Per saperne di piùKant e le scienze

di Pietro Corsi

La storia della filosofia tende spesso a studiare i grandi autori del passato in una sorta di isolamento, come se questi fossero intervenuti in un dialogo millenario in cui passato e futuro si confondono. Non vi è dubbio, ovviamente, che alcune questioni filosofiche concernenti la teoria della conoscenza, la morale, o la divinità (sia per affermarne l’esistenza, sia per negarla) abbiano attraversato e attraversino tuttora settori importanti della riflessione filosofica. La permanenza di alcune questioni teoriche induce a volte a mettere in secondo piano altre questioni che non si possono ignorare: ad esempio, che il ruolo professionale e sociale del filosofo è profondamente cambiato nel corso dei secoli, o che le frontiere tra discipline e il diverso grado di autorità intellettuale loro attribuito è egualmente instabile. La stessa definizione di filosofia, la percezione del suo ruolo culturale in diverse società, e persino il modo in cui i vari filosofi hanno considerato e considerano il proprio lavoro sono in continua evoluzione. Cartesio sarebbe forse stupito nel vederci leggere il Discorso sul metodo senza prestare molta attenzione alle tre scienze, meteorologia, geometria e ottica, che quel metodo illustravano e di cui il filosofo andava particolarmente fiero. Sempre Cartesio era certamente consapevole del suo stato di filosofo universalmente apprezzato, ma l’ambizione cui dedicò decenni della propria vita era il prolungamento della vita umana. La grande filosofia europea del XVII e XVIII secolo metteva in dubbio la tradizione filosofica, e in alcuni casi vi si opponeva con forza: lo studio della natura e dei fondamenti della conoscenza umana erano le vere questioni da affrontare. Al tempo stesso molti filosofi partecipavano attivamente ai dibattiti scientifici del loro tempo, erano essi stessi matematici, fisici o biologi di grande valore e trovavano spesso impieghi lucrativi quali esperti in materie tecniche e scientifiche presso i regnanti del tempo.

Le Accademie

La rapida crescita delle Accademie scientifiche nel corso del XVIII secolo testimonia della fiducia che i regnanti riponevano in nuove forme di organizzazione della ricerca. In Germania, l’Accademia delle Scienze di Berlino voluta da Leibniz e da lui realizzata nel 1700 vincendo le resistenze di Federico III di Brandeburgo, divenne presto il fiore all’occhiello del nuovo Regno di Prussia (1701). Federico Guglielmo I (re dal 1712 al 1740) e soprattutto Federico II (1740-1786) non lesinarono risorse per attrarre a Berlino scienziati e filosofi di fama europea. Al tempo stesso, il fiorire di riviste e gazzette testimoniava la presenza di una élite colta, composta di funzionari, medici, tecnici, mercanti e proprietari desiderosi di affermare il proprio stato sociale anche attraverso la coltivazione dei saperi. La gran parte dei maggiori stati tedeschi vantava università e case editrici, società mediche, fisiche e di scienze naturali.

Kant, il rinnovatore della filosofia

La carriera e l’opera di Kant si iscrivono nella – e al tempo stesso rappresentano la – situazione sociale e culturale che abbiamo brevemente tratteggiato.

Il Kant che meglio conosciamo, il grande rinnovatore della filosofia occidentale, era noto ai suoi contemporanei come un diligente e intelligente insegnante di geografia fisica, capace di spaziare nelle sue lezioni dall’astronomia e la cosmogonia alle più recenti teorie antropologiche o alla generazione animale e vegetale. Al pari del suo predecessore (in fama) Christian Wolff (1679-1754), ammiratore di Leibniz, Kant passò la sua vita insegnando e leggendo. Non si mosse praticamente mai da Königsberg, e per il suo lavoro non ne aveva bisogno: libri, una nutrita letteratura periodica, enciclopedie, resoconti di viaggi gli fornivano i materiali di cui nutrire le proprie riflessioni.

