui viene esposta la scienza che egli chiama “filosofia prima”, cioè la scienza che ricerca le cause prime dell’essere in quanto essere e che le individua non soltanto in principi appartenenti alla “natura” (phýsis), e quindi “fisici”, ma anche in principi che trascendono la natura. Sicuramente questo titolo compariva nell’edizione delle opere di Aristotele eseguita da Andronico di Rodi nel I secolo a.C., dove probabilmente serviva a indicare i libri collocati “dopo” (meta) quelli di fisica (tá physiká).
Il termine “ontologia”, invece, compare per la prima volta nella Ogdoas scholastica (1606) di Jacob Lorhard, e indica la scienza che verte non su un tipo particolare di enti, ma sull’ente in generale (in greco on-óntos), cioè su quello che Aristotele chiamava “l’ente in quanto ente”. Esso nasce allo scopo di distinguere, nell’ambito della metafisica, una metafisica generale, che si occupa appunto dell’ente in quanto ente, da una metafisica speciale, che si occupa di enti particolari, quali l’anima, il mondo e Dio.
Dopo la grande tradizione classica e medievale, la metafisica come disciplina filosofica viene rilanciata in età moderna dal gesuita spagnolo Francisco Suárez (1548-1617), che nelle Disputationes metaphysicae, opera ispirata alla Metafisica di Aristotele, concepisce la metafisica come scienza dell’essere in generale, essenza universalissima, astratta e indeterminata (il trascendentale ontologico), di cui le varie realtà sono le determinazioni particolari. Queste sono fondamentalmente l’essere infinito, cioè Dio, e l’essere finito, cioè le creature. Dio così viene a essere un ente particolare, sia pure sommo, nel quale si realizza in modo completo la ratio entis, cioè il concetto di essere, e la metafisica tende a dividersi in metafisica generale, avente per oggetto l’essere, e metafisica speciale, avente per oggetto Dio.
Mentre Descartes e Leibniz, come vedremo, riprendono, rispettivamente nelle Meditazioni metafisiche e nel Discorso di metafisica, soprattutto la metafisica speciale, cioè la metafisica come scienza dell’anima e di Dio, Christian Wolff (1679-1754) rende ufficiale la distinzione tra la metafisica generale, da lui chiamata “ontologia”, e le metafisiche speciali, cioè la psicologia razionale, avente per oggetto l’anima, la cosmologia generale o razionale, avente per oggetto il mondo, e la teologia naturale o razionale, avente per oggetto Dio. Questa classificazione rimane alla base della filosofia di Kant (1724-1804), il quale manterrà la metafisica generale, intendendola come la scienza delle condizioni di possibilità di qualunque conoscenza (il trascendentale logico), e criticherà le metafisiche speciali, in quanto prive di base empirica.
Una interpretazione diversa si trova nel Cursus philosophicus thomisticus di Giovanni di San Tommaso (o João Poinsot, 1589-1644). Il testo, per ammissione dell’autore stesso, vuole essere la più completa esposizione del pensiero di Tommaso d’Aquino. Tra le questioni più significative si può menzionare la ripresa, da parte di Giovanni, della nozione di “supposizione naturale”, come proprietà che un termine possiede al di fuori di un contesto proposizionale. La questione non è di poco conto: le proposizioni scientifiche, che riguardano verità eterne, appartengono al tipo preso in esame. Per esempio, proposizioni come “Pietro è un uomo” (dove Pietro è l’Apostolo) non sono verificate sulla base di entità sensibili, perché sarebbero sempre contingenti, ma grazie al fatto che l’esistenza a cui rinvia la copula è atemporale. Giovanni elabora inoltre un'articolata teoria dei segni che sembra richiamare tradizioni contemporanee di filosofia del linguaggio.
La tarda scolastica cattolica è attraversata dalle dispute dottrinali che vedono schierati su fronti opposti gesuiti e domenicani. La controversia più animata è quella sulla grazia divina e la libertà dell’uomo, tra la fine del Cinquecento e i primi anni del Seicento, che si richiama alla tradizione teologica della scolastica medievale e, in area tedesca, alla disputa sul libero arbitrio tra Lutero ed Erasmo. I gesuiti mirano a difendere l’autonomia della ragione naturale e la sua continuità con il piano della grazia divina; posizione che suscita la reazione dei domenicani, orientati a sottolineare il ruolo autosufficiente della grazia di Dio nel determinare le azioni umane e la salvezza dell’anima.
La disputa sugli “aiuti divini” al libero agire dell’uomo si accende con la pubblicazione, nel 1588, della Concordia del libero arbitrio con il dono della Grazia, opera del gesuita Luis de Molina (1536-1600). Le questioni filosofiche che il testo solleva riguardano la natura della prescienza e della libertà divina, le condizioni di possibilità della libertà umana e la compatibilità tra i due piani. Quella di Molina è una critica radicale alle tesi del teologo domenicano Domingo Báñez (1528-1604): questi sostiene che Dio è causa che muove direttamente la volontà umana a compiere una ben determinata azione; che il libero arbitrio umano è tale solo in relazione allo stato di indeterminatezza in cui l’uomo fa le proprie scelte, ma è totalmente necessitato in relazione alla prescienza divina; che quindi le due dimensioni sono perfettamente conciliabili perché non si dà libertà fuori dai decreti divini che consentono alla volontà umana di operare in autonomia.
Nella ConcordiaMolina ribatte rifiutando l’intervento di Dio come motore unico di ogni atto umano, e parla dell’azione divina come causa cooperante agli atti liberi di volontà. Dio ha generato la volontà umana come capace di autodeterminazione: essa produce atti di volontà, di cui sarà poi Dio a determinare l’esistenza. Inoltre, la compatibilità tra la libertà dell’uomo e la prescienza divina è garantita dal fatto che, pur non causando da solo gli atti liberi della volontà umana, Dio ha in sé virtualmente tutte le scelte dell’uomo, ogni possibile scenario, e può quindi prevederle con assoluta necessità senza che questo comporti una predestinazione per l’uomo che le compie.
Una posizione intermedia è quella di Francisco Suárez: Dio stabilisce a priori chi destinerà alla salvezza, ma la sua prescienza gli consente di conoscere le “grazie” (il complesso di circostanze necessarie) che consentiranno a quell’uomo di meritarla; decide così di renderle effettive, producendo di conseguenza la salvezza stessa ma secondo una modalità “congruente” alla libertà umana.
Sulla questione si pronuncia anche il cardinale Roberto Bellarmino (1542-1621), docente di controversie teologiche al Collegio romano. Nei suoi scritti egli raccomanda sempre di non perdere di vista il cuore del problema, cioè il legame necessario tra libertà umana e grazia divina; questo può essere tutelato solo superando il clima di contrapposizione radicale del dibattito in atto. L’atteggiamento di Bellarmino tradisce la preoccupazione delle istituzioni ecclesiastiche per una conflittualità che rischia di indebolire la posizione cattolica di fronte alle critiche del mondo protestante. La nomina di una commissione (1597) per giudicare l’opera di Molina, invocata dai báñeziani, non risolve la questione. La disputa si trascina a lungo, arenandosi nella contrapposizione tra due posizioni inconciliabili, finché nel 1611 un editto dell’Inquisizione romana vieta la pubblicazione di testi in materia. Ma la tradizione delle dispute, lungi dallo scomparire definitivamente con il Seicento, rimane come una sorta di fiume sotterraneo nella tradizione metafisica, in particolare nei paesi a più forte impronta cattolica, come la Spagna.
ESERCIZIO
E8: Le tradizioni scolastiche
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Lutero e la Riforma