25.

Ore 18,20

Il comandante Gregor Suslev salutò con un gesto della mano i poliziotti ai cancelli del cantiere di Kowloon. I due agenti in borghese che lo pedinavano stavano a cinquanta metri da lui. Indossava un abito borghese di buon taglio. Si fermò per un momento sul marciapiede a osservare il traffico, poi chiamò un tassì di passaggio. Il tassì si allontanò e una piccola Jaguar grigia, con a bordo il sergente Lee del CID e un uomo del CID al volante, lo seguì prontamente.

Il tassì si avventurò lungo Chatham Road, in mezzo al solito traffico intenso, verso sud, costeggiando la ferrovia, poi svoltò verso ovest lungo Salisbury Road, fino all’estremità sud di Kowloon, passando davanti al capolinea della ferrovia, presso il terminal del Golden Ferry. E là si fermò. Suslev pagò e salì correndo la scalinata del Victoria and Albert Hotel. Il sergente Lee lo seguì, mentre l’agente parcheggiava la Jaguar della polizia.

Suslev si soffermò per un momento nell’immenso vestibolo affollato dai soffitti altissimi e ornati e gli antiquati ventilatori elettrici, e cercò con gli occhi un tavolo libero. La sala risuonava del tintinnio del ghiaccio nei bicchieri dei cocktail e di conversazioni sommesse. Erano quasi tutti europei. Qualche coppia cinese. Suslev passò fra la gente, trovò un tavolo, ordinò a gran voce una vodka doppia, sedette e cominciò a leggere il giornale. Poi la ragazza si fermò accanto a lui.

“Ciao” disse lei.

“Ginny, doragaia!” esclamò lui, raggiante, l’abbracciò e la sollevò, tra la scandalizzata disapprovazione di tutte le donne presenti e l’invidia segreta di tutti gli uomini. “Quanto tempo, golubčik!”

Ayeeyah” disse lei, scuotendo la testa e facendo danzare i capelli corti. Sedette, consapevole delle occhiate che le facevano rabbia e piacere. “Tu ritardo. Perché tu fatto me aspettare? Una signora non piace aspettare in Victoria tutta sola, heya?”

“Hai ragione, golubčik!” Suslev tirò fuori un pacchetto e glielo porse, con un altro sorriso raggiante. “Ecco, l’ho portato da Vladivostok!”

“Oh, come ringraziare te?” Ginny Fu aveva ventotto anni, e molto spesso, la sera, lavorava al Happy Drinkers Bar in un vicolo dalle parti di Mong Kok, circa un chilometro più a nord. Certe sere andava alla Good Luck Ballroom. Molto spesso sostituiva le amiche dietro il banco di qualche negozietto, quando loro andavano con un cliente. Denti candidi, occhi e capelli nerissimi e carnagione dorata, il chong-sam sgargiante con una spaccatura che metteva in mostra le cosce lunghe, inguainate nelle calze. Guardò il pacchetto, eccitata. “Oh, grazie, Gregor, grazie grazie!” Lo mise nella borsa e gli rivolse un gran sorriso. Poi girò gli occhi sul cameriere che stava portando la vodka a Suslev con il soddisfatto, aperto disprezzo che tutti i cinesi riservavano a tutte le giovani donne cinesi in compagnia dei quai loh. Naturalmente, dovevano essere puttane di terz’ordine… altrimenti, come avrebbero potuto sedere insieme a un quai loh in un locale pubblico, in particolare nell’atrio del Vic? Il cameriere posò la vodka con insolenza e ricambiò l’occhiata.

Dew neh loh moh a tutti quei porci dei tuoi antenati” sibilò lei, nel cantonese dei bassifondi. “Mio marito, qui, è un 489 della polizia e basta che io dica una parola perché quelle noccioline insignificanti che hai al posto delle palle finiscano schiacciate un’ora dopo che lascerai il lavoro questa notte!”

Il cameriere impallidì. “Eh?”

“Un tè bollente! Portami un fottuto tè bollente, e se ti azzardi a sputarci dentro, dirò a mio marito di farti un nodo a quella specie di pagliuzza che hai al posto dello stelo!”

Il cameriere scappò via.

“Che cosa gli hai detto?” chiese Suslev, che capiva solo poche parole di cantonese, sebbene parlasse l’inglese in modo perfetto.

Ginny Fu sorrise dolcemente. “Io chiesto lui portare tè.” Sapeva che il cameriere avrebbe sputato automaticamente nel tè, adesso, o più probabilmente, per maggior sicurezza, l’avrebbe fatto fare a un amico; perciò non l’avrebbe bevuto e gli avrebbe fatto perdere ancor più la faccia. Sporco osso di cane! “Prossima volta non piace incontrare qui, tanta gente cattiva” disse imperiosamente, guardandosi intorno, poi arricciò il naso in direzione di un gruppo di anziane inglesi che la fissavano. “Troppa puzza” aggiunse a voce alta, scrollando di nuovo i capelli, e ridacchiò tra sé vedendo che quelle arrossivano e distoglievano gli occhi. “Questo regalo, Gregy. Grazie grazie!”

“Niente” disse Suslev. Sapeva che lei non avrebbe aperto il pacchetto, adesso – o davanti a lui – secondo i dettami del galateo cinese. Poi, se non avesse gradito il dono o fosse rimasta delusa o avesse imprecato sonoramente perché era della misura sbagliata o del colore sbagliato, oppure troppo meschino o di cattivo gusto, lui non avrebbe perso la faccia e lei non avrebbe perso la faccia. “Molto sensato!”

“Cosa?”

“Niente.”

“Tu bell’aspetto.”

“Anche tu.” Erano trascorsi tre mesi dall’ultima visita di Suslev, e sebbene la sua amante a Vladivostok fosse un’eurasiatica con la madre bielorussa e il padre cinese, Ginny Fu gli piaceva.

“Gregy” disse lei, poi abbassò la voce, con un sorriso provocante. “Finisci bere. Cominciare vacanza! Io ho vodka… io ho altre cose!”

Suslev ricambiò il sorriso. “Certo che le hai, golubčik!”

“Tu quanti giorni avere?”

“Almeno tre, ma…”

“Oh!” Ginny cercò di nascondere la delusione.

“… vado e torno dalla mia nave. Abbiamo quasi tutta questa notte, e domani, e tutta domani notte. E splenderanno le stelle!”