La formazione e l’opera scientifica

La prima parte della carriera di Kant, la fase “pre-critica”, come si usa dire, fu segnata da un forte impegno sul fronte della lettura critica delle opere di Leibniz, Wolff e Newton. La riflessione sul concetto di forza, movimento, materia e spazio occupava già una parte centrale del suo lavoro e si caratterizzava per una presa di distanza sempre più marcata dalle posizioni di Leibniz e Wolff, e per un avvicinamento progressivo alle concezioni newtoniane – il che non implicava affatto una adesione acritica al pensiero dell’inglese. La sua tesi di laurea, Pensieri sulla vera valutazione delle forze vive (1746), un testo giovanile di grande complessità tecnica e linguistica, si proponeva di fondare una teoria del movimento e della forza che potesse spiegare al tempo stesso i fenomeni fisici e la percezione dei nostri sensi. Negli anni Cinquanta seguiva una serie di opere orientate verso la soluzione di problemi epistemologici e metafisici aperti dalle scienze fisico-matematiche e dalle opere di Newton, che Kant ormai padroneggiava. La Storia universale della natura e teoria del cielo (1755) è l’opera più nota di questo periodo, che vede Kant cimentarsi in una spiegazione della formazione del sistema solare e di ogni singolo corpo celeste. L’autore partiva dalla presenza di masse di polveri cosmiche, le nebulose, – si era ancora lontani alcuni decenni dall’affermarsi della corretta valutazione delle nebulose come ammassi di stelle – sottoposte a lenti processi di addensamento dovuti all’azione simultanea di forze di attrazione e di repulsione. Kant interpretava tuttavia tali forze in modo diverso da Newton, considerandole come proprietà inerenti alla materia stessa. Molto più esplicito era inoltre il riferimento a un Dio provvidenziale e ordinatore della natura, concetto certo presente in Newton, ma che Kant presentava come il fine ultimo del suo argomentare. In effetti, per tutto il periodo pre-critico e, di fatto, per tutta la sua carriera, Kant porrà questioni metafisiche e in ultima analisi teleologiche e teologiche al centro dei suoi scritti scientifici. Nel 1796, il grande astronomo e matematico francese Pierre-Simon Laplace (1749-1827) formulava, indipendentemente da Kant, una ipotesi per molti versi analoga. Nei primi decenni del XIX secolo la “teoria di Kant-Laplace” fu discussa con passione in ambiti culturali poco interessati al Kant filosofo. Molti vedevano nei processi evolutivi dei sistemi stellari l’indicazione della presenza di leggi naturali di progresso e mutamento. Vi era anche chi prendeva le mosse dalla cosmologia per approdare alla formulazione di teorie che spiegassero in termini naturali la formazione della vita, dell’uomo, delle società, dei destini dei popoli.

Kant e le scienze della Terra

Se l’attenzione di Kant si concentrava sulle scienze fisico-matematiche, specialmente nel periodo pre-critico, il filosofo non restava indifferente dinanzi ai dibattiti sulle scienze della Terra e della vita che dai primi anni quaranta prorompevano con forza sulla scena culturale europea e tedesca. L’astronomia post-newtoniana richiedeva strumenti matematici che pochi erano in grado di padroneggiare. Il newtonianesimo come fenomeno culturale e sociale era dunque veicolato da grandi divulgatori, da testi pedagogici pubblicati sulla stampa periodica e nelle raccolte enciclopediche. Eventi contingenti, come il disastroso terremoto di Lisbona del 1° novembre del 1755 e il diffondersi dell’onda sismica sino agli Urali estendevano a tutta la comunità dei dotti e del pubblico colto del continente un dibatitto sulla storia della Terra, la causa dei terremoti e dei vulcani che aveva sino ad allora interessato gli osservatori del vulcanismo del sud dell’Europa – il Vesuvio in particolare – e una ristretta cerchia di filosofi naturali. È interessante notare che mentre un commentatore arguto come Voltaire traeva lo spunto dal tragico evento per farsi gioco, nel Candido (1759), di Leibniz e del suo principio di ragion sufficiente – per cui ciò che esiste deve necessariamente esistere in un mondo armoniosamente costruito – Kant proponeva le proprie originali riflessioni scientifiche sull’età della Terra, i terremoti e i vulcani. Si era già occupato del principio di ragion sufficiente nelle sue prime opere filosofiche e scientifiche: i suoi interventi nel settore delle scienze della Terra avevano ora l’ambizione di affrontare e risolvere complesse questioni tecniche. In una serie di brevi articoli pubblicati dal gennaio del 1756 su un settimanale di Königsberg, Kant partiva dall’assunto che, nei termini della sua teoria della formazione di soli e pianeti, la crosta della Terra fosse percorsa da cavità createsi col raffreddamento dello sferoide. Tali cavità erano soggette a crolli più o meno rapidi, responsabili dei terremoti, ma anche, quando più estesi, della formazione di rilievi montuosi e di valli. Per quel che concerne i terremoti, Kant aderiva alla teoria – molto diffusa all’epoca – secondo cui tali fenomeni fossero dovuti a una reazione chimica che si produceva in profondità quando un miscuglio di zolfo e ferro era raggiunto da infiltrazioni d’acqua, generando così una violenta reazione chimica e la produzione di gas che si espandevano a grande velocità nei meandri delle caverne sotterranee. A livello di ristrette zone geografiche, la reazione chimica poteva dare luogo a vulcani, quando i gas, non trovando altri sfoghi, raggiungevano fortissime pressioni e altissime temperature, provocando esplosioni e rovinose eruzioni.

