40.

Ore 7,15

“Continuerà a piovere, Alexi” disse Dunross. La pista era già fradicia, il cielo era coperto, la giornata tetra.

“Credo di sì, tai-pan. Se pioverà anche domani, sabato la pista sarà molto pesante.”

“Jacques? Cosa ne pensi?”

“La stessa cosa” disse deVille. “Dio sia ringraziato perché piove, ma merde, sarebbe un peccato se dovessimo annullare le corse.”

Dunross annuì.

Erano accanto al tondino del dissellaggio all’ippodromo di Happy Valley. I tre uomini portavano impermeabile e cappello. Sul volto di Dunross c’era una brutta scottatura e parecchi lividi, ma i suoi occhi erano sicuri e limpidi, e guardava con tranquilla fermezza la coltre di nubi, la pioggia che cadeva ancora, ma meno forte della notte, e gli altri allenatori e proprietari e i curiosi sparsi sul prato e sulle tribune, altrettanto pensierosi. Si stavano allenando alcuni cavalli, tra cui Noble Star, Buccaneer Lass con un fantino della scuderia e Pilot Fish di Gornt. I fantini tenevano tutti i cavalli a redini strette: la pista era molto scivolosa. Ma Pilot Fish sgroppava felice sotto la pioggia.

“Il bollettino meteorologico di questa mattina ha detto che la perturbazione è enorme.” Gli occhi obliqui di Travkin erano cerchiati di rosso per la stanchezza. Fissò Dunross. “Se la pioggia smetterà domani, sabato il terreno sarà ancora morbido.”

“E questo favorisce o danneggia le possibilità di Noble Star, Alexi?” chiese Jacques.

“Sarà come vorranno gli dei, Jacques. Non ha mai corso sul bagnato.” Travkin faticava a concentrarsi. La sera prima aveva squillato il telefono; era ancora lo sconosciuto del KGB, che l’aveva interrotto sgarbatamente quando gli aveva chiesto perché era scomparso così all’improvviso. “Lei non ha il diritto di fare domande, principe Kurgan. Mi dica tutto quello che sa di Dunross. Subito. Tutto. Le sue abitudini, le voci che corrono sul suo conto, tutto.”

Travkin aveva obbedito. Sapeva d’essere stretto in una morsa, sapeva che lo sconosciuto, senza dubbio del KGB, stava registrando quel che diceva per accertare se era tutto vero, e la minima deviazione dalla verità poteva essere la campana a morto per sua moglie o suo figlio o sua nuora o i suoi nipoti… se esistevano davvero.

Ma esistono? si chiese ancora una volta, angosciato.

“Cosa c’è, Alexi?”

“Niente, tai-pan” rispose Travkin. Si sentiva sporco. “Stavo pensando a quel che ha passato lei stanotte.” La notizia dell’incendio di Aberdeen aveva inondato i giornali radio, soprattutto l’agghiacciante testimonianza di Venus Poon che costituiva il nucleo più sensazionale delle cronache. “È stato terribile per gli altri, vero?”

“Sì.” Finora i morti certi erano quindici, tra bruciati e annegati, inclusi due bambini. “Ci vorranno giorni prima che si possa sapere esattamente quanti ci hanno lasciato la pelle.”

“Terribile” disse Jacques. “Quando l’ho saputo… se Susanne fosse stata qui, ci saremmo trovati nell’incendio. Lei… Com’è strana la vita, a volte.”

“Quella maledetta trappola era troppo infiammabile! Non ci avevo mai pensato” disse Dunross. “Tutti noi ci siamo andati a mangiare dozzine di volte… stamattina parlerò con il governatore a proposito di quei battelli ristoranti.”

“Ma lei sta bene, vero?” chiese Travkin.

“Oh, sì. Me la sono cavata bene.” Dunross sorrise cupamente. “A meno che venga la difterite a tutti, dopo che abbiamo nuotato in quella latrina.”