“Tre mesi molto tempo, Gregy.”

“Tornerò presto.”

“Sì.” Ginny Fu accantonò il disappunto e ridivenne pratica. “Finisci bere e noi cominciare!” Vide il cameriere che arrivava correndo con il tè. Trapassò l’uomo con gli occhi, quando lo posò sul tavolino. “Uh! Si capisce subito che è freddo e non è preparato di fresco!” disse disgustata. “Chi sono io? Uno sporco pezzo di carne di cane d’una diavolessa straniera? No, sono una persona civile delle Quattro Province che, quando il suo ricco padre perse tutto al gioco, fu venduta da lui come Moglie Numero Due a questo capo della polizia dei diavoli stranieri! Quindi vai a orinare nel tuo cappello!” Ginny si alzò.

Il cameriere arretrò di un passo.

“Cosa succede?” chiese Suslev.

“Tu non paga per tè, Gregy. Non caldo!” disse imperiosamente. “Non dare mancia!”

Suslev, comunque, pagò, e lei gli prese il braccio, e uscirono insieme, seguiti da molti sguardi. Ginny teneva la testa alta, ma detestava le occhiate di tutti i cinesi, persino del giovane fattorino inamidato che aprì la porta… l’immagine del suo fratello minore, al quale lei pagava il mantenimento e gli studi.

Dunross stava salendo la scalinata. Si scostò per lasciarli passare, con un lampo divertito negli occhi, poi entrò, accolto da un inchino cerimonioso del giovane fattorino. Passò tra la folla e si diresse verso il telefono. Molti lo notarono subito, e lo seguirono con gli occhi. Girò intorno a un mucchio di turisti carichi di macchine fotografiche, e scorse Jacques deVille e sua moglie Susanne a un tavolo d’angolo. Tutti e due avevano l’aria sostenuta, e fissavano i rispettivi bicchieri. Dunross scrollò la testa, stancamente divertito. Il povero vecchio Jacques si è fatto pescare di nuovo, e lei sta rigirando il coltello nella piaga della sua infedeltà. Gli sembrava di sentire la risata del vecchio Chen-chen. “La vita dell’uomo è sofferenza, giovane Ian! Sì, è l’eterno yin in guerra con il nostro vulnerabile yang…”

Normalmente, Dunross avrebbe finto di non notarli, per lasciarli alla loro intimità, ma l’istinto gli suggerì di comportarsi in un altro modo.

“Salve, Jacques… Susanne. Come va?”

“Oh, salve, salve, tai-pan.” Jacques deVille si alzò educatamente. “Vuoi farci compagnia?”

“No, grazie, non posso.” Poi Dunross vide la profonda sofferenza dell’amico e ricordò l’incidente d’auto avvenuto in Francia. La figlia di Jacques, Avril, e suo marito! “Che cos’è successo? Esattamente!” disse Dunross, in tono autoritario, come esigesse una risposta immediata.

Jacques esitò, poi disse: “Esattamente, tai-pan: ha chiamato Avril. Ha telefonato da Cannes mentre stavo uscendo dall’ufficio. Mi ha… mi ha detto: ‘Papà… papà, Borge è morto… Mi senti? Sono due giorni che tento di telefonarti… è stato uno scontro frontale e l’altro, l’altro era… Il mio Borge è morto… mi senti…’” La voce di Jacques era atona. “Poi la linea è caduta. Sappiamo che è in ospedale, a Cannes. Ho pensato fosse meglio che Susanne partisse subito. Il suo… il suo volo è in ritardo e così… e così stiamo qui ad aspettare. Stanno cercando di chiamare Cannes ma non ci spero molto.”

“Cristo, mi dispiace immensamente” disse Dunross, cercando di scacciare il brivido d’angoscia che l’aveva pervaso quando la sua mente aveva sostituito ad Avril il nome di Adryon. Avril aveva solo vent’anni, e Borge Escary era un bravissimo giovane. Erano sposati da un anno e mezzo soltanto e quella era stata la loro prima vacanza, dopo la nascita del figlioletto. “A che ora parte l’aereo?”

“Alle otto, ormai.”

“Susanne, vuoi che ci occupiamo noi del piccolo? Jacques, perché non vai anche tu? Provvederò io a tutto, qui.”

“No” disse Jacques. “Ti ringrazio, ma no. È meglio che vada Susanne. Riporterà Avril a casa.”

“Sì” disse Susanne, e Dunross notò che sembrava invecchiata. “Abbiamo le amah… è meglio che vada io sola, tai-pan. Merci, ma no, è meglio così.” Due lacrime le rigarono le guance. “Non è giusto, vero? Borge era un così caro ragazzo!”

“Sì. Susanne, dirò a Penn di andare tutti i giorni a dare un’occhiata, quindi non preoccuparti. Ci assicureremo che il piccolo sia ben curato, e anche Jacques.” Dunross li soppesava entrambi. Era sicuro che Jacques era perfettamente padrone di sé. Bene, pensò. Poi disse, come se fosse un ordine: “Jacques, quando Susanne sarà sull’aereo, torna in ufficio. Manda un telex al nostro rappresentante a Marsiglia. Digli che prenoti un appartamento al Capitol, che vada a prendere Susanne con una macchina e l’equivalente di 10.000 dollari in franchi francesi. Digli da parte mia che dovrà mettersi ai suoi ordini finché Susanne sarà là. Dovrà chiamarmi domattina e fornirmi notizie complete su Avril, l’incidente, chi guidava e chi era al volante dell’altra macchina.”

“Sì, tai-pan.”

“Sei sicuro di sentirti bene?”

Jacques ebbe un sorriso forzato. “Oui. Merci, mon ami.”

Rien. Mi dispiace immensamente, Susanne… chiama, se possiamo fare qualcosa.” Dunross si allontanò. Il nostro rappresentante a Marsiglia è efficiente, pensò. Provvederà a tutto. E Jacques è un uomo di ferro. Ho pensato a tutto quanto? Sì, mi pare di sì. Per il momento è tutto a posto.

Dio protegga Adryon e Glenna e Duncan e Penn, pensò. E Kathy, e tutti gli altri. E me… finché la Nobil Casa resterà inviolata. Diede un’occhiata all’orologio. Erano le sei e trenta in punto. Prese uno dei telefoni interni. “Il signor Bartlett, per favore.” Un momento, e poi la voce di Casey.

