Per saperne di piùLa Naturphilosophie

di Stefano Poggi

La fisica e il vivente: Kant e Kielmeyer

Nei Principi metafisici della scienza della natura (Metaphysische Anfangsgründe der Naturwissenschaft, 1786) Immanuel Kant rileva che la materia “non riempie lo spazio in virtù della sua assoluta impenetrabilità, ma per mezzo di una forza repulsiva che ha il suo grado”. Kant opta per il punto di vista dinamistico, ma continua ad assumere la fisica matematica newtoniana come modello della scienza della natura. Tuttavia, l’impossibilità di applicare la matematica allo studio della natura organica impedisce l’accertamento di leggi del vivente analoghe a quelle della fisica. Nondimeno, anche la vita degli organismi è conforme a leggi. È come se alla vita dell’organismo presiedesse il disegno finalistico di una intelligenza superiore. Tale fine appare interno all’organizzazione del vivente. L’essere organizzato non è “una semplice macchina, che non ha altro che la forza motrice”. È retto invece da una “forza formatrice”, da un nisus formativus, come già affermato da Johann Friedrich Blumenbach (1752-1840), il naturalista e antropologo di Göttingen sostenitore della epigenesi contro la preformazione. La concezione kantiana dello studio del vivente è condivisa da un allievo di Blumenbach e maestro a sua volta di generazioni di scienziati tedeschi: Carl Friedrich Kielmeyer (1765-1844). Nel vivente, è necessario “ammettere che nella maggioranza dei casi il concatenarsi delle cause e degli effetti cui assistiamo ci appare come quello che, nel nostro operare, è il nesso tra mezzi e scopi”. Kielmeyer – al pari di Kant – non si schiera tuttavia per il finalismo. L’organismo è una “enorme macchina”, e le sue leggi devono essere accertate dalla “fisica del mondo animale”. Lo studio dei processi della generazione si unisce all’accertamento delle condizioni fisico-chimiche elementari della vita. Le “forme” dell’organismo sono il risultato della utilizzazione delle “materie” dell’ambiente secondo fasi scandite da modalità non riducibili alla causalità meccanica.

La polarità della natura, l’elettricità, la chimica, la forza vitale

Johann Wilhelm Goethe (1749-1832) – il grande poeta tedesco, che per tutta la vita coltiva studi scientifici – è deciso avversario della fisica newtoniana e, con questa, del meccanicismo. Le ragioni della sua posizione sono però diverse da quelle per cui Kant si orienta per il dinamismo: nascono da un radicale dissenso sul piano dell’interpretazione dei fenomeni ottici. Goethe respinge la tesi della natura composta della luce: a suo avviso, la gamma cromatica è riconducibile al conflitto tra i due poli della luce e dell’oscurità. La natura, nella sua “polarità originaria”, pulsa in un’eterna “sistole e diastole”. Non diverso è il fondamento delle “affinità elettive” che, come poli di reciproca attrazione, si manifestano tra gli elementi e sono rette da leggi che sembrano valere anche per gli uomini, così come è narrato nel romanzo omonimo (Le affinità elettive) che Goethe pubblica nel 1809.

La tesi della fondamentale “polarità” di ogni processo di natura è centrale nello studio dei fenomeni magnetici ed elettrici, del cosiddetto “galvanismo” ovvero dell’“elettricità animale”. Oggetto di studio da parte, oltre che di Kielmeyer, di Alexander von Humboldt (1769-1859) e di Johann Christian Reil (1759-1813), tali questioni sono affrontate in particolare da Johann Wilhelm Ritter (1776-1810), scopritore dell’elettrolisi e dell’ultravioletto. Ritter fa oggetto di molte ricerche la cosiddetta “catena galvanica”, ovverosia l’arco bimetallico i cui estremi sono posti a contatto l’uno del muscolo della zampa della rana, l’altro del nervo del muscolo medesimo. La contrazione del muscolo si produce solo alla chiusura o all’apertura della “catena”, quando si interrompe un’azione altrimenti continua. Secondo Ritter, ogni corpo è costituito di “catene galvaniche”. Nella “catena galvanica” si dimostra la labilità del confine tra animato e inanimato. Il “processo galvanico ci fornisce come il primo simbolo di ogni organizzazione come autoriproduzione”: la vita è il “momento culminante dell’esprimersi del galvanismo nel corpo animale”, “processo chimico alla seconda potenza” retto dal principio della polarità. Lo stesso principio vige anche sul piano dei fenomeni luminosi. L’ottica è una “chimica trascendentale”: all’estremo opposto di quella dell’infrarosso, si trova la banda dell’ultravioletto.