Quando il Floating Dragon s’era capovolto improvvisamente, Dunross, Gornt e Peter Marlowe si trovavano in acqua, proprio là sotto. Il megafono della lancia della polizia aveva gridato un avvertimento disperato e tutti s’erano affrettati ad allontanarsi. Dunross era un buon nuotatore, e lui e Gornt avevano evitato appena il battello che si rovesciava, anche se il risucchio li aveva trascinati indietro. Mentre finiva con la testa sott’acqua, aveva visto la scialuppa semicarica che veniva attirata nel gorgo e si capovolgeva, e Marlowe che era in difficoltà. Allora s’era abbandonato nella corrente tumultuosa, mentre il battello si assestava sul fianco, e s’era lanciato verso Marlowe. L’aveva afferrato per la camicia e per un momento erano stati risucchiati turbinando sott’acqua, ed erano andati a sbattere contro il ponte. Il colpo l’aveva semistordito; ma non aveva lasciato Marlowe e, quando il risucchio s’era attenuato, era risalito scalciando verso la superficie. Le loro teste erano emerse insieme dall’acqua. Marlowe aveva ansimato qualche parola di ringraziamento, poi s’era diretto a nuoto verso Fleur, che insieme ad altri stava aggrappata alla fiancata della scialuppa capovolta. Intorno a loro c’era il caos, gente che boccheggiava e annegava o che veniva tratta in salvo dai marinai e dai più forti. Dunross aveva visto Casey immergersi per cercare qualcuno. Gornt non si vedeva. Bartlett era riemerso sorreggendo Christian Toxe e s’era diretto verso un salvagente. Si era assicurato che Toxe fosse bene aggrappato, e poi aveva gridato a Dunross: “Credo che Gornt sia stato risucchiato sul fondo e c’era una donna…” Poi s’era tuffato di nuovo.

Dunross s’era guardato attorno. Il Floating Dragon, ormai, era quasi rovesciato sul fianco. Aveva sentito un’esplosione e l’acqua era ribollita intorno a lui per un momento. Casey era risalita per respirare e s’era immersa di nuovo. Anche Dunross s’era tuffato. Era quasi impossibile vedere qualcosa, ma era sceso brancolando lungo il ponte superiore che adesso era quasi verticale. Aveva nuotato intorno al relitto, cercando, restando sott’acqua il più a lungo possibile, poi era risalito con cautela, perché c’era ancora molta gente che si dibatteva. Toxe vomitava l’acqua salmastra, tenendosi precariamente aggrappato al salvagente. Dunross lo raggiunse e lo rimorchiò verso un marinaio: sapeva che non era in grado di nuotare.

“Si tenga forte, Christian… ormai è al sicuro.”

Disperatamente, Toxe tentò di parlare fra i conati di vomito. “Mia… mia moglie… è là sotto… là sotto…”

Il marinaio arrivò a nuoto. “L’ho preso io, signore. Tutto bene?”

“Sì… sì… dice che sua moglie è stata trascinata sul fondo.”

“Cristo! Io non ho visto nessuno… chiederò aiuto!” Il marinaio si voltò e urlò verso la lancia della polizia. Subito altri marinai si tuffarono e cominciarono a cercare. Dunross si guardò intorno, ma non vide Gornt. Casey riemerse ansimando e si aggrappò alla scialuppa rovesciata per riprendere fiato.

“Tutto bene?”

“Sì… sì…, grazie a Dio non le è successo niente…” rispose lei, ansante. “C’è una donna là sotto, una cinese, credo, l’ho vista andare a fondo.”

“Ha visto Gornt?”

“No… Forse è…” Casey indicò la lancia. C’era gente che saliva la scaletta, e altre persone raccolte sul ponte. Bartlett riemerse per un istante e si tuffò di nuovo. Casey trasse un altro profondo respiro e s’immerse. Dunross la seguì, un po’ più sulla destra.

Continuarono a cercare, tutti e tre, fino a quando tutti gli altri furono al sicuro sulla lancia o sui sampan. Non trovarono la donna.