La scienza e il suo pubblico

Dalla metà degli anni Quaranta, e per tutto il secolo, grazie a una serie di “scoperte” sensazionali, i dibattiti sulla vita rivaleggiavano con l’astronomia e la cosmogonia in testa alla lista degli interessi del pubblico colto. Nel 1744 lo zoologo dilettante Abraham Trembley (1710-1740) pubblicava delle memorie in cui riferiva dei suoi esperimenti sull’idra, un polipo d’acqua dolce che tagliato in più parti era capace di rigenerare l’intero corpo da ogni frammento. La questione delle proprietà della vita, per alcuni della materia vivente, per altri del principio fisico o metafisico capace di organizzare le forme dei viventi, sollecitava i commenti di naturalisti, teologi e filosofi. Rispetto alle difficoltà tecniche dell’astronomia, un semplice microscopio permetteva a ogni colto benestante della metà del Settecento di meravigliarsi dinanzi alle complesse strutture dei viventi, o alle microscopiche forme che si agitavano sul vetrino dello strumento. Si era ora in grado di acquistare strumenti capaci di ripetere le osservazioni quasi impossibili da replicare del microscopista olandese Antoni van Leeuwenhoek (1632-1723) che per primo aveva osservato gli spermatozoi e una infinità di esseri microscopici, alcuni dei quali, asseriva, generatisi spontaneamente sotto i suoi occhi in culture vegetali. Le teorie della generazione, l’applicazione del microscopio allo studio dello sviluppo dell’embrione, le ipotesi di trasformazione successiva delle forme di vita nel corso di tempi certamente più lunghi di quanto descritto nel libro della Genesi attiravano un crescente pubblico di lettori. Dal 1749, la pubblicazione dei primi quattro volumi (su 36) della Storia naturale, generale e particolare di Buffon – scritti con persuasiva eleganza – rifletteva e al tempo stesso rinforzava il gusto per le scienze della natura. Kant lesse con attenzione la prima traduzione in lingua tedesca del 1751, accompagnata da una prefazione filosoficamente e teologicamente agguerrita di Albrecht von Haller (1708-1777) e seguiva con passione il dibattito sui limiti del meccanicismo nella spiegazione dei fenomeni della vita.

Il dibattito sulla nascita della vita

Nel dibattito tra preformisti (che affermavano l’esistenza nelle ovaie o nello sperma di esseri in miniatura, creati da Dio agli inizi della vita) e epigenisti (secondo cui i viventi si organizzano per aggiunte di nuovi materiali all’uovo fecondato), Kant si schierava con i preformisti, preoccupato per le conseguenze materialistiche dell’epigenismo. Se la materia aveva la possibilità di organizzare autonomamente la complessità dei viventi, la stessa esistenza di Dio era messa in dubbio. Kant, e con lui molti preformisti, non sosteneva tuttavia che l’uovo o lo sperma contenessero individui miniaturizzati che avevano solo bisogno della fecondazione per cominciare a evolversi. Kant era convinto che i “germi” degli esseri viventi fossero strutture infinitesimamente piccole dotate di “predisposizione” allo sviluppo tramite assorbimento di materiali nutritivi. La “predisposizione” si realizzava con l’atto della fecondazione. Kant faceva riferimento ai lavori di Caspar Friedrich Wolff (1734-1794) sullo sviluppo dell’embrione di polli attraverso la formazione e differenziazione di lamelle di tessuto. Contrariamente a Wolff, che era un sostenitore dell’epigenesi, Kant argomentava che il procedere verso un fine, la nascita del nuovo essere, indicava chiaramente che la struttura del nuovo nato era preesistente al processo di accrescimento, e rimandava a cause finali e in ultima analisi a un Dio creatore.