“Pronto?”

“Ah, salve, Ciranoush” disse Dunross. “Vuol dirgli che sono nel salone?”

“Oh, salve, sicuro. Vuol salire? Noi…”

“Perché non scendete? Se non avete troppo da fare, pensavo di portarvi al mio prossimo appuntamento… potreste trovarlo interessante. E poi potremmo andare a cena, se siete liberi.”

“Mi farebbe piacere. Aspetti che sento.”

La sentì ripetere quel che le aveva detto e pensò alla sua scommessa con Claudia. È impossibile che questi due non siano amanti, si disse, o che non lo siano stati, dato che vivono praticamente insieme. Non sarebbe naturale!

“Scendiamo subito, tai-pan!” Sentì il sorriso nella voce di Casey, e riappese.

Il capocameriere adesso gli ronzava intorno, in attesa del raro onore di far accomodare il tai-pan. Era stato chiamato dal secondo capocameriere nel momento in cui Dunross era stato visto avvicinarsi all’ingresso. Si chiamava Pok del turno di pomeriggio, aveva i capelli grigi, l’aria maestosa, e governava il suo turno con una frusta di bambù.

“Ah, onorevole signore, è un grande piacere” disse il vecchio in cantonese, con un inchino deferente. “Ha mangiato riso, oggi?” Era il modo cortese di dire “buongiorno” o “buonasera” o “come sta” in cinese.

“Sì, grazie, fratello maggiore” rispose Dunross. Conosceva Pok del turno di pomeriggio da tempo immemorabile. A quanto ricordava, Pok era sempre stato il capocameriere nel salone dell’atrio da mezzogiorno alle sei e molte volte, quando Dunross era giovanissimo e veniva mandato lì per una commissione, dolorante per le botte o le sberle, il vecchio lo faceva accomodare a un tavolo d’angolo, gli offriva qualche pasticcino, gli accarezzava gentilmente la testa e non gli presentava mai il conto. “Ha l’aria prospera!”

“Grazie, tai-pan. Oh, anche lei ha un aspetto magnifico! Ma ha ancora un solo figlio maschio! Non pensa sia tempo che la sua riverita moglie principale le trovi una seconda moglie?”

Sorrisero insieme. “Mi segua, la prego” disse il vecchio con aria importante, e lo precedette verso il tavolo apparso miracolosamente in un punto spazioso e ben piazzato che quattro energici camerieri avevano liberato spostando altri clienti e altri tavoli. Adesso i quattro attendevano quasi sull’attenti, raggianti.

“Il suo solito, signore?” chiese il cameriere dei vini. “Ho una bottiglia del ’52.”

“Benissimo” disse Dunross, sapendo che sarebbe stato il La Doucette che gli piaceva tanto. Avrebbe preferito un tè, ma era questione di faccia accettare il vino. La bottiglia era già sul tavolo, nel secchiello del ghiaccio. “Sto aspettando il signor Bartlett e la signorina Tcholok.” Un altro cameriere andò immediatamente ad attenderli all’ascensore.

“Se le serve qualcosa, la prego di chiamarmi.” Pok del turno di pomeriggio s’inchinò e se ne andò, mettendo in allarme tutti i camerieri dell’atrio. Dunross sedette e notò Peter e Fleur Marlowe che tentavano di tenere a freno due graziose, vivacissime bambine, quattro e otto anni, e sospirando ringraziò il cielo che le sue figlie avessero superato quell’età. Mentre centellinava il vino scorse il vecchio Willie Tusk che lo guardava e lo salutava con la mano. Rispose al saluto.

Quand’era ragazzo, veniva a Kowloon da Hong Kong tre o quattro volte la settimana, portando a Tusk gli ordini del vecchio Sir Ross Struan, il padre di Alastair… ma più probabilmente erano gli ordini di suo padre, Colin, che da anni dirigeva la divisione esteri della Nobil Casa. Qualche volta, Tusk svolgeva servizi per la Nobil Casa nei settori di sua competenza… quando si trattava di far arrivare qualcosa dalla Thailandia, dalla Birmania o dalla Malesia e di spedirlo in qualunque altro luogo, per un po’ di h’eung yau e la sua percentuale del 7,5 per cento.

“Perché quel mezzo per cento, zio Tusk?” ricordava di avergli chiesto un giorno, guardando dal basso in alto l’uomo che adesso era molto meno alto di lui.

“Io lo chiamo il denaro per le bambole, giovane Ian.”

“Cos’è il denaro per le bambole?”

“È un piccolo extra da spendere per le bambole, le signore di tua scelta.”

“Ma perché dare denaro alle signore?”

“Ecco, è una storia lunga, ragazzo mio.”

Dunross sorrise tra sé. Sì, una storia molto lunga. In quel campo aveva avuto vari insegnanti, alcuni buoni, alcuni ottimi, alcuni pessimi. Il vecchio zio Chen-chen gli aveva trovato la sua prima amante, quando lui aveva soltanto quattordici anni.

“Oh, dici davvero, zio Chen-chen?”

“Sì, ma non devi dirlo a nessuno, altrimenti tuo padre si farà un paio di giarrettiere con le mie budella! Ah!” aveva continuato quel vecchio delizioso, “avrebbe dovuto combinarlo tuo padre, o incaricarmi di combinarlo, ma non importa. Ora…”

“Ma quando, quando… oh, sei sicuro? Voglio dire quanto… quanto devo pagare e quando, zio Chen-chen? Quando? Voglio dire, prima oppure… oppure dopo, o quando? È questo che non so.”

“Tu non sai tante cose! Non sai ancora quando devi parlare e quando non devi parlare! Come posso istruirti, se parli? Ho a disposizione tutto il giorno?”

“Nossignore.”

“Iiiih” aveva detto il vecchio Chen-chen con quel suo immenso sorriso, “iiiih, ma come sei fortunato! La prima volta in una Fossa Affascinante! Sarà la prima volta, no? Di’ la verità!”

“Ehm… ecco ehm ehm ecco… ehm, sì.”

“Bene!”