Il programma di una filosofia della natura in Schelling

È con Friedrich Wilhelm Joseph Schelling che prende forma un vero e proprio programma di “filosofia della natura”. Una compiuta “teoria della natura” si deve fondare sugli “elementi del nostro sapere empirico”: la materia e le forze. È impossibile “pensare la materia senza forza”. In sintonia con Kant, Schelling afferma che la materia riempie lo spazio con le forze originarie dell’attrazione e della repulsione. Tale riempimento si avvia con l’“assolutamente fluido”, dove “si dà il più completo equilibrio delle azioni”. Nella natura tutto è divenire: la “fluidità assoluta” si manifesta come “materia del calore” che “fluidifica tutto quanto si dà in natura”. Carattere costitutivo di ogni qualità è l’“assoluta relatività”, quale risalta nel “rapporto elettrico dei corpi”. Anzi: l’“assoluta relatività” si presenta all’interno d’un “medesimo corpo”, ora positivo, ora negativo. “Non vi è corpo che sia assolutamente non-elettrico”: con intensità diverse, in ogni corpo si manifesta il dualismo che compenetra l’intera natura, sede d’una “contrapposizione originaria”. Il primo autentico manifestarsi di tale dualismo universale è la “forza magnetica”, la cui polarità è espressione emblematica del “carattere dell’intera natura”: l’“identità nella duplicità e la duplicità nell’identità”. Se l’“omogeneo entra in contatto con il suo eterogeneo”, si altera lo “stato di indifferenza” dello stato fluido, sensibile a ogni perturbazione. Con quelli magnetici, i fenomeni elettrici e chimici rappresentano altrettanti momenti dell’infinita produttività della natura, sempre conforme al modello della polarità. Nel magnetismo, la polarità è lineare; nell’elettricità, la polarità agisce tra superfici; nell’“affinità chimica” abbiamo invece una polarità volumetrica, distribuita nelle tre direzioni spaziali. Il “processo dinamico” di “costruzione della materia” è un processo di “potenziamento” analogo all’“innalzamento a potenza” in matematica, dove il numero è moltiplicato per sé stesso. Il primo grado di tale “potenziamento” è il generarsi della materia dall’azione reciproca dell’attrazione e della repulsione: si ha così il “riempimento dello spazio” col manifestarsi della forza di gravità. Abbiamo poi il rinnovarsi e ripetersi della polarizzazione propria dei “processi del primo ordine”: con i fenomeni del magnetismo, dell’elettricità e del “processo chimico” si ha l’innalzamento della forza di gravità alla “seconda potenza”, in cui si manifesta la luce, che “descrive tutte le dimensioni dello spazio, senza che però si possa dire che le riempia effettivamente”. Con un nuovo e più complesso ripetersi dei processi non solo della “prima potenza”, ma anche della “seconda potenza” si ha quindi l’innalzamento alla natura organica: al magnetismo, alla elettricità e al “chimismo” corrispondono la forza riproduttiva, l’irritabilità e la sensibilità: il “processo della vita” è “la potenza superiore del processo chimico”. L’assunzione di un “punto di vista speculativo” garantisce così la comprensione dei processi di natura in base a quella che viene indicata come la “deduzione generale del processo dinamico” garante della “costruzione della materia”.