Quando Dunross era rientrato a casa, Penelope dormiva profondamente. Si svegliò per un attimo. “Ian?”

“Sì. Continua a dormire, tesoro.”

“Ti sei divertito?” chiese lei, non del tutto sveglia.

“Sì. Dormi pure.”

Quella mattina, un’ora prima, non l’aveva svegliata quando era uscito dalla Grande Casa.

“Ha sentito se Gornt s’è salvato, Alexi?” chiese.

“Sì, sì, l’ho sentito, tai-pan. Come Dio vuole.”

“Sarebbe a dire?”

“Dopo quel che è successo ieri in Borsa, sarebbe stato molto comodo se non si fosse salvato.”

Dunross sorrise e si stirò per attenuare l’indolenzimento alla schiena. “Ah, ma ci sarei rimasto male, molto male, perché avrei dovuto rinunciare alla soddisfazione di rovinare personalmente la Rothwell-Gornt, eh?”

Dopo una pausa, deVille commentò: “È un miracolo che non ci siano state più vittime.” Guardarono Pilot Fish che passava al piccolo galoppo. Lo stallone sembrava in ottima forma. DeVille scrutò la pista.

“È vero che Bartlett ha salvato la moglie di Peter Marlowe?” chiese Travkin.

“Si è lanciato con lei. Sì. Linc e Casey si sono comportati magnificamente. Sono stati meravigliosi.”

“Vuoi scusarmi, tai-pan?” Jacques deVille accennò alle tribune. “C’è Jason Plumm… stasera dovrei giocare a bridge con lui.”

“Ci vediamo alle Preghiere del Mattino, Jacques.” Dunross gli sorrise, e deVille si allontanò. Sospirò, rattristato per l’amico. “Io vado in ufficio, Alexi. Mi chiami alle sei.”

“Tai-pan…”

“Cosa?”

Travkin esitò. Poi disse soltanto: “Volevo farle sapere che io… l’ammiro molto.”

Dunross rimase sconcertato da quelle parole inaspettate, dalla strana, scoperta malinconia dell’altro. “Grazie” disse con calore, e gli batté la mano sulla spalla. Non aveva mai compiuto un gesto così amichevole nei confronti di Travkin. “Anche lei non è niente male.”

Travkin lo guardò allontanarsi, con il cuore oppresso, mentre lacrime di vergogna si mescolavano sul suo volto alle gocce di pioggia. Si asciugò con il dorso della mano e tornò a seguire Noble Star, sforzandosi di concentrarsi.

Al limite del campo visivo scorse qualcuno e si voltò, sorpreso. L’uomo del KGB era in un angolo delle tribune, e un altro gli si stava avvicinando. Il secondo uomo era vecchio e nodoso, e a Hong Kong era notissimo come scommettitore accanito. Travkin si frugò nella mente per cercare il nome. Clinker. Ecco! Clinker!

Li guardò per un momento, stordito. Jason Plumm era sulla tribuna, dietro l’agente del KGB. Lo vide alzarsi per ricambiare il cenno di saluto di Jacques deVille e scendere per andargli incontro. Proprio in quel momento l’uomo del KGB lanciò un’occhiata nella sua direzione e Travkin si girò con prudenza, cercando di evitare mosse brusche. L’uomo del KGB si era accostato il binocolo agli occhi, e Travkin non capì se l’aveva notato o no. Si sentì accapponare la pelle al pensiero di quel binocolo potentissimo puntato su di lui. Forse quell’uomo è capace di leggere il movimento delle labbra, pensò sbigottito. Cristo Gesù e santa Madre di Dio, per fortuna non ho confessato la verità al tai-pan.

