Ore 20,35
Il coolie era nel sudicio deposito sotterraneo dell’oro, alla Ho-Pak Bank. Era un vecchio minuto, e portava una maglietta sporca e sbrindellata e calzoncini laceri. Quando i due facchini gli issarono il sacco di tela sulla schiena curva, si assestò la cinghia sulla fronte e spinse, sostenendo lo sforzo con i muscoli del collo, stringendo con tutte e due le mani le cinghie logore. Adesso che aveva addosso tutto il peso, sentiva il cuore affaticato pompare sotto il carico, e le giunture invocare sollievo.
Il sacco pesava poco più di quaranta chili… quasi più di lui. Gli addetti al controllo l’avevano appena sigillato. Conteneva esattamente duecentocinquanta piccoli lingotti d’oro da 5 tael, i lingotti usati dai contrabbandieri, che pesavano poco più di sei once. Ne sarebbe bastato uno solo per far vivere per mesi lui e la sua famiglia. Ma il vecchio non pensava neppure a cercare di rubarne. Tutto il suo essere era concentrato nello sforzo di dominare la sofferenza, muovere i piedi, fare la sua parte di lavoro, incassare la paga alla fine del turno, e poi riposare.
“Sbrigarsi!” disse in tono acido il capo. “Abbiamo ancora più di venti fottute tonnellate da caricare. Avanti il prossimo!”
Il vecchio non rispose. Se l’avesse fatto, avrebbe sprecato un po’ della preziosa energia. Doveva conservare le sue forze, quella sera, se voleva finire. Mosse i piedi a fatica, i polpacci contratti e segnati dalle vene varicose e dalle cicatrici di tanti anni di lavoro.
Un altro coolie prese il suo posto mentre lui usciva lentamente dall’umido locale di cemento, con gli scaffali carichi di una quantità apparentemente infinita di mucchi ordinati di piccoli lingotti d’oro che attendevano sotto gli occhi attenti dei due eleganti impiegati di banca… attendevano di venir caricati in un altro sacco, contati e ricontati e poi sigillati con un gesto solenne.
Sulla scala il vecchio vacillò. Ritrovò l’equilibrio con difficoltà, poi alzò un piede per salire un altro gradino – ne restavano ancora ventotto – e poi un altro. Era appena arrivato al pianerottolo quando i polpacci gli cedettero. Barcollò contro il muro, appoggiandosi per alleviare il peso, con il cuore in gola, stringendo le cinghie con tutte e due le mani, sapendo che non sarebbe mai riuscito a riassestare il carico se si fosse tolto di dosso l’imbracatura, atterrito all’idea che il capo o un vicecapo passasse di lì. Attanagliato dalla sofferenza, sentì un passo venire verso di lui, e lottò per sistemarsi il sacco più in alto sulla schiena e per rimettersi in moto. E per poco non cadde.
“Ehi, Chu Nove Carati, ti senti bene?” chiese l’altro coolie nel dialetto dello Shantung, reggendo il sacco.
“Sì… sì…” Il vecchio ansimò di sollievo, felice che fosse l’amico venuto dal suo villaggio lontano, al nord, il capo della sua squadra. “Fottuti tutti gli dei, sono… sono scivolato.”
L’altro lo scrutò nella luce fioca dell’unica lampadina. Vide i vecchi occhi tormentati e cisposi e i muscoli tesi. “Questo lo prenderò io, tu riposati un momento” disse. Lo liberò destramente dal peso e buttò il sacco sul pavimento. “Dirò a quel forestiero senza madre, che crede di aver abbastanza cervello per fare il capofacchino, che sei andato al gabinetto.” Si frugò nella tasca dei calzoni laceri e porse al vecchio uno dei piccoli pezzi gualciti di stagnola. “Prendilo. Te lo dedurrò stasera dalla paga.”
Il vecchio mormorò un ringraziamento. Adesso era tutto un dolore e quasi non riusciva a pensare. L’altro si issò il sacco sulla schiena, grugnendo per lo sforzo, premette la fronte contro la cinghia e poi, con i muscoli dei polpacci contratti, risalì lentamente le scale, soddisfatto dell’affare che aveva concluso.