Soltanto anni dopo Dunross aveva scoperto che alcune delle più famose case di piacere di Hong Kong e Macao avevano fatto offerte segrete per l’onore di fornire per la prima volta il cuscino a un futuro tai-pan, pronipote del Diavolo dagli Occhi Verdi. A parte la faccia che la casa avrebbe guadagnato per intere generazioni, per il fatto di essere stata prescelta dal compradore della Nobil Casa, sarebbe stata anche un’immensa fortuna per la dama in questione. L’Essenza della Prima Volta, anche se si trattava di un personaggio senza importanza, era un elisir di valore meraviglioso… come, nella tradizione cinese, i succhi yin delle vergini erano preziosi e ricercati per ringiovanire lo yang.

“Gesù Cristo, zio Chen-chen!” era sbottato Dunross. “E vero? Mi hai venduto? Vuoi dire che mi hai venduto a una di quelle case? Me?”

“Certo.” Il vecchio lo aveva sbirciato dal basso in alto, ridacchiando e ridacchiando. Ormai era inchiodato a letto nella grande casa dei Chen sulla cresta di Struan’s Lookout, quasi cieco e a un passo dalla morte, ma soddisfatto e sereno. “Chi te l’ha detto, chi, eh? Eh, giovane Ian?”

Era stato Tusk, vedovo e gran frequentatore delle sale da ballo e dei bar e delle case di piacere di Kowloon, che aveva saputo la leggenda da una delle mama-san, la quale aveva sentito dire che secondo la consuetudine della Nobil Casa spettava al compradore organizzare il primo cuscino per i discendenti del Diavolo dagli Occhi Verdi. “Sì, vecchio mio” gli aveva detto Tusk. “Dirk Struan disse a Sir Gordon Chen, il padre del vecchio Chen-chen, che avrebbe gettato il malocchio sulla Casa di Chen se non avessero scelto bene.”

“Balle” aveva detto Dunross a Tusk, e Tusk aveva protestato che si limitava a riferire una leggenda ormai entrata nelle tradizioni di Hong Kong; e balle o no, Ian, vecchio mio, il tuo primo bang-ditty-bang-bang ha reso migliaia di dollari di Hong Kong a quel vecchio briccone!

“Ma è spaventoso, zio Chen-chen!”

“Perché? È stata un’asta molto redditizia. A te non è costato niente e ti ha dato un enorme piacere. A me non è costato niente ma mi ha reso 20.000 dollari di Hong Kong. La casa ha acquistato molto in prestigio, e anche la ragazza. A lei non è costato niente, ma le ha reso per anni un enorme numero di clienti che volevano provare l’eccezionaiità della tua scelta numero uno!”

Dunross l’aveva conosciuta solo con il nome di Giada Elegante. Aveva ventidue anni ed era molto esperta, era diventata professionista da quando i genitori l’avevano venduta alla casa, a dodici anni. La casa si chiamava House of a Thousand Pleasures, la Casa dei Mille Piaceri. Giada Elegante era dolce e gentile, quando le andava, e un vero drago, quando le andava. Dunross s’era innamorato pazzamente di lei e la loro relazione era durata per due vacanze estive, quando lui tornava dal collegio in Inghilterra: era il periodo che Chen-chen aveva stabilito per contratto. Quando Dunross era ritornato, la terza estate, il primo giorno s’era precipitato alla casa, ma lei era sparita.

Ancora adesso Dunross ricordava quanto s’era disperato, come aveva cercato di ritrovarla. Ma la ragazza non aveva lasciato tracce.

“Che cosa le è accaduto, zio Chen-chen? Che cosa le è accaduto, veramente?”

Il vecchio aveva sospirato, abbandonato nel letto enorme, stanco. “Era ora che se ne andasse. È sempre troppo facile per un giovane dare troppo a una ragazza: troppo tempo, troppi pensieri. Era ora che lei se ne andasse… dopo di lei avresti potuto scegliere da solo, e dovevi pensare alla Nobil Casa e non a lei… Oh, non cercare di nascondere il tuo desiderio, capisco, oh, come capisco! Non preoccuparti, è stata pagata bene, figliolo, e non hai avuto figli da lei…”

“E adesso dov’è?”

“È andata a Formosa. Ho fatto in modo che avesse abbastanza denaro per aprire una casa sua, ha detto che era questo che voleva e… e l’accordo prevedeva anche che la liberassi dal suo contratto. Mi è costato… 5… o forse 10.000 dollari… non ricordo… Scusami, sono stanco. Devo dormire un po’. Torna domani, ti prego, figlio mio…”

Dunross centellinò il vino, ricordando. È stata l’unica volta che il vecchio Chen-chen mi ha chiamato “figlio mio”, pensò. Era grande, quel vecchio! Se potessi essere altrettanto saggio, buono e saggio, e degno di lui.

Chen-chen era morto una settimana dopo. Il suo funerale era stato il più grandioso che mai si fosse visto a Hong Kong, con mille prefiche professioniste e i tamburi che avevano seguito la bara fino alla sepoltura. Le donne biancovestite erano state pagate per seguire il feretro, levando lamenti al cielo, pregando gli dei di spianare la strada allo spirito di quel grand’uomo verso il Vuoto o la rinascita o dovunque andassero gli spiriti dei morti. Chen-chen, ufficialmente, era cristiano, e perciò aveva avuto due riti funebri per maggior sicurezza, uno cristiano e l’altro buddista…

“Salve, tai-pan!”

C’era Casey, con Linc Bartlett al fianco. Sorridevano, sebbene fossero entrambi un po’ stanchi.

Li fece accomodare e Casey ordinò scotch e soda, Linc una birra.

“Com’è andata la giornata?” domandò Casey.

“Alti e bassi” disse Dunross, dopo una pausa. “E a voi?”

“Abbiamo avuto molto da fare, ma ci stiamo arrivando” disse lei. “Il suo legale, Dawson, ha disdetto l’appuntamento di questa mattina… l’ha rimandato a domani a mezzogiorno. Il resto della giornata l’ho passato al telefono e al telex per comunicare con gli Stati Uniti e organizzare tutto. Qui il servizio è buono, è un ottimo albergo. Siamo pronti a completare i nostri adempimenti dell’accordo.”

“Bene, credo che ci sarò anch’io, all’incontro con Dawson” disse Dunross. “Così accelereremo le cose. Gli dirò di venire nei nostri uffici. Le manderò una macchina per le undici e dieci.”

