Ugonotto (come erano definiti i calvinisti francesi) di nascita, convertito precocemente al cattolicesimo e altrettanto precocemente tornato alla religione protestante, Pierre Bayle (1647-1706) elabora una filosofia scettica, rivolta contro ogni dogmatismo, contro ogni forma di dominio sulle coscienze e di oppressione della libertà di pensiero.Nato a Le Carla, nella Francia meridionale, nel 1647, esordisce tra i gesuiti di Tolosa, dove si era rifugiato dopo aver abbandonato il calvinismo dei padri, e debutta con delle Tesi filosofiche (1670) in cui già emerge la sua vena polemica, la sua ansia di rimettere in discussione i risultati della speculazione filosofica, e in particolare il cartesianesimo. La sua conversione alla religione cattolica, d’altra parte, non ha alcun tratto dell’ansia pascaliana: nasce, piuttosto, dall’incapacità di risolvere alcune obiezioni riguardo ai principi fondanti della religione riformata. E se torna dopo poco al protestantesimo, non è soltanto per nostalgia della cultura in cui era cresciuto, ma anche e soprattutto perché il cattolicesimo gli appare ancora più indifendibile.
Il principale oggetto delle critiche di Bayle è la teologia cristiana, in tutte le sue espressioni, e specialmente nella misura in cui essa si vuole fondata su una filosofia, cioè su un pensiero razionale coerente. Cartesiano per il metodo ma non per il sistema, Bayle applica il criterio dell’evidenza ben oltre i limiti posti da Cartesio (assai prudente nel Discorso sul metodo a isolare il campo di applicazione delle sue regole, da cui esenta da subito la religione e la teologia). Per Bayle, al contrario, è proprio in teologia che occorre la massima chiarezza, trattandosi della materia più importante per il destino di ogni individuo.
LETTURE
René Descartes
L’opera più famosa di Bayle è il Dizionario storico-critico (prima edizione 1697, seconda edizione 1702, terza edizione postuma 1720). In quest’opera si offre una sintesi ben riuscita tra uno scetticismo estremo e una forma di fideismo altrettanto radicale. Le tematiche scettiche vi vengono trattate sullo sfondo dei dibattiti teologici tipici del cristianesimo moderno successivo alla Riforma. I “dogmatici” con i quali si confronta Bayle sono innanzitutto Cartesio e i cartesiani, di cui viene contestato il criterio dell’evidenza intellettuale come strumento di accesso a verità indubitabili; ma insieme a loro vengono presi di mira anche i teologi cristiani, sia protestanti sia cattolici. Bayle rileva come la nuova scienza newtoniana possa tranquillamente coesistere con una professione di scetticismo antimetafisico e antiteologico. Accanto alla fisica, anche la politica e la morale potrebbero svilupparsi entro i “limiti” della mente umana con l’obiettivo di “ricercare ipotesi probabili e raccogliere esperienze”; scienza, etica e vita civile possono fare a meno di “certezze” assolute, fondandosi su regole di conformità o semplicemente su “ragioni probabili”.
In verità, dello scetticismo e dei suoi rapporti con la fede il Dizionario fornisce versioni diverse. Nei testi più ortodossi Bayle sottolinea la funzione apologetica dello scetticismo, in quanto rinuncia alla ragione ed è utile a preparare l’accoglimento di una fede nuda, incomprensibile e indimostrabile. In altri brani invece le sue valutazioni appaiono più sfumate e complesse. Negli articoli sul problema del male Bayle non si limita ad affermare l’inconciliabilità tra fede e ragione: sotto il velo della rinuncia fideistica a difendere razionalmente le posizioni teologiche, Bayle sviluppa una critica aggressiva nei confronti dei teologi che sostengono con argomenti razionali gli insolubili problemi del male, della libertà e della predestinazione. Per riprendere una sua efficace formulazione, nel caso di dottrine religiose come quelle del peccato, della salvezza, del premio o del castigo, il problema non nasce dal fatto che manchino i lumi per comprenderle, ma piuttosto dal fatto che disponiamo positivamente di ragioni contrarie che ci impediscono di accettarle.