Il cuore gli batteva tormentosamente, e si sentiva male. Un lampo guizzò nel cielo a oriente. La pioggia formava pozzanghere sul cemento e nella parte più bassa, scoperta, delle tribune. Travkin cercò di calmarsi e si guardò intorno, impotente, senza sapere cosa fare: avrebbe voluto scoprire chi era l’uomo del KGB. Notò distrattamente che Pilot Fish stava concludendo benissimo la sgambatura. Poco più in là, Richard Kwang parlava fitto fitto con un gruppo di cinesi che lui non conosceva. Linbar Struan e Andrew Gavallan stavano appoggiati allo steccato insieme a Rosemont e ad altri del consolato americano che lui conosceva di vista. Osservavano i cavalli e non badavano alla pioggia. Vicino agli spogliatoi, al coperto, Donald McBride parlava con gli altri commissari di gara, Sir Shi-teh T’Chung, Pugmire e Roger Crosse e altri ancora. Vide McBride lanciare un’occhiata a Dunross, salutarlo e chiamarlo con un cenno. Brian Kwok stava aspettando Roger Crosse, a poca distanza dal gruppo dei commissari di gara. Travkin li conosceva tutti e due ma non sapeva che appartenevano all’SI.

Involontariamente si incamminò verso di loro. Il sapore amaro della bile gli salì in bocca. Dominò l’impulso di correre da loro e di confessare la verità. Invece, chiamò il suo capo ma-foo. “Manda a casa i nostri cavalli. Tutti quanti. Controlla che siano bene asciutti prima di farli mangiare.”

“Sì, signore.”

Rassegnato e depresso, Travkin si avviò verso gli spogliatoi. Con la coda dell’occhio vide che l’uomo del KGB lo seguiva con il binocolo. La pioggia gli scorreva sul collo e si mescolava al sudore della paura.

“Ah, Ian, stavamo pensando che se domani piove, faremo meglio ad annullare la riunione. Diciamo domani sera alle sei” propose McBride. “Non sei d’accordo?”

“No, per la verità no. Propongo di prendere una decisione definitiva sabato mattina alle dieci.”

“Non è un po’ tardi, vecchio mio?” chiese Pugmire.

“No, se i commissari avvertiranno la radio e la televisione. Anzi, aumenterà l’attesa. Soprattutto se date oggi la notizia.”

“Buona idea” disse Crosse.

“Allora è tutto sistemato” disse Dunross. “C’è altro?”

“Non credi che… c’è la questione della pista” disse McBride. “Non vogliamo rovinarla.”

“Sono d’accordo, Donald. Prenderemo una decisione definitiva sabato alle dieci. Tutti favorevoli?” Non ci furono dissensi. “Bene. Niente altro? Scusatemi, ma ho una riunione fra mezz’ora.”

Shi-teh disse, impacciato: “Oh, tai-pan, mi è dispiaciuto moltissimo per ieri sera… terribile.”

“Sì. Shi-teh, quando incontreremo il governatore al Consiglio, a mezzogiorno, dovremmo suggerirgli di emanare nuovi e severissimi regolamenti antincendio ad Aberdeen.”

“D’accordo” disse Crosse. “È un miracolo se i morti non sono stati di più.”

“Chiudere i ristoranti, vecchio mio?” Pugmire era scandalizzato. La sua compagnia era comproprietaria di due. “Sarebbe un grave danno per il turismo. Non si possono mettere altre uscite… Bisognerebbe ricostruire tutto!”

Dunross guardò di nuovo Shi-teh. “Perché non propone al governatore di ordinare che tutte le cucine vengano immediatamente trasferite su chiatte ormeggiate a fianco dei battelli? Potrebbe dare disposizione di tenere le autopompe nelle vicinanze, fino a quando non saranno stati apportati i cambiamenti. La spesa sarebbe limitata, non ci sarebbero complicazioni, e i pericoli d’incendi verrebbero eliminati una volta per tutte.”

Gli altri lo fissarono. Shi-teh sorrise raggiante. “Ian, lei è un genio!”

“No. Mi dispiace soltanto che non ci abbiamo pensato prima. Non mi era mai venuto in mente. Peccato per Zep… e la moglie di Christian, no? Hanno già trovato il cadavere?”

“Non credo.”