“Non è necessario, tai-pan. So arrivare da sola al traghetto” disse lei. “Sono andata avanti e indietro, questo pomeriggio. Non avevo mai speso meglio 5 cents americani. Come fate a mantenere così basso il prezzo dei biglietti?”

“L’anno scorso abbiamo trasportato quarantasette milioni di passeggeri.” Dunross lanciò un’occhiata a Bartlett. “Ci sarà anche lei all’incontro di domani?”

“No, a meno che abbiate bisogno di me per qualcosa di particolare” rispose disinvolto Bartlett. “All’inizio, è Casey che tratta con i legali. Sa quel che vogliamo, e Seymour Steigler III arriverà giovedì con il volo della Pan Am… è il nostro consulente legale e fiscale. Appianerà tutto con i suoi legali, così potremo concludere senza difficoltà entro sette giorni.”

“Magnifico.” Un cameriere sorridente e ossequioso portò lo scotch e la birra e riempì di nuovo il bicchiere di Dunross. Quando furono di nuovo soli, Casey disse sottovoce: “Tai-pan, le sue navi. Vuole un accordo separato? Se lo redigono i legali non sarà più privato. Come possiamo fare?”

“Preparerò io il documento e vi apporrò il nostro sigillo. Questo lo renderà legale e vincolante. E l’accordo resterà un segreto fra noi tre, eh?”

“Come, il sigillo?”

“Sì. Eccolo.” Dunross estrasse un piccolo astuccio di bambù, lungo cinque centimetri, e fece scorrere il coperchio. Estrasse il sigillo dalla scatoletta foderata di seta scarlatta e lo mostrò. Era d’avorio, e sull’estremità erano incisi a rilievo alcuni caratteri cinesi. “Questo è il mio sigillo personale… è scolpito a mano, quindi è quasi impossibile falsificarlo. Si immerge nell’inchiostro…” L’inchiostro era rosso e quasi solido, in uno scomparto dell’astuccio. “E lo si imprime sulla carta. Molto spesso, a Hong Kong, non si firmano i documenti: si mette il sigillo. Quasi tutti gli atti non hanno valore legale, senza il sigillo. Quello della compagnia è molto simile, un po’ più grande.”

“Cosa significano i caratteri?” domandò Casey.

“Sono uno scherzo sul mio nome e sul mio antenato. Letteralmente significano ‘illustre, acuto come un rasoio, in tutti i nobili mari verdi’. Il gioco di parole è sul Diavolo dagli Occhi Verdi, come veniva chiamato Dirk, la Nobil Casa, e il secondo significato di dirk, pugnale o coltello.” Dunross sorrise e ripose il sigillo. “Ha altri significati… quello apparente è ‘tai-pan della Nobil Casa’. In cinese…” Si voltò, sentendo squillare un campanello da bicicletta. Il giovane fattorino si aggirava tra la folla reggendo su un’asta un cartello con il nome della persona che veniva cercata. Il messaggio non era per loro, e Dunross continuò: “Nella scrittura cinese ci sono sempre vari livelli di significato. È questo che la rende tanto complessa e interessante.”

Casey si faceva vento con un menù. Era caldo, nel vestibolo, sebbene i ventilatori creassero una lieve brezza. Tirò fuori un fazzolettino di carta e se lo premette ai lati del naso. “È sempre tanto umido?” chiese.

Dunross sorrise. “Oggi è relativamente asciutto. Qualche volta l’umidità arriva al novanta o al novantacinque per cento, per settimane intere. Le stagioni migliori, qui, sono l’autunno e la primavera. Luglio, agosto e settembre sono caldi e umidi. Comunque, hanno preannunciato pioggia. Può darsi che venga addirittura un tifone. Ho sentito alla radio che una depressione tropicale si sta formando a sudest. Sì. Se saremo fortunati pioverà. Al Vic l’acqua non è ancora razionata, vero?”

“No” rispose Bartlett. “Ma dopo aver visto i secchi in casa sua, ieri sera, non credo che prenderò più alla leggera il problema dell’acqua.”

“Anch’io” disse Casey. “Deve essere tremendo.”

“Oh, ci si abitua. A proposito, la mia proposta, per quel che riguarda il documento, è soddisfacente?” chiese Dunross a Bartlett. Voleva risolvere quel particolare ed era irritato con se stesso perché era costretto a fare quella domanda. Con rabbioso divertimento notò che Bartlett esitava una frazione di secondo e lanciava un’occhiata impercettibile a Casey prima di rispondere: “Sicuro.”

“Ian” proseguì Bartlett, “ho detto a Forrester – il capo della nostra divisione poliuretano – di venire qui con lo stesso volo. Ho pensato che tanto valesse incominciare. Non c’è motivo di aspettare fino a che avremo firmato tutte le scartoffie, no?”

“No.” Dunross rifletté un attimo e decise di mettere alla prova la sua teoria. “È molto esperto?”

“È esperto.”

Casey soggiunse: “Charlie Forrester sa tutto quello che c’è da sapere sul poliuretano… produzione, distribuzione e vendite.”

“Bene.” Dunross si rivolse a Bartlett e chiese, con aria candida: “Vuole portarlo a Taipei?” Vide un lampo negli occhi dell’americano, e comprese che non si era sbagliato. Stai sulle spine, bastardo, pensò. A lei non l’hai ancora detto! Non ho dimenticato quello che mi hai fatto passare ieri sera, con tutte le tue informazioni segrete. Adesso prova a tirarti fuori salvando la faccia! “Mentre giocheremo a golf o faremo qualcosa d’altro, lascerò Forrester con i miei esperti… così potrà accertare le località più adatte per gli stabilimenti e mettere in moto il meccanismo.”

“Buona idea” disse Bartlett, per nulla sulle spine. L’opinione che Dunross aveva di lui migliorò.

“Taipei?” domandò eccitata Casey. “Andiamo a Taipei? Quando?”

“Sabato pomeriggio” disse Bartlett, calmissimo. “Andiamo per un paio di giorni, Ian e…”

“Magnifico, Linc” disse lei con un sorriso. “Mentre voi giocate a golf, io potrò controllare le cose insieme a Charlie. Giocherò un’altra volta. Qual è il suo handicap, tai-pan?”

“Dieci” rispose Dunross. “E dato che Linc Bartlett lo sa, sono sicuro che lo sa anche lei.”

Casey rise. “Avevo dimenticato questo dato importantissimo. Il mio è quattordici, quando sono in buona giornata.”