“Tutte le razze appartengono a una sola specie”

I concetti complementari di “germe” e di “predisposizione” giocavano un ruolo importante in diversi settori delle ricerche scientifiche e filosofiche di Kant. Ad esempio, Kant interveniva più volte nel dibattito su poligenismo e monogenismo; in Sulla determinazione del concetto di razza umana (1785) sosteneva che tutte le razze appartengono a una sola specie, supportato in questa convinzione dalle ricerche di un suo ammiratore, Johann Friedrich Blumenbach (1752-1840), naturalista e antropologo di fama europea. Occorre tuttavia rilevare che Kant riteneva i germi delle varie razze permanenti e immutabili, per cui, ad esempio, lo stato di inciviltà delle popolazioni di colore era la conseguenza di particolari configurazioni strutturali del germe; era anche propenso a pensare che fosse meglio evitare di sposare chi appartenesse ad una famiglia in cui vi fossero frequenti casi di follia, perché poteva trattarsi di un difetto nel germe. Il tema del germe ritornava anche nelle sue riflessioni sulla civiltà umana in generale e sullo sviluppo di determinate forme culturali.

È istruttivo che l’aspetto “biologico” delle ricerche kantiane sia stato solitamente trascurato dagli storici della filosofia. Lo storico americano Phillip Sloan ha argomentato con dovizia di dettagli che l’analogia con i concetti di “germe” e “predisposizione” che Kant impiega in un famoso passaggio della Critica della ragion pura in cui spiega il fondamento o la scaturigine delle categorie non è dovuta a una preoccupazione pedagogica, ma rivela forse un ragionamento più profondo. Le categorie sono potenzialità che si attivano solo in presenza di un contenuto fornito dall’esperienza sensibile. Sono potenzialità di reazione strutturante, non strutture esistenti in sé e per sé. Per non parlare del ruolo della teleologia nella terza Critica: una lunga tradizione storiografica ama soffermarsi a commentare i giudizi estetici e morali, mentre si tende a relegare in secondo piano quanto Kant dice sul giudizio teleologico, che riassume quasi quaranta anni di letture nel settore delle scienze della vita. La frase di Kant che escludeva la possibilità di un “Newton del filo d’erba” (Critica del giudizio, II, § 75), per dichiarare che le scienze della vita richiedevano considerazioni di ordine teleologico – che rimandavano a un ordine metafisico – venne ripetuta per decenni da naturalisti come Cuvier per negare ogni spiegazione dei fenomeni della vita nei termini di leggi fisico-chimiche. Nell’Inghilterra vittoriana, un fiero oppositore dell’evoluzione che Darwin rispettava, William Whewell (1794-1866), faceva esplicito riferimento a Kant per negare che un organismo potesse mutare se sollecitato da opportune condizioni ambientali.

Quanto a Kant, l’opera del suo allievo Johann Gottfried von Herder (1744-1803) Idee per la filosofia della storia dell’umanità (1784-1791) in cui, tra l’altro, si abbracciavano le tesi dell’epigenismo e si affermava la possibilità di lente trasformazioni degli organismi viventi in risposta ad egualmente lenti mutamenti geoclimatici, gli permetteva di precisare con una certa severità che i viventi non potevano mutare, in quanto i germi da cui scaturivano non dipendevano in alcun modo dalle condizioni di vita.

Gli studi più recenti su Kant e le scienze, e in particolar modo sui suoi rapporti con le scienze della vita del suo tempo, rivelano dimensioni affascinanti delle ricerche di un pensatore certamente complesso, che occorre tuttavia comprendere attraverso l’insieme dei suoi interessi e dei suoi lavori.

LETTURE

Accademie e riviste scientifiche

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Newton e la nuova meccanica celeste

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La medicina