“Dio sa quanti altri sono annegati. I parlamentari se la sono cavata, Pug?”

“Sì, vecchio mio. Tranne Sir Charles Pennyworth. Quel poveraccio s’è spaccato la testa contro un sampan, quando è caduto.”

Dunross ci restò male. “Mi era simpatico! Che sfortuna!”

“A un certo punto ce n’erano altri due vicino a me. Quel maledetto bastardo radicale, come si chiama? Grey, ah, sì, Grey. E l’altro, l’altro cafone socialista, Broadhurst. Si sono comportati piuttosto bene tutti e due, credo.”

“Ho sentito che si è salvato anche il tuo Superfoods, Pug. Il nostro ‘mi chiami Chuck’ non è stato il primo ad arrivare a terra?”

Pugmire scosse le spalle, a disagio. “Non so bene.” Poi sorrise, raggiante. “Ho… ehm… ho saputo che Casey e Bartlett si sono comportati molto bene, no? Forse meriterebbero una medaglia al valor civile.”

“Perché non lo proponi?” chiese Dunross, che voleva andarsene. “Se non c’è altro…”

Crosse disse: “Ian, se fossi in lei mi farei fare un’iniezione. In quella baia devono esserci microbi che non hanno ancora inventato.”

Risero tutti.

“Per la verità ho fatto di meglio. Appena usciti dall’acqua, ho agguantato Linc Bartlett e Casey e li ho portati dal dottor Tooley.” Dunross sorrise appena. “Quando gli abbiamo detto che avevamo nuotato nel porto di Aberdeen per poco non gli è venuto un colpo. Ha detto ‘Bevete questo’, e noi abbiamo obbedito come tanti stupidi e prima ancora di rendercene conto abbiamo cominciato a vomitare anche l’anima. Se ne avessi avuto la forza l’avrei preso a pugni ma eravamo a quattro zampe e facevamo a gara per arrivare primi al gabinetto e non capivamo più niente. Poi Casey è scoppiata a ridere, tra un conato di vomito e l’altro, e ci siamo rotolati sul pavimento!” E soggiunse, con simulata tristezza: “E prima che ci rendessimo conto di quel che succedeva, quel vecchio segaossa ci ha cacciato in gola barili di pillole e Bartlett ha detto ‘Santo Dio, dottore, se prova a rifilarci anche una supposta le faccio un buco nella pancia!’” Risero di nuovo.

“È vero quel che dicono di Casey? Che si è spogliata e s’è tuffata come una campionessa olimpica?” chiese Pugmire.

“Anche meglio! Completamente nuda, vecchio mio” esagerò disinvolto Dunross. “Come la Venere di Milo! Probabilmente il meglio… tutto quanto… che io abbia mai visto.”

“Oh?” Gli altri sgranarono gli occhi.

“Sì.”

“Mio Dio, ma nuotare nel porto di Aberdeen! Quella fogna!” esclamò McBride, inarcando le sopracciglia. “Se sopravviverete tutti sarà un miracolo!”

“Il dottor Tooley ha detto che come minimo ci verrà la gastroenterite, la dissenteria o il colera.” Dunross girò gli occhi. “Bene, oggi siamo qui e domani non ci siamo più. C’è altro?”

“Tai-pan” disse Shi-teh, “io… spero che non le dispiaccia ma ho… vorrei organizzare una raccolta di fondi per le famiglie delle vittime ”

“Ottima idea! Anche il Turf Club dovrebbe contribuire. Donald, ti dispiacerebbe consultare gli altri commissari entro oggi e ottenere la loro approvazione? Che ne diresti di 100.000?”

“Un po’ troppo generoso, no?” chiese Pugmire.

“No” obiettò Dunross. “Facciamo 150.000, anzi. La Nobil Casa verserà la stessa somma.” Pugmire arrossì. Nessuno disse nulla. “La riunione è aggiornata? Bene. Buongiorno.” Dunross si tolse educatamente il cappello e si allontanò.