A questa versione drammatica, altri articoli dello stesso Dizionario affiancano una versione più critica, quasi metodica, dello scetticismo. “Non decidendo né pro né contro”, lo scettico sfugge “alle difficoltà imbarazzanti”, alle “obiezioni gravi e serie, alle ritorsioni, agli argomenti ad hominem”, che sono “generalmente lo scoglio inevitabile dei Dogmatici”. Gli scettici possono dunque ritenersi vittoriosi quando costringono i loro avversari ad abbandonare il piano dell’evidenza per ridursi nei limiti della semplice probabilità. Inoltre, alle tradizionali accuse di “inazione” in cui cadrebbe lo scettico, Bayle risponde in modo efficace precisando che la condotta della vita può orientarsi sulle “apparenze”, senza attendere “i giudizi speculativi che pronunciamo sulla natura delle cose”. Bayle presenta il dubbio come un atteggiamento di cautela e di controllo che deve costantemente accompagnare la credenza, assegnandole un grado di certezza solo probabile e provvisorio, dunque sempre rivedibile. Semplicemente, il valore di verità o di realtà che gli scettici attribuiscono a questa loro persuasione non è identico a quello cui si riferiscono i dogmatici: non deriva cioè da un “criterio infallibile” come l’evidenza cartesiana, ma da una necessità soggettiva e istintiva.
Anche in campo teologico, accanto al fideismo estremo di certi articoli, sussiste nei testi di Bayle una forma di scetticismo più moderato (rappresentato da articoli come “Mélanchton” o “Synergistes”). In quei contesti Bayle attribuisce alle credenze religiose lo statuto di opinioni solo ipotetiche, la cui funzione è di salvare o dar ragione dei fenomeni tanto naturali quanto civili, con la conseguenza esplicita che tutti i sistemi teologici appaiono altrettanto possibili, se paragonati alla “saggezza infinita”.
I Pensieri diversi sulla cometa (1682), pubblicati anonimi, come quasi tutte le sue opere, costituiscono l’esordio pubblico di Bayle e l’opera che lo lancia nel dibattito filosofico dell’epoca.
ESERCIZIO
E11: Bayle
L’opera è dedicata, abbastanza pretestuosamente, alla critica delle superstizioni legate al passaggio delle comete (l’ultima si era manifestata nel 1680): un obiettivo polemico non più d’avanguardia, ormai, dopo decenni di rivoluzione scientifica. In realtà la finalità dell’opera è molto più ambiziosa: la tesi principale è infatti quella secondo cui l’ateismo non porta necessariamente alla corruzione dei costumi e, quindi, non è incompatibile con la fedeltà ad un sovrano. Bayle stabilisce, anzitutto, che il cristianesimo non è necessario perché uno Stato stia in piedi: ci sono state, infatti, anche repubbliche di pagani idolatri. E se l’idolatria, che è per tutti i cristiani il peggior male possibile, permette la sopravvivenza di uno Stato, allora potrà farlo anche l’ateismo. Bayle condisce il tutto con alcuni ritratti di atei virtuosi, tra cui Spinoza, ateo virtuoso per eccellenza.
TESTO
T4: Pierre Bayle, Contro le superstizioni sulle comete
Dopo aver risieduto e insegnato a Sedan, nella Francia settentrionale, Bayle si stabilisce dal 1680 a Rotterdam, dove rimarrà per tutto il resto della sua vita. L’anno più importante nella vita di Bayle è il 1685. Luigi XIV revoca l’editto di Nantes segnando per sempre il destino degli ugonotti all’estero: il loro esilio è ormai definitivo e il trauma non potrebbe essere più violento. Ma Bayle vive l’esilio in modo diverso dai suoi correligionari. Troppo critico per stare in un partito, si esercita a prendere le vesti dell’uno e dell’altro competitore, in un vortice di prese di posizione che lo porta a rischiare anche sul piano personale. Sotto le vesti di un protestante moderato e tollerante scrive il Commentario filosofico (1686), la sua opera filosoficamente più omogenea, in cui rivendica la tolleranza religiosa come l’unico fondamento della convivenza tra religioni e culture diverse. Il Commentario si fonda quasi interamente su una dottrina morale semplice quanto controversa, quella secondo cui un errore commesso in buona fede sarebbe innocente, o comunque meno grave di un errore commesso volontariamente: una dottrina sorta in ambito scolastico e largamente discussa dai “dottori di coscienza” seicenteschi, di cui Bayle si appropria per dimostrare che ogni eresia, fondandosi comunque su una scelta fatta “in buona fede”, non è punibile né tanto meno suscettibile di persecuzione – la coscienza è la “voce di Dio” e non può essere costretta. La posizione di Bayle dà adito a non poche difficoltà, la più grave delle quali – subito sottolineata dai suoi avversari e in particolare dal suo acerrimo rivale, ex-amico e collega Pierre Jurieu (1637-1713) – consiste nel fatto che una tale divinizzazione del “principio di coscienza” rischia di giustificare qualsiasi scelta fatta in buona fede, compresa quella di perseguitare chi sia di una religione diversa dalla propria, rendendo quindi moralmente giusto persino il comportamento del più odioso e violento persecutore. Le risposte di Bayle all’obiezione non sono sempre convincenti, tanto è vero che finirà poi con l’abbandonare questa dottrina. In ogni caso, il Commentario rappresenta il momento della sua massima vicinanza ai settori più libertari del protestantesimo, come quelli degli arminiani e dei sociniani, largamente presenti nell’Olanda dell’epoca.