Il vecchio lasciò il pianerottolo e si accosciò in una rientranza polverosa. Gli tremavano le dita, mentre apriva il pezzetto di stagnola che conteneva un pizzico di polvere bianca. Accese un fiammifero e lo tenne sotto la stagnola, per scaldare la polvere che cominciò ad annerire e a fumare. Meticolosamente, si mise la polvere fumante sotto le narici e aspirò profondamente, più volte, fino a quando ogni granello svanì nel fumo che penetrava piacevolmente nei suoi polmoni.
Si appoggiò al muro. Ben presto i dolori svanirono lasciando un senso d’euforia penetrante. Si sentiva di nuovo giovane e forte, e sapeva che avrebbe finito il turno, e quel sabato, quando sarebbe andato alle corse, avrebbe vinto la doppia quinella. Sì, sarebbe stata la sua settimana fortunata, e avrebbe investito quasi tutte le vincite in un pezzetto di terra, sì, un pezzetto di terra molto piccolo, all’inizio, ma poi con il boom il valore salirà e salirà, e io venderò il terreno e guadagnerò una fortuna, e ne comprerò altri e altri ancora, e allora sarò un antenato, e i miei nipoti correranno a frotte intorno a me…
Si alzò, scese le scale, eretto, e si mise in fila, attendendo con impazienza il suo turno. “Dew neh loh moh, sbrigatevi” disse nel dialetto cantilenante dello Shantung, “non posso star qui tutta notte! A mezzanotte ho un altro lavoro.”
L’altro lavoro era in un cantiere edile a Central, non lontano dalla Ho-Pak, e lui sapeva di essere fortunato, ad avere due lavori redditizi in una notte, oltre al regolare lavoro di giorno come manovale edile. E sapeva anche che era stata la costosa polvere bianca a trasformarlo cancellando il dolore e la stanchezza. Naturalmente sapeva che la polvere bianca era pericolosa. Ma era cauto e prudente e la prendeva solo quando era allo stremo delle forze. Non lo preoccupava il fatto che ormai la prendesse quasi tutti i giorni, e spesso anche due volte al giorno. È la sorte, si disse scrollando le spalle e caricandosi sulla schiena il nuovo sacco di tela.
Una volta era stato agricoltore, figlio maggiore di un proprietario terriero della provincia settentrionale dello Shantung, nel fertile, mutevole delta del Fiume Giallo dove, per secoli, avevano coltivato frutta e cereali e soia, arachidi, tabacco e tutte le verdure che potevano mangiare.
Ah, i nostri magnifici campi, pensò felice, mentre saliva le scale, dimentico del cuore che martellava e martellava, i nostri magnifici campi, ricchi di messi. Così belli! Ma poi, trent’anni fa, cominciarono i brutti tempi. Vennero i Diavoli dal Mare Orientale con i cannoni e i carri armati e violentarono la nostra terra, e poi, dopo che il signore della guerra Mao Tse-tung e il signore della guerra Ciang Kai-scek li sconfissero, cominciarono a combattere tra loro, e la terra fu devastata di nuovo. E allora fuggimmo lontano dalla carestia, io e la mia giovane moglie e i miei due figli, e venimmo in questo posto, Porto Fragrante, a vivere fra estranei, barbari meridionali e diavoli stranieri. Camminavamo tutto il giorno. Sopravvivevamo. Io portavo quasi sempre in braccio i miei figli, e adesso i miei figli hanno sedici e quattordici anni e abbiamo anche due figlie e tutti mangiano riso una volta al giorno e quest’anno sarà il mio anno fortunato. Sì. Vincerò la quinella o la duplice accoppiata e un giorno torneremo al mio villaggio e ci riprenderemo le nostre terre e le coltiveremo di nuovo e il presidente Mao ci darà il benvenuto e ci renderà le nostre terre e noi vivremo felici, ricchi e felici…
Era uscito dalla banca, nella notte, e s’era fermato accanto al camion. Altre mani sollevarono il sacco e l’ammucchiarono con tutti gli altri sacchi d’oro, mentre altri impiegati controllavano e ricontrollavano i numeri. C’erano due camion, nella strada laterale. Uno era già pieno e attendeva, circondato dalle guardie. Un unico poliziotto disarmato osservava pigramente, e il traffico passava oltre. La notte era calda.
Il vecchio si voltò per andarsene. Poi notò i tre europei, due uomini e una donna, che si avvicinavano. Si fermarono accanto all’altro camion e lo guardarono. Il vecchio spalancò la bocca.