Polarità e organismo; polarità magnetica e conflitto elettrico; la scoperta dell’elettromagnetismo

La tesi della fondamentale polarità dei processi di natura viene su queste basi applicata all’osservazione della vita dell’organismo. Quanto è prodotto nei singoli organi e nei singoli “sistemi” è retto – così Johann Joseph von Görres (1776-1848) – da rapporti d’interdipendenza che si palesano in termini di antagonismo e nello stesso tempo fondano e garantiscono il “sistema organico”. Ogni organismo è un “universo dotato di un’anima”, così come voleva l’antica teoria del macrocosmo-microcosmo. Le stesse leggi valgono per il sistema solare e per il “centro del microcosmo organico”, là dove presiedono allo sviluppo dell’embrione. La necessità d’una “filosofia della natura” che uniscala geologia alla cosmologia, la chimica alla meccanica celeste è affermata inoltre da un deciso sostenitore delle tesi di Schelling, il norvegese Henrik Steffens (1773-1845). Egli afferma che la scienza ha il compito di salvaguardare la “sacra unità delle cose con sé stesse”. Steffens concentra la sua attenzione sulla chimica e sulla geologia, convinto della possibilità di potere ricondurre ogni composto chimico ai quattro elementi dell’ossigeno, dell’idrogeno, del carbonio e dell’azoto, le cui infinite possibilità di combinazione sono assicurate dalla “forza formatrice della natura” che opera nell’“animalizzazione” e nella “vegetalizzazione” alla base della storia della terra. Il globo terracqueo ha avuto origine da un “fluido caotico”, cui il magnetismo ha assicurato una specifica “coerenza”.

La filosofia della natura d’impianto schellinghiano è alle origini di un’altra decisiva scoperta, dopo quelle dell’elettrolisi e dell’ultravioletto da parte di J.W. Ritter. La scoperta è quella dell’elettromagnetismo, dovuta in misura essenziale al fisico danese Hans Christian Ørsted (1777-1851). Ørsted riserva particolare attenzione allo stretto rapporto tra processo chimico e “conflitto elettrico”. Il “conflitto elettrico” si palesa nel calore e nella luce come forze che esplicano un’“azione radiante”, tale da avere effetto anche a distanza. Lo dimostra la rotazione compiuta da un ago magnetico tenuto sospeso sopra un conduttore elettrico riscaldato dalla corrente non appena il flusso di quest’ultima muta direzione per l’inversione dei poli. La scoperta di Ørsted rafforza la tesi non solo della fondamentale unità dei processi di natura, ma anche della concreta possibilità che lo “studio della natura” risolva “le qualità in quantità”: dei fenomeni magnetici, elettrici e anche chimici appare ora possibile la misurazione e quindi la matematizzazione.

La nascita della biologia: Treviranus e Oken

La “filosofia della natura” ispiratrice di larga parte della ricerca scientifica della Germania dei primissimi anni del secolo XIX produce effetti assai significativi sul piano dell’indagine intorno al vivente. Si avvia la costruzione di una vera e propria scienza del vivente, di una “biologia” a opera di studiosi profondamente sensibili alle esigenze di una “filosofia della natura” come Karl Friedrich Burdach (1776-1847) e Gottfried Reinhold Treviranus (1776-1837). Quest’ultimo, nel 1802, pubblica il primo dei sei volumi (l’ultimo uscirà nel 1822) di un’opera dal titolo eloquente: Biologia o Filosofia della natura vivente (Biologie: oder Philosophie der lebenden Natur). Cauto nei confronti di ogni forma di vitalismo, Treviranus condivide la tesi kantiana dell’esistenza di un’unica forza fondamentale di repulsione in un universo infinito in perenne movimento. È chiaro che “ogni singolo organismo è in un rapporto di dipendenza nei confronti dell’universo”; ma nello stesso tempo è innegabile la resistenza alla casualità e alla mutevolezza delle “influenze esterne” da cui esso è caratterizzato e che si manifesta nell’“uniformità”. È il principio della vita che assicura tale “uniformità” non appena si diano le condizioni del suo costituirsi, anche se a uno stadio embrionale: la vita minima. Treviranus contempla l’ipotesi dello sviluppo delle forme di vita più complesse dalle forme più semplici e addirittura dalla stessa materia “inanimata”. Rilevanza tutta particolare è così quella degli interrogativi intorno alla generazione, con una rinnovata attenzione per l’antica distinzione tra generatio univoca e generatio aequivoca.