“Con un colpo o due in più o in meno?”

“Sicuro. Le donne barano a golf quanto gli uomini.”

“Oh?”

“Sì. Ma a differenza degli uomini, barano per abbassare il loro handicap. Un handicap è uno status symbol, esatto? Più è basso il punteggio, e più elevato è lo status! Di solito, le donne non scommettono più di qualche dollaro, quindi un handicap basso non è molto importante, se non per la faccia. Ma gli uomini? Li ho visti colpire di proposito il terreno per guadagnare due colpi in più, se erano su un round favoloso che avrebbe abbassato di un punto il loro handicap. Naturalmente lo facevano solo se non giocavano per denaro. Cosa avete puntato?”

“Cinquecento dollari di Hong Kong.”

Casey fece un fischio. “Alla buca?”

“No, diamine!” esclamò Bartlett. “Alla partita.”

“Comunque, credo che questa volta farò meglio a far la parte del kibitzer.”

“Cosa vuol dire?” chiese Dunross.

“Stare a guardare. Se non sarò prudente, Linc punterà la mia parte della Par-Con.” Il sorriso di Casey li riscaldò entrambi; e poi, dato che aveva gettato volutamente Bartlett nella trappola, Dunross decise di tirarlo fuori.

“È un’ottima idea, Casey” disse, scrutandola attentamente. “Ma pensandoci bene, forse sarebbe meglio che lei e Forrester esaminaste Hong Kong, prima di Taipei… il nostro mercato più grosso sarà qui. E se il vostro legale arriva giovedì, forse vorrà restare con lui.” Guardò direttamente Bartlett, con aria innocente. “Se vuol annullare il nostro viaggio, per me sta bene. Avrà tutto il tempo di andare a Taipei in seguito. Ma io devo andarci.”

“No” disse Bartlett. “Casey, occupati tu della cosa. Seymour avrà bisogno di tutto l’aiuto che potrai dargli. Io farò un giro preliminare questa volta, e più tardi potremo tornarci insieme.”

Casey sorseggiò il drink e conservò un’espressione serena. Dunque io non sono invitata, eh? pensò con un lampo d’irritazione. “Partite domenica?”

“Sì” disse Dunross, convinto che la sottigliezza avesse dato l’esito voluto, perché non notava in lei nessun cambiamento. “Domenica pomeriggio. Può darsi che faccia una salita in mattinata, e non potrei partire prima.”

“Una salita? Una scalata, tai-pan?”

“Oh, no. Solo una corsa automobilistica in salita… nei Nuovi Territori. Siete invitati, tutti e due, se vi interessa.” Poi Dunross aggiunse, rivolto a Bartlett: “Potremmo andare direttamente all’aeroporto, dopo. Se riuscirò a fare autorizzare la partenza del suo aereo. Domani m’informerò.”

“Linc” disse Casey, “e Armstrong e la polizia? Sei bloccato qui.”

“Ho sistemato tutto oggi” disse Dunross. “È libero sulla parola e affidato alla mia custodia.”

Lei rise. “Fantastico! Linc, non fuggire, o ci rimetterai la cauzione!”

“Non fuggirò.”

“Partirete domenica, tai-pan? E quando tornerete?”

“Martedì per l’ora di cena.”

“È martedì che firmiamo?”

“Sì.”

“Linc, ma così non si complicano un po’ le cose?”

“No. Mi terrò continuamente in contatto. L’accordo è deciso. Basta che lo mettiamo sulla carta.”

“Come vuoi, Linc. Quando voi due tornerete, sarà tutto pronto per la firma. Tai-pan, devo rivolgermi ad Andrew se c’è qualche problema?”

“Sì. O a Jacques.” Dunross lanciò un’occhiata nell’angolo. Il tavolo, adesso, era occupato da altri. Non importa, si disse. Era stato fatto tutto il possibile. “Il servizio telefonico con Taipei è ottimo e non è il caso di preoccuparsi. E adesso, avete impegni per cena?”

“No certo” disse Bartlett.

“Che tipo di cucina preferireste?”

“Che ne direbbe della cinese?”

“Chiedo scusa, ma deve essere più preciso” disse Dunross. “È come se dicesse che opta per la cucina europea… includerebbe tutta la gamma dall’italiana all’inglese.”

“Linc, perché non lasciamo fare al tai-pan?” disse Casey, e soggiunse: “Tai-pan, devo confessarlo, mi piacciono l’agrodolce, gli involtini, il chop suey e il riso fritto. Non vado pazza per i piatti più eccentrici.”

“Neppure io” approvò Bartlett. “Niente serpente, cane o altra roba esotica.”

“Il serpente è ottimo, nella stagione giusta” disse Dunross. “Soprattutto la bile… mescolata al tè. È un vero ricostituente! E un cucciolo di chow-chow in salsa d’ostriche è squisito.”

“L’ha assaggiato? Ha mangiato carne di cane?” Casey era scandalizzata.

“Mi avevano detto che era pollo. Il sapore era simile a quello del pollo. Ma non mangi mai carne di cane bevendo whisky, Casey. Dicono che trasforma la carne in grumi di ferro e fa passare un brutto quarto d’ora…”

Dunross ascoltava la propria voce pronunciare battute scherzose, mentre guardava Jacques e Susanne che salivano in tassì. Pensò con affetto a loro e a Kathy e a tutti gli altri. Avrebbe voluto salire su quell’aereo, e volare in Francia e riportare a casa Avril sana e salva… una ragazza tanto cara, parte della sua famiglia…

In nome di Cristo, come posso vivere da uomo, dirigere la Nobil Casa e non perdere la ragione? Come posso aiutare la famiglia e concludere accordi e sopportare tutto il resto?

“È la gioia e la sofferenza della carica di tai-pan” gli aveva detto in sogno Dirk Struan, molte volte.

Sì, ma la gioia non è molta.

Hai torto, e Dirk ha ragione: tu prendi tutto troppo sul serio, si disse. I soli problemi seri sono la Par-Con, il boom, Kathy, i documenti di Grant, Crosse, John Chen, la Toda Shipping, e il fatto che tu hai rifiutato la proposta di Lando Mata… non necessariamente in quest’ordine. Tutto quel denaro.

Che cosa voglio dalla vita? Denaro? Potere? O tutta la Cina?