“Scusatemi un momento.” Crosse accennò a Brian Kwok di seguirlo. “Ian!”

“Sì, Roger?”

Quando Crosse raggiunse Dunross, disse sottovoce: “Ian, abbiamo ricevuto la conferma che Sinders arriverà domani con il volo della BOAC. Andremo direttamente dall’aeroporto alla banca, se lei è d’accordo.”

“Ci sarà anche il governatore?”

“Glielo chiederò. Dovremmo essere là verso le sei.”

“Se l’aereo arriverà in orario.” Dunross sorrise.

“Ha avuto la comunicazione ufficiale del dissequestro dell’Eastern Cloud?”

“Sì, grazie. E arrivata ieri per telex da Delhi. Ho dato l’ordine di riportarla qui immediatamente, ed è partita con la marea. Brian, ricorda la scommessa che voleva fare… quella su Casey? Sui suoi seni… 50 dollari contro una monetina di rame che sono i più belli di Hong Kong?”

Brian Kwok arrossì sotto lo sguardo severo di Crosse. “Ehm, sì, perché?”

“Non so se sono i più belli, ma come per il giudizio di Paride, si troverebbe alle prese con un grosso problema se dovesse esaminarli.”

“Allora è vero? Era nuda?”

“Era Lady Godiva in missione di salvataggio.” Dunross li salutò amabilmente con un cenno e si allontanò lanciando un “Ci vediamo domani.”

Lo seguirono con gli occhi. All’uscita, un agente dell’SI lo aspettava per scortarlo.

Crosse disse: “Quello sta tramando qualcosa.”

“Lo penso anch’io, signore.”

Crosse distolse lo sguardo da Dunross e fissò Brian Kwok. “Ha l’abitudine di scommettere sulle ghiandole mammarie delle signore?”

“No, signore, chiedo scusa, signore.”

“Bene. Fortunatamente, le donne non sono l’unica cosa bella al mondo, non è vero?”

“No, signore.”

“Ci sono i cani, i quadri, la musica, magari un colpo grosso. Eh?”

“Sì, signore.”

“Aspetti qui, per favore.” Crosse tornò dagli altri commissari.

Brian Kwok sospirò. Era annoiato e stanco. La squadra dei sommozzatori l’aveva atteso ad Aberdeen e sebbene avesse scoperto quasi subito che Dunross era sano e salvo ed era già tornato a casa, aveva dovuto restare per quasi tutta la notte, aiutando a organizzare la ricerca degli annegati. Era stato un compito atroce. Poi, quando stava per tornare a casa, Crosse l’aveva chiamato per dargli appuntamento a Happy Valley all’alba, e così non era stato neppure il caso di andare a letto. Era andato invece al Para Restaurant, a guardare minacciosamente gli uomini delle triadi e Ko Un Piede.

Adesso seguiva Dunross con gli occhi. Che cos’ha in mente, quello? si chiese, scosso da un fremito d’invidia. Che cosa non farei, se avessi il suo potere e il suo denaro!

Vide Dunross cambiare direzione e avviarsi verso la tribuna vicina, poi notò Adryon seduta a fianco di Martin Haply. Tutti e due guardavano i cavalli e non s’erano accorti di Dunross. Dew neh loh moh, pensò sorpreso. Strano che siano insieme. Cristo, com’è bella! Grazie a Dio non è mia figlia. Diventerei matto.

Anche Crosse e gli altri avevano notato con stupore Adryon e Martin Haply. “Cos’ha a che fare quel bastardo con la figlia del tai-pan?” chiese Pugmire in tono acido.

“Non ha in mente nulla di buono, questo è certo” disse qualcuno.

“Quell’individuo non combina altro che guai!” borbottò Pugmire, e gli altri annuirono. “Non capisco proprio perché Toxe se lo tenga!”

“Perché è socialista, ecco perché! Bisognerebbe allontanare anche lui!”

