La filosofia dell’idealismo inizia sotto il segno ineliminabile di Kant, ma cerca di andare oltre.
La Rivoluzione francese sul piano politico e la “rivoluzione copernicana” di Kant sul piano filosofico sono i punti di riferimento per comprendere la filosofia che si afferma in Germania a partire dall’ultimo decennio del Settecento, e che è comunemente designata come “idealismo”.
La Rivoluzione francese viene percepita come la grande occasione per l’affermazione della libertà e dei diritti degli uomini, per una riforma delle istituzioni e per un rinnovamento della società, in particolare in un paese come la Germania, che si presenta frammentato in stati dall’organizzazione ancora sostanzialmente feudale e caratterizzati da una rigida suddivisione in classi. Nel rapporto con la Rivoluzione francese i protagonisti dell’idealismo dimostrano inizialmente atteggiamenti di grande entusiasmo (notevolmente mitigato dopo il Terrore e l’ascesa al potere di Napoleone): Fichte rivendica nei suoi scritti la legittimità della rivoluzione, mentre Hegel e Schelling, di qualche anno più giovani e compagni di studi allo Stift di Tubinga, testimoniano apertamente la loro adesione agli ideali rivoluzionari.
La filosofia dell’idealismo inizia sotto il segno ineliminabile di Kant, ma cerca di andare oltre. Il mondo non è tanto l’oggetto di conoscenza di un soggetto individuale che condivide con tutti gli altri soggetti la stessa struttura conoscitiva; è piuttosto il grande teatro della storia umana, che dalla nascita di Fichte (1762) alla morte di Schelling (1854) registra una successione di passaggi epocali, dalla rivoluzione americana a quella francese, da Napoleone ai moti che scandiscono la prima metà del secolo. Questa storia, per filosofi come Hegel, è dominata da leggi immanenti di una ragione sovraindividuale che in una lotta continua si manifesta nel corso degli eventi umani, in un processo che non ha fine ma che in qualche modo non conosce regressioni perché tutto quello che è reale (che avviene o è avvenuto) è razionale. Gli idealisti quindi, pur raccogliendo l’eredità di Kant e della filosofia critica, se ne discostano sul punto dei limiti della ragione. Alla filosofia deve essere possibile penetrare il senso profondo della realtà e comprenderne le strutture: in questo senso gli idealisti escono spesso dai confini del criticismo per riallacciarsi alla tradizione filosofica e metafisica prekantiana, oggetto peraltro di un serrato confronto negli anni dei loro studi universitari.
È difficile ricondurre i sistemi filosofici di Fichte, Schelling e Hegel a uno schema comune. A risaltare sono piuttosto, pur nel quadro di riferimento che abbiamo delineato, le differenze: Fichte si presenta come il fondatore di un idealismo soggettivo ed etico, basato sulla centralità dell’io e contraddistinto da un’attenzione particolare per le caratteristiche formali della coscienza; Schelling si distingue per un particolare interesse verso la natura, l’arte e il mito e per l’elaborazione di un idealismo estetico nel quale l’uomo possa attingere l’assoluto mediante un’intuizione artistica; Hegel, infine, appare come il rappresentante di un idealismo centrato sul concetto di spirito e nel quale è riservata un’attenzione particolare alla storia e alla rivalutazione filosofica del cristianesimo.
Una certa storiografia, di derivazione hegeliana, ha poi proposto una lettura della corrente idealista secondo una linea di sviluppo che vedrebbe il sistema di Hegel come compimento di tutto l’idealismo. In realtà, nonostante le differenze d’età e nonostante il fatto che tra la morte di Fichte e quella di Schelling trascorra un quarantennio, i sistemi dell’idealismo sono da considerarsi contemporanei: nell’elaborarli i tre filosofi tengono conto l’uno del pensiero dell’altro in un gioco di rimandi e polemiche, impliciti ed espliciti. Per questo è possibile rintracciare anche diversi tratti comuni, tra i quali il più importante è senza dubbio la rivendicazione della filosofia come sistema completo, omnicomprensivo, che sta a fondamento di tutte le altre discipline. Tutto il sapere umano deve essere infatti organizzato, per gli idealisti, secondo un progetto enciclopedico fondato sulla razionalità del sistema, che a sua volta rispecchia la razionalità del mondo, tanto di quello della natura, considerata un tutto organico, quanto di quello della storia.
Anticipato nella definizione kantiana dell’idealismo trascendentale come la dottrina per cui i fenomeni sono considerati rappresentazioni e non cose in sé, il significato di fondo dell’idealismo tedesco può essere individuato nella fondamentale corrispondenza tra la struttura razionale della realtà e la capacità umana di elaborarne la conoscenza.
Una delle idee correnti, diffuse tra i suoi nemici, è che la filosofia idealistica neghi l’esistenza della realtà e la consideri una costruzione del pensiero. Niente di più falso: da Fichte a Hegel all’attività dell’Io si oppone sempre una natura, il corpo con la sua presenza, il non-io come oggetto, il mondo, l’essere-in-sé. Semplicemente questa presenza della natura diventa qualcosa di pensabile solo attraverso l’attività spirituale. Ma basterebbe sostituire le categorie idealistiche che si riferiscono all’attività spirituale con “cultura” e si capirebbe come gli idealisti possano pensare al mondo esterno solo in quanto l’attività culturale gli conferisce una forma e un senso.
In tal senso una delle caratteristiche dell’idealismo è rivolgersi (come prima di allora aveva fatto forse solo Vico) alla storia.
Infine va osservato che, se prima i filosofi erano scienziati, teologi, philosophes e in generale pensatori non legati a una corporazione specifica, con l’idealismo nasce la figura del filosofo accademico, del professore universitario che, in quanto professionista della filosofia, cerca di ripensare quanto i filosofi precedenti avevano considerato da diverse prospettive. È questa caratteristica del filosofo che in generale sopravvive anche oggi.