Si accorse che Casey e Bartlett lo fissavano. Da quando sono arrivati questi due, non ho avuto altro che guai. Li guardò a sua volta. Lei meritava certamente di essere guardata, con quei calzoni attillati e la camicetta aderente. “Lasciate fare a me” disse, pensando che quella sera avrebbe gradito qualche piatto cantonese.

Sentirono il campanello del fattorino, guardarono il cartello. C’era scritto: “Sig.na K.C. Shuluk”. Dunross chiamò il giovane con un cenno. “Le mostrerà dov’è il telefono, Casey.”

“Grazie.” Lei si alzò. Molti occhi seguirono le lunghe gambe eleganti e l’andatura sinuosa… le donne la fissavano con invidia e rancore.

“Lei è un gran figlio di buona donna” disse Bartlett, calmissimo.

“Oh?”

“Sì.” Bartlett sorrise, smussando la frecciata. “Scommetto venti contro uno che l’allusione a Taipei era un pallone sonda… ma non me la prendo, Ian. No. Sono stato brusco, ieri sera… ho dovuto esserlo, e quindi, forse, mi sono meritato lo scherzetto. Ma non lo rifaccia un’altra volta con Casey, o le staccherò la testa.”

“Davvero?”

“Sì. Casey è off limits.” Gli occhi di Bartlett si volsero verso Casey. La vide passare accanto al tavolo dei Marlowe, soffermarsi un attimo per salutare loro e le bambine, e poi proseguire. “Ha capito che non era stata invitata.”

Dunross era turbato. “È sicuro? Credevo… Mi pareva di aver rimediato. Appena mi sono reso conto che non gliel’aveva ancora detto… Mi dispiace, credevo proprio di aver rimediato.”

“Diavolo, è stato perfetto! Ma scommetto comunque che Casey ha capito che non era stata invitata.” Bartlett sorrise ancora e, di nuovo, Dunross si chiese che cosa nascondesse quel sorriso. Dovrò tener d’occhio costui, pensò. Dunque Casey è off limits, eh? Chissà cosa intendeva dire.

Dunross aveva scelto apposta l’atrio, perché voleva farsi vedere in compagnia dell’ormai famoso o famigerato Bartlett e della sua dama. Sapeva che questo avrebbe alimentato le voci sull’accordo imminente e avrebbe messo ancor più in agitazione la Borsa e sbilanciato gli speculatori. Se la Ho-Pak fosse andata a picco, purché non trascinasse nel vortice altre banche, avrebbe potuto esserci ancora il boom. Se Bartlett e Casey si piegassero un po’, pensò, e se potessi fidarmi veramente di loro, potrei fare il colpo del secolo. Quanti “Se”. Troppi. In questo momento, non conduco il gioco. Bartlett e Casey hanno la meglio. Fino a che punto collaboreranno?

Poi, qualcosa che avevano detto il sovrintendente Armstrong e Brian Kwok fece scattare un pensiero improvviso, e la sua ansia crebbe.

“Cosa pensa di quel Banastasio?” chiese, in tono indifferente.

“Vincenzo?” ribatté prontamente Bartlett. “Un tipo interessante. Perché?”

“Così” disse Dunross, in apparenza calmo. Ma dentro era sconvolto, al pensiero di non aver sbagliato. “Lo conosce da molto tempo?”

“Tre o quattro anni. Casey e io siamo andati alle corse con lui qualche volta… a Del Mar. Gioca forte d’azzardo là, e a Las Vegas. È il tipo che punta 50.000 dollari in una corsa… o così ci ha detto. Lui e John Chen sono molto amici. È anche amico suo?”

“No. Non l’ho mai conosciuto, ma l’ho sentito nominare un paio di volte da John Chen” disse Dunross. “E da Tsu-yan.”

“Come sta Tsu-yan? Anche lui un patito del gioco d’azzardo. Quando l’ho visto a Los Angeles, non vedeva l’ora di correre a Las Vegas. Era all’ippodromo, l’ultima volta che ci siamo andati insieme a John Chen. Non si sa ancora niente di John o dei rapitori?”

“No.”

“Peccato.”

Dunross l’ascoltava appena. Il dossier che aveva fatto preparare sul conto di Bartlett non conteneva indicazioni di legami con la mafia… ma Banastasio collegava tutto. I fucili, John Chen, Tsu-yan e Bartlett.

La mafia voleva dire denaro sporco e droga, e una continua ricerca di facciate legali per il riciclaggio del denaro. Tsu-yan aveva commerciato medicinali all’ingrosso durante la guerra in Corea… e adesso, si diceva, era implicato nel contrabbando dell’oro a Taipei, in Indonesia e in Malesia con Wu Quattro Dita. Era possibile che Banastasio inviasse fucili a… a chi? Il povero John Chen aveva scoperto qualcosa, casualmente, ed era stato sequestrato per quella ragione?

Questo significa che parte del denaro della Par-Con è della mafia… la Par-Con è dominata o controllata dalla mafia?

“Se non ricordo male, John diceva che Banastasio era uno dei vostri principali azionisti” disse, sferrando un altro colpo alla cieca.

“Vincenzo ha un grosso pacchetto di azioni. Ma non è un funzionario e non fa parte del consiglio d’amministrazione. Perché?”

Dunross notò che gli occhi azzurri di Bartlett erano attentissimi, e quasi sentiva le onde mentali che lo investivano, per scoprire il vero scopo di quelle domande. Perciò decise di smettere. “È strano. Com’è piccolo il mondo, vero?”

Casey prese il ricevitore. Si sentiva bollire, dentro. “Centralino, sono la signorina Tcholok. C’è una chiamata per me?”

“Ah, un momento, prego.”

E così non sono invitata a Taipei, stava pensando, furiosa. Perché il tai-pan non l’ha detto francamente, invece di girare intorno alla verità, e perché non me l’aveva detto neppure Linc? Gesù, è caduto sotto l’incantesimo del tai-pan come è successo a me ieri sera? Perché questo segreto? Che altro stanno combinando?

Taipei, eh? Bene, ho sentito dire che è un posto per uomini, e quindi, se tutto quello che hanno in mente è soltanto un weekend scollacciato, per me va benissimo. Ma non mi va più bene se si tratta di affari. Perché Linc non me l’ha detto? Cosa c’è da nascondere?