“Oh, andiamo, Pug. Toxe è un tipo a posto… e lo sono anche certi socialisti” disse Shi-teh. “Ma dovrebbe licenziare Haply, sarebbe meglio per tutti noi!” Tutti erano stati vittime degli attacchi di Haply. Qualche settimana prima, il giovane aveva scritto una serie di scottanti rivelazioni su certi maneggi di Shi-teh con il suo enorme conglomerato di compagnie e aveva insinuato che vari VIP del governo di Hong Kong ricevevano contributi discutibili di ogni genere in cambio di certi favori.

“Sono d’accordo” disse Pugmire, che l’odiava altrettanto. Haply, con estrema precisione, aveva riferito i particolari riservati dell’imminente fusione di Pugmire con la Superfoods e aveva chiarito che Pugmire ci avrebbe guadagnato assai più dei suoi azionisti della General Stores, i quali erano stati appena consultati sulle condizioni dell’accordo. “Sporco bastardo! Mi piacerebbe sapere dove si procura le informazioni.”

“È strano che Haply sia con Adryon” osservò Crosse, fissando le labbra dei due e attendendo che cominciassero a parlare. “L’unica grande compagnia che finora non ha attaccato è la Struan.”

“Crede che sia il turno della Struan e che Haply stia facendo cantare Adryon?” chiese uno degli altri. “Sarebbe straordinario!”

Attesero, guardando Dunross che saliva sulla tribuna, mentre i due giovani non si erano ancora accorti della sua presenza.

“Forse lo pesterà come ha fatto con quell’altro bastardo” disse allegramente Pugmire.

“Eh?” disse Shi-teh. “Chi? Cos’è successo?”

“Oh, credevo che lo sapessi. Un paio d’anni fa, uno dei giovani dirigenti della Victoria, appena arrivato dall’Inghilterra, s’era messo a correr dietro a Adryon. Lei aveva sedici anni, o diciassette… lui ventidue, grande e grosso come una casa, più grosso di Ian. Si chiamava Byron. Era convinto di essere Lord Byron all’attacco, e quella povera ragazza si è presa una cotta. Ian gli ha dato l’ultimatum. Quel tizio ha continuato ad andarla a trovare, e così Ian lo ha invitato nella sua palestra a Shek-O, ha infilato i guantoni – sapeva che il tipo si credeva un grande pugile – e ne ha fatto polpette.” Gli altri risero. “In meno d’una settimana, la banca lo ha rispedito a casa.”

“Eri presente al fatto?” chiese Shi-teh.

“No, naturalmente. Erano soli, santo cielo, ma quello stupido era davvero conciato male. Non mi piacerebbe dovermela vedere con il tai-pan… quando è di cattivo umore.”

Shi-teh guardò di nuovo Dunross. “Forse farà lo stesso con quel bastardo” disse allegramente.

Attesero, speranzosi. Crosse si avviò con Brian Kwok, avvicinandosi.

Dunross stava salendo di corsa i gradini della tribuna e si fermò accanto ai due. “Ciao, tesoro, ti sei alzata presto” la salutò.

“Oh, ciao, papà” disse Adryon, trasalendo. “Non ti avevo vi… Cos’hai fatto alla faccia?”

“Sono andato a sbattere contro un autobus. Buongiorno, Haply.”

“Buongiorno, signore.” Haply si alzò a mezzo e tornò a sedersi.

“Un autobus?” disse Adryon. Poi, all’improvviso: “Sei andato a sbattere con la Jaguar? Oh, ti sei beccato una multa?” chiese, speranzosa. Quell’anno lei ne aveva già collezionate tre.

“No. Ti sei alzata presto, vero?” disse Dunross, sedendole accanto.

“Per la verità siamo stati in piedi tutta la notte.”

“Oh?” Dunross si trattenne dal prorompere in cento domande che gli affioravano alle labbra e disse, invece: “Devi essere stanca.”

“No. Davvero.”

“Cos’è? Avete festeggiato?”