“Dew neh loh moh! Guarda quella puttana… il mostro dai capelli di paglia” disse, senza rivolgersi a qualcuno in particolare.
“Incredibile!” rispose un altro.
“Sì” disse il vecchio.
“È vergognoso, come si vestono in pubblico le loro puttane, no?” chiese disgustato un vecchio addetto al carico. “Ostentano l’inguine con quei calzoni così stretti. Si può vedere ogni fottuta piega delle sue labbra inferiori.”
“Scommetto che potresti infilarci dentro il pugno e il braccio senza toccare il fondo!” disse un altro, ridendo.
“E chi ci tiene?” chiese Chu Nove Carati e si raschiò rumorosamente la gola, sputò, e lasciò che la sua mente tornasse piacevolmente a sabato prossimo, mentre scendeva di nuovo.
“Vorrei che non sputassero così. È disgustoso!” disse Casey, nauseata.
“E una vecchia usanza cinese” disse Dunross. “Credono che nella gola ci sia uno spirito maligno di cui ci si deve liberare continuamente, per non morire soffocati. Naturalmente è vietato sputare, ma a loro non fa né caldo né freddo.”
“Cosa diceva quel vecchio?” domandò Casey, guardandolo mentre rientrava dalla porta laterale della banca. Aveva superato la sua rabbia ed era contenta di andare a cena con tutti e due.
“Non so… non ho capito il suo dialetto.”
“Scommetto che non era un complimento.”
Dunross rise. “Avrebbe vinto la scommessa, Casey. Non hanno una grande opinione di tutti noi.”
“Quel vecchio deve avere ottant’anni, eppure portava il carico come se fosse una piuma. Ma come fanno?”
Dunross scrollò le spalle e non disse nulla. Lui sapeva.
Un altro coolie issò il carico sul camion, fissò Casey, si raschiò la gola, sputò e se ne andò. “Va’ al diavolo” mormorò Casey, e poi imitò una spaventosa raschiata di gola e uno sputo a sei metri, e i due uomini risero con lei. I cinesi si limitarono a fissarla.
“Ian, cosa significa? Perché siamo venuti qui?” chiese Bartlett.
“Pensavo che vi avrebbe fatto piacere vedere cinquanta tonnellate d’oro.”
Casey represse un’esclamazione. “Quei sacchi sono pieni d’oro?”
“Sì. Venite.” Dunross li precedette giù per la scala sporca e nel sotterraneo. I funzionari della banca lo accolsero con deferenza e le guardie disarmate e i facchini spalancarono gli occhi. I due americani si sentivano a disagio, sotto quegli sguardi. Ma il disagio venne sommerso dall’oro. Mucchi ordinati di lingotti d’oro sugli scaffali d’acciaio che li circondavano… dieci per strato, e ogni mucchio era di dieci strati.
“Posso prenderne uno?” domandò Casey.
“Si serva” disse Dunross, osservandoli, cercando di valutare la loro avidità. Io sto puntando su una posta altissima, pensò di nuovo. Devo sapere chi sono questi due.
Casey non aveva mai toccato tanto oro in tutta la sua vita. E neppure Bartlett. Le loro dita tremavano. Lei accarezzò uno dei lingotti, sgranando gli occhi, prima di sollevarlo. “Pesa molto, per le sue dimensioni” mormorò.
“Li chiamano lingotti da contrabbandiere, perché è facile nasconderli e trasportarli” disse Dunross, scegliendo attentamente le parole. “I contrabbandieri indossano una specie di panciotto di tela con minuscole tasche per sistemare i lingotti. Dicono che un buon corriere può portare anche trentasei chili per viaggio… sono quasi 1300 once. Naturalmente, devono essere robusti e allenati.”
Bartlett, affascinato, soppesava due lingotti per mano. “Quanti ce ne vogliono per fare trentasei chili?”
“Circa duecento, più o meno.”
Casey lo guardò, con gli occhi dorati più grandi del solito. “Sono suoi, tai-pan?”
“Buon Dio, no! Appartengono a una compagnia di Macao. Li stanno portando alla Victoria Bank. Secondo la legge, gli americani e gli inglesi non sono autorizzati a possederne neppure uno. Ma pensavo che vi interessasse, perché non succede spesso di vedere cinquanta tonnellate d’oro in un colpo solo.”