Più sensibile alle esigenze speculative della “filosofia della natura” e pronto a sollevare interrogativi di ordine cosmologico e antropologico è invece Lorenz Oken (1779-1851), convinto dell’assenza di soluzioni di continuità tra l’“inanimato” e il vivente. Oken ravvisa all’opera nei processi di natura una continua pulsione che si manifesta nel “sentire”. Ogni “classe animale” rappresenta un modo di “mostrarsi” di tale “sentire”, una “esibizione dei sensi”, che dai livelli più semplici giunge a quelli di maggiore complessità. La natura esplica una serie di funzioni: il “grado più elevato di vitalità” è proprio della “funzione animale”, che nell’uomo ha la più compiuta manifestazione perché è nell’uomo che è presente e operante la maggiore varietà di organi. L’uomo è “l’unione di tutti i caratteri propri dell’animale”, mentre gli animali sono “solo singoli sviluppi di alcuni di questi singoli caratteri”. È il “puro e semplice mutare dell’entità del nutrimento” a produrre le diversità tra le varie specie animali: diversità che anzi “non sono neanche diversità”, ma solo modalità diverse di esplicazione della medesima “funzione animale”. Anche nella loro apparente autonomia, gli animali sono “solo parti di quel grande animale che è il regno animale”, nel quale “il sistema degli animali” non si ordina “in modo arbitrario”, ma secondo “rigorosi precetti” che fanno sì che “non si danno mai due animali che stiano allo stesso livello”. Emerge così la completa relatività del confine tra mondo vegetale e mondo animale. È da una “mucosa originaria”, dalla “schiuma del mare” che hanno tratto origine gli organismi viventi, la cui forma iniziale è stata quella di una sorta di “vescicolette primitive”. Il loro conglomerato dà luogo a una “massa organica”, via via interessata da metamorfosi prive di soluzioni di continuità, come è dato di constatare nello sviluppo dell’embrione e del feto. Facendo proprie idee già di Kielmeyer, Oken si dichiara dell’avviso che, nel corso della sua vita nell’utero, il feto attraversi “tutti i livelli di metamorfosi del regno animale”, a riprova di “un completo parallelismo” tra il suo sviluppo e quello del regno animale.

L’enciclopedia delle scienze: Hegel

Il carattere processuale dei fenomeni di natura incontra il deciso interesse di Georg Wilhelm Friedrich Hegel già nella Scienza della logica (1813). Il confronto sistematico di Hegel con il problema d’una filosofia della natura ha però luogo solo nelle tre successive redazioni della Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (1817, 1827 e 1830). L’attenzione per il vivente nella processualità in cui esso si sviluppa nel tempo si accompagna alla riflessione sulle modalità di applicazione della matematica alla misurazione di ciò che si offre all’osservazione empirica. La matematica è scienza del “quanto” e quindi delle “grandezze”. Ma nello stesso tempo Hegel sottolinea la necessità di distinguere tra la matematica come operazione prettamente logica e quella che, invece, è la conformazione che essa assume sul piano applicativo, in primo luogo nella meccanica. Le due redazioni dell’Enciclopedia del 1827 e del 1830 vedono poi accrescersi lo spazio dedicato al problema dell’organico, del vivente. Hegel, peraltro, tiene a sottolineare la sua distanza da ogni recupero del tema del microcosmo-macrocosmo. L’“interno” dell’anima è inaccessibile dall’esterno. Va respinta l’“animalizzazione” dell’uomo, la sua riduzione al piano della pur fondamentale “individualità organica dell’organismo animale”, con la perdita di ogni reale individualità, possibile solo in base all’esercizio consapevole della ragione. La “necessità assoluta” dello spirito sovrasta la “necessità contingente” d’una natura di costituzionale “impotenza”. È solo nei termini dell’astrazione che la natura, ai vari livelli dell’osservazione e descrizione dei suoi processi, può essere osservata e valutata, sempre però ricevendo in tal modo determinazioni comunque estrinseche. La “filosofia della natura” trova nel sistema hegeliano la sua formulazione più articolata. In essa sono tuttavia presenti forti elementi speculativi che, nel giro di pochi anni, si tradurranno in formulazioni dogmatiche tali da rendere impossibile, come dimostrano le vicende della scuola hegeliana fin quasi alla metà del secolo XIX, un reale confronto con lo sviluppo delle scienze.