Il furore di Casey crebbe. Poi ricordò quello che aveva detto la francese, a proposito delle belle chinoises così disponibili, e il furore si trasformò in ansia per Linc.

Accidenti agli uomini!

Accidenti agli uomini e al mondo che hanno creato per i loro esclusivi comodi! E qui è anche peggio di tutti gli altri posti dove sono stata.

Accidenti agli inglesi! Sono tutti così impeccabili e furbi, e hanno modi così corretti e dicono prego e grazie, e si alzano quando tu entri e ti scostano la sedia per farti accomodare, ma, sotto sotto, sono come gli altri. O peggio. Sono ipocriti, ecco cosa sono! Bene, pareggerò il conto. Un giorno giocheremo a golf, tai-pan Dunross, e buon per te se sei in gamba, perché io posso scendere anche a un handicap di dieci, in una giornata buona – ho imparato presto a giocare a golf, in questo mondo fatto per gli uomini – e ti farò sbattere il naso. Sì. O magari una partita a biliardo. Sicuro, e so anche cos’è il rovescio all’inglese.

Casey pensò a suo padre con un improvviso guizzo di gioia. Era stato lui a insegnarle i rudimenti di quei giochi. Ma era stato Linc a insegnarle a colpire basso con la stecca sulla sinistra, per dare effetto alla palla, in modo che girasse sulla destra e passasse intorno all’ottava palla… glielo aveva mostrato quando, scioccamente, lei l’aveva sfidato a fare una partita. Le aveva fatto fare una figuraccia dietro l’altra, prima di degnarsi di insegnarle.

“Casey, devi essere ben sicura di conoscere tutti i punti deboli di un uomo, prima di batterti con lui. Ti ho dato cappotto per dimostrartelo. Io non gioco per piacere… solo per vincere. Non gioco, con te. Ti voglio, e tutto il resto non conta. Dimentichiamo il patto che abbiamo concluso e sposiamoci e…”

Erano passati pochi mesi da quando lei aveva cominciato a lavorare per Linc Bartlett. Aveva appena vent’anni ed era già innamorata di lui. Ma ci teneva ancora soprattutto a vendicarsi di quell’altro, e desiderava una ricchezza indipendente. Perciò aveva detto: “No, Linc, abbiamo deciso di aspettare sette anni. Abbiamo deciso da eguali. Io ti aiuterò a diventare ricco, e guadagnerò anch’io, lungo la strada che ti porterà ai tuoi milioni, e nessuno dei due deve nulla all’altro. Puoi licenziarmi in qualunque momento, per qualunque ragione, e io posso andarmene per qualunque ragione. Siamo eguali. Non nego di amarti con tutto il cuore, ma non intendo cambiare il nostro patto. Se sarai ancora disposto a chiedermi di sposarti quando compirò i ventisette anni, allora ti sposerò. Ti sposerò, vivrò con te, ti lascerò… come vorrai tu. Ma adesso no. Sì, ti amo, ma se diventiamo amanti adesso io… io non potrò mai… Non posso, ecco, Linc, ora non posso. Devo ancora scoprire troppe cose su me stessa.”

Casey sospirò. Che patto assurdo. Ne è valsa la pena, per tutto il potere e le trattative e i viaggi… e tutti gli anni di lacrime e di solitudine?

Non so. Non so. E la Par-Con? Riuscirò mai a raggiungere il mio scopo, la Par-Con e Linc, oppure dovrò scegliere tra l’una e l’altro?

“Ciranoush?” disse una voce nel microfono.

“Oh! Salve, signor Gornt!” Casey si sentì pervadere da un’ondata di calore. “Che piacevole sorpresa” aggiunse, riprendendosi.

“Spero di non averla disturbata.”

“No, affatto. Posso esserle utile?”

“Mi domandavo se poteva confermare per domenica, se lei e il signor Bartlett siete liberi? Sto organizzando la festa sulla mia barca, e vorrei avervi come ospiti d’onore.”

“Mi dispiace, signor Gornt, ma Linc non potrà venire. È molto impegnato.”

Casey sentì l’esitazione e poi la soddisfazione celata nella voce. “Le dispiacerebbe venire senza di lui? Pensavo d’invitare alcuni amici del mondo degli affari. Sono sicuro che lo troverebbe interessante.”

Potrebbe essere molto utile alla Par-Con se ci andassi, pensò lei. E poi, se Linc e il tai-pan vanno a Taipei senza di me, perché io non posso andare alla festa senza di loro? “Verrei con piacere” disse, in tono pieno di calore. “Se è sicuro che non darò fastidio.”

“Neppure per idea. Verremo a prenderla al molo, davanti all’albergo, vicino al Golden Ferry. Alle dieci… si vesta come crede. Sa nuotare?”

“Sicuro.”

“Bene… in acqua si sta un po’ più freschi. Sci acquatico?”

“L’adoro!”

“Benissimo!”

“Posso portare qualcosa? Viveri o vino o altro?”

“No. Credo che avremo già tutto a bordo. Andremo a una delle isole esterne, faremo un picnic, un po’ di sci acquatico… torneremo subito dopo il tramonto.”

“Signor Gornt, preferirei tener segreta questa escursione. Mi pare che Confucio abbia detto: ‘In una bocca chiusa non entrano mosche.’”

“Confucio ha detto molte cose. Una volta, ha paragonato una donna a un raggio di luna.”

Casey esitò, avvertendo il pericolo. Ma poi sentì la propria voce dire, con disinvoltura: “Devo portare un accompagnatore?”

“Forse dovrebbe farlo” disse Gornt, e lei sentì il sorriso.

“Che ne direbbe di Dunross?”

“Non sarebbe un accompagnatore… soltanto la rovina di quella che potrebbe essere una giornata magnifica.”

“Non vedo l’ora che venga domenica, signor Gornt.”

“Grazie.” Il telefono scattò immediatamente.

Bastardo arrogante! Casey lo disse quasi a voce alta. Quante cose dai per scontate? Un semplice “grazie” e riattacchi senza salutare.

Io sono di Linc e non a disposizione del primo venuto.

E allora perché hai fatto la civetta al telefono e alla festa? si chiese. E perché hai chiesto a quel bastardo di tener segreto l’appuntamento di domenica?

Anche le donne amano i segreti, si disse, rabbiosamente. Le donne amano tante cose che piacciono agli uomini.