“Non avevo mai capito come fosse il denaro vero” disse Casey. “Adesso capisco perché a mio padre e a mio zio s’illuminavano gli occhi, quando parlavano d’oro.”
Dunross la scrutava. Non vedeva avidità, in lei. Soltanto stupore.
“Le banche fanno spesso spedizioni come questa?” chiese Bartlett, con voce gutturale.
“Sì, sempre” disse Dunross, e si chiese se Bartlett avesse abboccato all’amo e stesse pensando a una rapina di stile mafioso, con il suo amico Banastasio. “Fra circa tre settimane arriverà un carico molto grosso” disse, per rendere l’esca più allettante.
“Quanto valgono cinquanta tonnellate?” chiese Bartlett.
Dunross sorrise tra sé, ricordando Zeppelin Tung e i suoi conteggi precisi. Come se avesse avuto importanza! “63 milioni di dollari, legalmente, più o meno.”
“E lo trasferite così, con una squadra di vecchi, due camion che non sono neppure blindati, e niente guardie?”
“Naturalmente. Non è un problema, a Hong Kong, e questa è una delle ragioni per cui la nostra polizia fa tante storie in fatto di armi. Se le uniche armi della colonia le ha la polizia, cosa possono fare i delinquenti, se non bestemmiare?”
“Ma i poliziotti dove sono? Ne ho visto uno solo, e non era armato.”
“Oh, sono qui intorno, immagino” disse Dunross, con voluta noncuranza.
Casey guardò il lingotto, godendosi il contatto del metallo. “È così fresco e incorruttibile. Tai-pan, se vale 63 milioni legalmente, quanto potrebbe valere al mercato nero?”
Dunross notò le minuscole gocce di sudore sul labbro della giovane donna. “Qualunque somma l’acquirente sia disposto a pagare. Al momento, a quanto ne so, il mercato migliore è l’India. Pagherebbero da 80 a 90 dollari USA l’oncia, con consegna in India.”
Bartlett sorrise con una smorfia e posò con riluttanza i quattro lingotti nel mucchio. “È un bell’utile.”
Rimasero a guardare in silenzio mentre un altro sacco di tela veniva sigillato e i lingotti venivano controllati e ricontrollati dai due impiegati. I due facchini caricarono il sacco su una schiena curva, e l’uomo se ne andò.
“Quelli cosa sono?” domandò Casey, indicando alcuni lingotti molto più grossi, sistemati in un’altra parte del sotterraneo.
“Sono i nostri lingotti regolamentari da quattrocento once” disse Dunross. “Pesano circa undici chili l’uno.” Il lingotto era contrassegnato con falce e martello e 99,999. “È oro russo. Puro al 99,99 per cento. L’oro sudafricano, di solito, è puro al 99,98 per cento, quindi quello russo è molto richiesto. Naturalmente, è facile acquistarli al mercato dell’oro a Londra.” Lasciò che i due guardassero ancora un po’, poi disse: “Vogliamo andare?”
Per la strada c’erano ancora l’unico poliziotto e le guardie della banca, e i due camionisti fumavano nelle cabine. Di tanto in tanto passava qualche macchina. E qualche pedone.
Per Dunross fu un sollievo uscire dall’atmosfera soffocante del sotterraneo. Aveva sempre odiato sotterranei e cantine da quando suo padre l’aveva chiuso in un ripostiglio, quando era piccolo, per una colpa che adesso non ricordava più. Ma ricordava che la vecchia Ah Tat, la sua amah, l’aveva tirato fuori e aveva assunto le sue difese… mentre lui fissava suo padre, sforzandosi di soffocare le lacrime di terrore.
“È un piacere essere di nuovo all’aria aperta” disse Casey. Inesorabilmente, i suoi occhi furono calamitati dai sacchi sul camion quasi pieno. “Quello è denaro vero” mormorò, quasi tra sé. Fu scossa da un lieve brivido, e Dunross capì di aver scoperto la sua vena jugulare.
“Berrei volentieri una birra” disse Bartlett. “Tutto quel denaro mi fa venir sete.”
“E io berrei uno scotch e soda!” disse lei. E l’incantesimo si spezzò.
