Le vie delle idee: ragione, verità e storia tra Seicento e Settecento

C’è una costante nel pensiero di questo secolo: si mette in discussione la tradizione, si scoprono modi di pensare che intendono fare piazza pulita di tutte le opinioni precedenti. Il Seicento si apre alla pluralità delle interpretazioni filosofiche.

Il Seicento potrebbe essere definito come secolo dell’inquietudine, dello spaesamento, della pluralità delle tradizioni filosofiche, della ricerca di nuovi punti di riferimento, in cui l’uomo deve ridefinire la propria posizione nel cosmo. Già il Cinquecento era stato sconvolto dalla rivelazione eliocentrica di Copernico, ma è all’inizio del Seicento che questa idea si afferma e viene dimostrata attraverso prove sperimentali. La rivoluzione scientifica è tale proprio perché permette di aprire a nuovi ordini del mondo, e sarà proprio la matura consapevolezza di questa apertura, così come a quella dei mondi da scoprire, a costituire la polifonia della cultura del Seicento. Di questo pluralismo Pascal sarà figura esemplare: filosofo, teologo, scienziato, egli incarna quel vivace intreccio di idee, temi, prospettive e tradizioni che anima la filosofia del Seicento.

Già da un secolo, infatti, Magellano aveva compiuto la circumnavigazione del globo e i navigatori stavano scoprendo terre e popoli ignoti. Locke ricorda che presso diversi popoli vi sono modi di pensare, di vivere e di giudicare diversi da quelli che la cultura europea aveva considerato come universali. D’altra parte, quando missionari come il gesuita Matteo Ricci arrivano in Cina, scoprono un nuovo mondo e una morale e una religiosità che, per quanto diverse dal cristianesimo, sembrano ispirate ai principi della ragione e dell’etica. Intanto il Caravaggio svela la profondità dell’animo alla luce tutta terrena dei corpi, il cannocchiale di Galilei apre il cielo, Marino esplora gli spazi della poesia, Borromini quelli dell’architettura, la musica percorre l’arte della fuga; si compiono le prime esperienze al microscopio e si scopre che, al di là di quanto l’occhio possa cogliere, esistono altri esseri che abitano uno spazio impercettibile. Il brivido che l’uomo del Seicento può provare di fronte a questa nuova immagine del mondo si trova espresso in Pascal, che definisce l’uomo come situato tra due infiniti, “giunco pensante” che oscilla tra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo.

Si allarga la terra, si amplia il cielo, si rivelano degli abissi. C’è una costante nel pensiero di questo secolo: si mette in discussione la tradizione, si scoprono modi di pensare che intendono fare piazza pulita di tutte le opinioni precedenti. Il Seicento si apre alla pluralità delle interpretazioni filosofiche. A riprova della convenzionalità delle classificazioni storiografiche, questa sezione si apre infatti su Hobbes, che è contemporaneo di Cartesio ma tuttavia matura un pensiero originale e sostanzialmente autonomo rispetto sia a Cartesio stesso sia alla tradizione cartesiana che a questi fa riferimento. Dopo Hobbes la via delle idee cartesiana procede con maggiore linearità, pur tra infiniti contrasti e irriducibili originalità di pensiero. “Razionale”, e insieme universale e individuale, sarà il pensiero in Spinoza e Leibniz, che più direttamente si confrontano con la svolta cartesiana. Nelle geometrie, nelle combinazioni logiche e nei meccanismi stessi del pensiero umano si cercano le leggi che permettano di capire l’ordine metafisico dell’universo e, insieme, si va alla ricerca delle leggi che governano il vivere politico. All’ombra dello scetticismo, le idee chiare e distinte convivono nel Seicento con la ragion di Stato e con l’elogio della simulazione, della dissimulazione, del segreto.

Questo secolo vede anche il tentativo di fondare l’autorità stessa e il potere delle leggi sulla ragione naturale. Grozio affermerà che le norme della ragione naturale sarebbero valide anche se Dio non ci fosse, ed elabora una teoria del diritto che mette in discussione gli stessi limiti della sovranità del principe, mentre Hobbes parla del potere statale come di un Leviatano che deve piegare le volontà individuali per ridurre il conflitto di tutti contro tutti. E mentre infuria la guerra dei Trent’anni, filosofi come Spinoza dimostrano la necessità della libertà di pensiero e si affermano vigorose rivendicazioni della tolleranza religiosa e politica. Si sostiene che percepiamo e comprendiamo il mondo sulla base di principi innati, tali per cui, come dirà Spinoza, l’ordine e la connessione delle idee sono identiche all’ordine e alla connessione delle cose. Oppure ci si riferisce a un ordine del pensiero “empirico”, come per Locke, e allora si ricorre all’esperienza. Nel contempo la riflessione cartesiana si lega con la ripresa del pensiero di Platone e convive con l’atomismo e il recupero del materialismo e della dottrina epicurea. Si cerca di conciliare le speculazioni teologiche su onnipotenza e teodicea e il dualismo delle sostanze con la dottrina cattolica (e sarà il caso di Malebranche). Analogamente alla scelta di apertura, la sezione si chiude con il pensiero di un filosofo “eterodosso” ed estraneo alla via delle idee cartesiana come Giambattista Vico, che, affacciandosi al Settecento, propone una riflessione che lega in modo indissolubile l’uomo e il suo pensiero alle realtà storiche che l’hanno visto nascere.