Il quadro cambia radicalmente negli anni seguenti, quando lo scontro tra le varie confessioni si radicalizza ulteriormente e la Gloriosa Rivoluzione inglese (1688) mette a nudo le tendenze ribellistiche e persecutorie presenti all’interno dello stesso protestantesimo. Nel 1690, infine, dopo i troppi esempi di intolleranza e fondamentalismo che vede diffondersi a macchia d’olio anche tra i protestanti, Bayle fa uscire nel massimo anonimato la sua opera più controversa e anche più oscura: il Consiglio per i rifugiati (Avis aux réfugiés). L’opera si rivolge ai protestanti esiliati, che vengono ammoniti a non seguire la strada dei loro persecutori, aggiungendo violenza a violenza. La realtà dei fatti conferma, insomma, la sua intuizione di fondo, dirompente, della sostanziale equivalenza di tutte le religioni in quanto a potenzialità persecutoria e oppressiva.
La strategia di Pierre Bayle nell’attaccare una presunta immagine razionale del Dio cristiano e quindi la compatibilità tra fede e ragione ha il suo nucleo nell’esame della teodicea. Soprattutto nel Dizionario storico-critico, Bayle mostra la natura intrinsecamente contraddittoria del Dio cristiano proprio in riferimento al problema del male. Questa contraddittorietà consiste nell’incompatibilità dei diversi predicati del Dio cristiano tra loro: bontà, giustizia, onnipotenza non possono razionalmente coesistere in un essere la cui creazione mostri così evidenti segni negativi, come la malvagità degli uomini o il dolore fisico. Nelle voci del Dizionario che trattano il manicheismo (“Manichei”, “Marcioniti”, “Pauliciani”), a questo carattere contraddittorio del Dio cristiano viene data un’immagine definita proprio attraverso il manicheismo: quest’ultimo, che si fonda sull’idea di due distinti principi, uno del bene e uno del male, è molto più convincente nella spiegazione “razionale” del male, opponendo un principio del bene a uno del male. L’idea, poi, che il male sia una semplice privazione, e non qualcosa di effettivo, contrasta con l’esperienza indubitabile del dolore e della malvagità. Né si capisce come il dolore possa essere la punizione per il peccato: un Dio buono e onnipotente avrebbe dovuto piuttosto creare Adamo senza la tendenza al male.
La ragione umana, quindi, non è in grado di offrire una spiegazione adeguata del male del mondo: nella scelta tra la ragione (o la filosofia) e la fede dobbiamo optare o per l’uno o per l’altro, e se Bayle dichiara di schierarsi per la fede, lascia intravedere la possibilità che la scelta possa essere diversa, quando si voglia rimanere sul piano della razionalità. Nei decenni successivi, infatti, i suoi argomenti costituiranno un formidabile arsenale critico nei confronti della religione.
Con il Dizionario storico-critico, la sua opera più nota, Bayle ripiega apparentemente sull’erudizione: quattro grossi volumi in folio (nell’edizione definitiva uscita postuma nel 1720) densi di citazioni, osservazioni critiche, discussioni con i contemporanei e con gli antichi. Ma è un’erudizione a doppio fondo: gli articoli, ordinati alfabeticamente e dedicati per la maggior parte a personaggi storici dall’antichità fino all’epoca moderna, sono in genere scarni e poco interessanti; è nelle note a piè di pagina che Bayle scatena tutto il suo genio critico, dispiegandolo in ogni ambito del sapere e con i pretesti più strani. Ne risulta un ammasso barocco oggi difficilmente apprezzabile, ma ricco di intuizioni e di prese di posizione sul dibattito filosofico dell’epoca.
La più celebre delle polemiche in cui Bayle si impegna è quella che verte sulla conciliazione tra l’esistenza di Dio e la presenza del male nel mondo. Egli affronta la questione in un gruppo di articoli dedicati a quelle sette antiche (ad esempio i manichei) che non potendo conciliare l’esistenza del male con quella di un unico Dio buono, hanno sostenuto l’esistenza nell’universo di una dualità di principi continuamente in lotta tra loro. Difendendo la posizione di queste sette, egli si propone di mostrare l’impossibilità di dare una giustificazione razionale della religione cristiana. Bayle si spingerà a concludere, nella Continuazione dei pensieri diversi sulla cometa (1704) e nell’opera (in parte postuma) Risposta alle questioni di un provinciale (1703-1707), che l’ateismo è la posizione filosofica più sostenibile sia in ambito teoretico che in ambito morale.