“Andiamo a piedi fino alla Victoria. Assisteremo all’inizio delle operazioni di scarico, e poi andremo a cena…” Dunross s’interruppe. Vide i due uomini che parlavano accanto ai camion, parzialmente nell’ombra. S’irrigidì leggermente.
I due uomini lo videro. Martin Haply del China Guardian e Peter Marlowe.
“Qh, salve, tai-pan” disse Martin Haply, avvicinandosi con un sorriso sicuro.
“Non mi aspettavo di trovarla qui. Buonasera, signorina Casey, signor Bartlett. Tai-pan, vuol dire qualcosa sulla faccenda della Ho-Pak?”
“Cosa c’entra la Ho-Pak?”
“L’assalto agli sportelli della banca, signore.”
“Non mi risulta che ci sia stato.”
“Ha letto il mio articolo sulle varie filiali e le vo…”
“Mio caro Haply” disse Dunross, con la solita, accattivante disinvoltura, “lei sa che non cerco interviste e non le concedo facilmente… soprattutto per la strada.”
“Sì, signore.” Haply indicò i sacchi con un cenno. “Il trasferimento di tutto questo oro sarà un brutto colpo per la Ho-Pak, no? Quando si saprà, per la banca sarà la fine.”
Dunross sospirò. “Lasci perdere la Ho-Pak, signor Haply. Posso dirle due parole in privato?” Prese il giovane per il gomito e lo condusse da parte con vellutata fermezza. Quando furono soli, seminascosti da uno dei camion, lo lasciò. Abbassò la voce. Involontariamente, Haply arretrò di mezzo passo. “Dato che lei esce con mia figlia, desidero farle sapere che le sono molto affezionato e che tra gentiluomini esistono certe regole. Presumo che lei sia un gentiluomo. Se non lo è, Dio l’aiuti. Ne risponderà a me personalmente, subito e senza pietà.” Dunross lo lasciò e tornò dagli altri, sfoggiando un’improvvisa bonomia. “Buonasera, Marlowe. Come va?”
“Benissimo, grazie, tai-pan.” Marlowe accennò ai camion. “È sorprendente, tutta questa ricchezza!”
“Dove ha saputo del trasferimento?”
“Un amico giornalista ne ha parlato un’ora fa. Ha detto che cinquanta tonnellate d’oro stavano per venire trasferite da qui alla Victoria. Ho pensato che sarebbe stato interessante vedere come facevano. Spero… spero di non aver pestato i calli a nessuno.”
“No, affatto.” Dunross si rivolse a Casey e a Bartlett. “Ecco, vedete? Vi avevo detto che Hong Kong era come un paesino… è impossibile tenere a lungo un segreto. Ma tutto questo…” Indicò i sacchi. “Tutto questo è piombo… Il vero trasferimento è stato completato un’ora fa. E non erano cinquanta tonnellate, ma solo poche migliaia di once. La maggior parte dei lingotti della Ho-Pak è ancora intatta.” Sorrise a Haply che ascoltava senza sorridere.
“Allora è tutta una finzione?” domandò Casey, sbalordita.
Peter Marlowe rise. “Devo confessarlo: pensavo che fosse un’operazione un po’ rischiosa!”
“Bene, buonanotte” disse allegramente Dunross a Marlowe e a Martin Haply. Prese per un attimo il braccio di Casey. “Venga, andiamo a cena.” Si avviarono, affiancati da Bartlett.
“Ma, tai-pan, i lingotti che abbiamo visto” disse Casey. “Quello che ho preso in mano… era falso? Ci avrei scommesso la vita, e tu no, Linc?”
“Sì” ammise Bartlett. “Ma la diversione è stata una mossa molto saggia. Anch’io avrei fatto lo stesso.”
Svoltarono all’angolo, dirigendosi verso l’enorme palazzo della Victoria Bank, nell’aria calda e umida.
Casey rise nervosamente. “Quel metallo dorato mi dava alla testa… ed era tutto falso!”
“Per la precisione, era tutto vero” disse tranquillamente Dunross, e lei si fermò. “Mi dispiace di averle confuso le idee, Casey. L’ho detto soltanto per Haply e Marlowe, per indurli a sospettare della loro fonte d’informazioni. Non potevano provare niente, in un senso o nell’altro. Mi è stato chiesto di dare disposizioni per il trasferimento poco più di un’ora fa… e l’ho fatto, ovviamente, con tutte le precauzioni del caso.” Il cuore gli batteva più forte. Si chiese quanti altri sapevano dei rapporti di Grant e del sotterraneo e del numero della cassetta di sicurezza.
