Nato a Königsberg nel 1724, Kant scrive una lunga serie di testi di carattere logico, matematico e fisico, dalla Storia universale della natura e teoria del cielo (1755) alle Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime (1764), mentre opere come il De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis (1770) anticipa già i temi sviluppati nelle tre Critiche, la Critica della ragion pura (1781; seconda edizione nel 1787), la Critica della ragion pratica (1787) e la Critica del giudizio (1790); seguiranno nel 1793 La religione nei limiti della semplice ragione e il breve testo Per la pace perpetua (1795). Abbandonato nel 1798 l’insegnamento universitario, Kant muore nel 1804.
Il compito della filosofia critica non risiede nella negazione della realtà in nome delle strutture dell’intelletto, ma nell’indagine sulla validità della conoscenza operata dall’intelletto e sulla legittimità delle aspirazioni della ragione. Il punto centrale del criticismo kantiano, a partire dalla lettura di Hume, è la messa in questione della natura passiva dell’intelletto e della conoscenza in generale. L’esperienza ci fornisce delle rappresentazioni, che la sensibilità unisce attraverso le intuizioni pure di spazio e tempo; l’intelletto, poi, struttura tali rappresentazioni concettualmente nelle categorie. Le categorie per Kant sono categorie del pensiero e non dell’essere; la molteplicità delle rappresentazioni si unifica, infine, grazie all’“io penso”, o “appercezione pura dell’io”. Da qui nasce la possibilità dei giudizi sintetici a priori, cioè di una conoscenza reale e al contempo universale, fondata su forme trascendentali che per Kant sono una costante universale dell’intelletto umano.
Kant cerca di spiegare come i contenuti concreti dell’intuizione possano essere sussunti, ovvero ricondotti, alle categorie (che sono astratte). Il ruolo di mediazione è svolto dall’immaginazione, che provvede una rappresentazione chiamata “schema trascendentale”, al contempo intellettuale e sensibile.
Nella filosofia critica è fondamentale la distinzione tra noumeno, o “cosa in sé”, inconoscibile dall’intelletto, e fenomeno ovvero l’oggetto come si presenta alle forme pure a priori della conoscenza. Tuttavia la ragione tende a formulare concetti al di là dell’esperienza: essi sono le “idee”, come l’anima o Dio, e sono costituivamente impensabili dall’intelletto. Le idee della ragione sono oggetto della Dialettica trascendentale nella Critica della ragion pura.
Kant recupera in ambito morale quelle verità religiose che la filosofia critica aveva escluso dall’ambito della possibilità di conoscenza intellettuale. L’uomo è segnato da una natura divisa tra volontà e ragione: ha quindi bisogno di comandi e doveri. Essi devono assumere la forma di imperativi categorici (a differenza di quelli ipotetici che subordinano l’agire al raggiungimento di uno scopo), cioè doveri che vanno assunti in quanto tali, in grado quindi di muovere la volontà umana in forza esclusivamente della loro razionalità. Quando si lascia determinare dalla pura ragione, la volontà si dimostra libera, perché può fare ciò che deve. L’etica kantiana non è prescrittiva, e non prescrive contenuti, bensì indica la forma pura dell’agire secondo il dovere.
In questo contesto ricompaiono quelle idee di anima immortale, di Dio e della libertà che l’intelletto aveva escluso nella prima Critica, perché inconoscibili: esse ritornano ma non come concetti, bensì come postulati della ragion pratica e condizioni dell’impegno morale.
Nella terza delle Critiche Kant prende in esame la facoltà del giudizio, intermedia tra intelletto e ragione, tra l’ambito della necessità (Critica della ragion pura) e quello della libertà (Critica della ragion pratica). Centrale è la riflessione sul giudizio “riflettente”, come quel giudizio (ne è un esempio la valutazione estetica) che pensa ciò che è generale, in assenza di concetti adeguati, come se esso fosse pensabile. L’indagine sul giudizio estetico conduce Kant a distinguere in esso quattro momenti: il bello è oggetto di un piacere disinteressato, di una universalità senza concetto, di una finalità senza scopo e di un piacere necessario. Kant distingue inoltre tra piacere del bello e piacere del sublime: mentre il primo deriva dalla forma dell’oggetto e dal suo accordo con le facoltà dell’individuo, il piacere del sublime è tale da attrarci e al contempo respingerci. Nella seconda parte della Critica del giudizio, infine, Kant esamina il giudizio teleologico, con il quale giudichiamo la natura come se tendesse a un fine: esso sopperisce alla nostra impossibilità di conoscere il meccanismo della natura, e ci stimola a esplorare il mondo anche quando ne ignoriamo ancora le leggi.
E. Cassirer, Vita e dottrina di Kant, La Nuova Italia, Firenze 1977
A. Guerra, Introduzione a Kant, Laterza, Roma-Bari 1980
D. Hoffe, Immanuel Kant, il Mulino, Bologna 2002
S. Körner, Kant, Laterza, Roma-Bari 1987
S. Landucci, La Critica della ragion pratica. Introduzione alla lettura, Carocci, Roma 2010
S. Marcucci, Guida alla Critica della ragion pura di Kant, Laterza, Roma-Bari 2009
M. Mori, La pace e la ragione. Kant e le relazioni internazionali: diritto, politica, storia, il Mulino, Bologna 2008
L. Pareyson, L'estetica di Kant. Lettura della Critica del Giudizio, Mursia, Milano 1968
S. Poggi, Il realismo della ragione. Kant dai lumi alla filosofia contemporanea, Mimesis, Milano 2013
P.F. Strawson, Saggio sulla Critica della ragion pura, Laterza, Roma-Bari 1985
H.J. de Vleeschauwer, L'evoluzione del pensiero kantiano, Laterza, Roma-Bari 1976