Bartlett lo fissò. “Io le ho creduto, quindi immagino che le abbiano creduto anche loro” disse. Ma stava pensando: perché ci hai portati a vedere l’oro? È questo che mi piacerebbe sapere.
“È strano, tai-pan” disse Casey, con una risatina nervosa. “Io sapevo, sapevo che l’oro era vero. Poi le ho creduto, quando ha detto che era falso, e adesso le credo di nuovo. È così facile falsificarlo?”
“Sì e no. Si può saperlo con certezza solo se si usa l’acido… bisogna sottoporlo alla prova dell’acido. È l’unica vera prova, per l’oro. Non è così?” soggiunse rivolgendosi a Bartlett, e vide il mezzo sorriso, e si chiese se l’americano aveva capito.
“Credo che sia così, Ian. Per l’oro… e per la gente.”
Dunross ricambiò il sorriso. Bene, pensò cupo, ci comprendiamo perfettamente.
Ormai era molto tardi. I Golden Ferries avevano smesso di fare la spola e Casey e Linc Bartlett erano a bordo d’una piccola lancia a noleggio che attraversava il porto. La notte era magnifica, il vento aveva un profumo di salmastro e il mare era calmo. Sedevano rivolti verso Hong Kong, e si tenevano sottobraccio. La cena era stata la più squisita che avessero mai consumato, la conversazione divertente, Dunross affascinante. Avevano concluso bevendo cognac sulla terrazza dell’Hilton. Entrambi si sentivano meravigliosamente in pace con il mondo e con se stessi.
Casey sentì la leggera pressione del braccio di Bartlett e si appoggiò a lui.
“È romantico, no, Linc? Guarda il Peak, e tutte le luci. Incredibile. È il posto più bello ed eccitante che abbia mai visto.”
“Meglio del Midi della Francia?”
“Era così diverso.” Erano stati in vacanza sulla Côte d’Azur due anni prima. Era stata la prima volta che erano andati in vacanza insieme. E l’ultima. Per tutti e due, era stato troppo difficile tenersi a distanza. “Ian è fantastico, no?”
“Sì. E anche tu sei fantastica.”
“La ringrazio, gentile signore. Lo sei anche tu.” Risero insieme, felici.
Al molo di Kowloon, Linc pagò e si avviarono verso l’albergo a braccetto. C’erano ancora alcuni camerieri, nell’atrio.
“Buonasera, signore, buonasera, signorina” disse con voce sibilante il vecchio addetto all’ascensore, e al loro piano Chang del turno di notte li precedette di corsa per aprire la porta dell’appartamento. Automaticamente, Linc gli porse un dollaro. Chang del turno di notte li fece entrare, inchinandosi, e chiuse la porta dietro di loro.
Casey la sprangò.
“Bevi qualcosa?” chiese Bartlett.
“No, grazie. Rovinerebbe il gusto del cognac.”
Vide che lui la guardava. Erano al centro del soggiorno, e dall’immensa finestra panoramica alle loro spalle si vedeva tutta Hong Kong. La camera da letto di Bartlett era sulla destra, la sua sulla sinistra. Casey si sentiva pulsare la vena del collo, l’inguine in fiamme… e lui le sembrava bellissimo.
“Bene, è… grazie per la bella serata, Linc. Ci… ci vediamo domani” disse. Ma non si mosse.
“Mancano tre mesi al tuo compleanno, Casey.”
“Tredici settimane e sei giorni.”
“Perché non li dimentichiamo e non ci sposiamo subito? Domani?”
“Sei… sei stato meraviglioso con me, Linc, così paziente a sopportare la mia… la mia stramberia.” Gli sorrise. Era un sorriso incerto. “Ormai non manca più molto tempo. Facciamo come abbiamo concordato. Ti prego.”
Bartlett restò immobile a guardarla, desiderandola. Poi disse: “Sicuro.” Si fermò sulla soglia. “Casey, hai ragione. Questo posto è romantico ed eccitante. Fa effetto anche a me. Forse sarà meglio che tu prenda un’altra stanza.”
La sua porta si chiuse.
Quella notte, Casey si addormentò piangendo.