“No. Per la verità si tratta del povero Martin.” Adryon posò gentilmente la mano sulla spalla del giovane. Con uno sforzo, Dunross continuò a sorridere e rivolse l’attenzione sul giovane canadese. “Cos’è successo?”

Haply esitò, poi riferì quello che era successo al giornale quando l’editore aveva telefonato e Christian Toxe, il direttore, gli aveva ordinato d’interrompere la sua inchiesta. “Quel bastardo ci ha venduti. Ha lasciato che l’editore ci imbavagliasse. So di avere ragione. So di avere ragione.”

“E come?” chiese Dunross, pensando: sei un piccolo bastardo insensibile.

“Mi dispiace, ma non posso rivelare la mia fonte.”

“Davvero, non può farlo, papà, è una violazione della libertà di stampa” disse Adryon in tono difensivo.

Haply strinse i pugni; poi, distrattamente, posò la mano sul ginocchio di Adryon, e lei gli mise la mano sulla mano. “La Ho-Pak viene mandata a picco per niente.”

“Perché?”

“Non so. Ma Gor… ma certi tai-pan hanno fomentato l’attacco, e non ha senso.”

“C’è sotto Gornt?” Dunross aggrottò la fronte al pensiero di quella possibilità.

“Non ho nominato Gornt, signore. Non l’ho nominato affatto.”

“Non l’ha nominato, papà” disse Adryon. “Cosa dovrebbe fare Martin? Dare le dimissioni, o trangugiare il suo amor proprio e…”

“Non posso, Adryon” disse Martin Haply.

“Lascia parlare mio padre, lui saprà darti un consiglio.”

Dunross la vide volgere gli occhi su di lui e si sentì commosso più di quanto lo fosse mai stato, per quella fiducia innocente. “Due cose: innanzi tutto, torni immediatamente al giornale. Christian avrà bisogno di tutto l’aiuto possibile. In secondo luogo…”

“Aiuto?”

“Non ha saputo di sua moglie?”

“No, cos’è successo?”

“Non sa che è morta?”

Lo guardarono tutti e due, allibiti.

Rapidamente, Dunross raccontò quel che era successo ad Aberdeen. Rimasero entrambi sconvolti e Haply balbettò: “Gesù, noi… non abbiamo sentito la radio né altro… abbiamo soltanto ballato e parlato…” Si alzò di scatto e fece per andarsene, poi ritornò indietro. “Sarà… sarà meglio che vada subito. Gesù!”

Adryon era in piedi. “Ti accompagno io.”

Dunross disse: “Haply, chieda a Christian di pubblicare in neretto che tutti quelli finiti in acqua o tornati a riva a nuoto devono rivolgersi immediatamente a un medico… è importantissimo.”

“D’accordo!”

Adryon chiese, ansiosamente: “Papà, sei stato dal dottor Too…”

“Oh, sì” disse Dunross. “Ripulito dentro e fuori. Andate!”

“Qual era la seconda cosa che voleva dirmi, tai-pan?” chiese Haply.

“Eccola: deve ricordare che il denaro è dell’editore, quindi il giornale è suo e può fare ciò che vuole. Ma gli editori possono venire convinti. Per esempio, mi domando chi si è messo in contatto con lui o con lei, e perché lui e lei hanno acconsentito a chiamare Christian… se è così sicuro che sia vero.”

Haply sorrise, raggiante. “Vieni, tesoro” disse, e gridò un ringraziamento. Corsero via, tenendosi per mano.

Per un momento, Dunross restò seduto in tribuna. Sospirò, poi si alzò e si allontanò.

Roger Crosse era con Brian Kwok al riparo della tettoia, vicino agli spogliatoi dei fantini. Aveva seguito la conversazione del tai-pan, leggendo i movimenti delle labbra. Lo guardò andarsene, scortato dalla guardia dell’SI. “È inutile che stiamo a perdere altro tempo qui, Brian. Venga.” Si incamminò verso l’altra uscita. “Chissà se Robert ha scoperto qualcosa a Sha Tin.”

“Per quei maledetti Lupi Mannari sarà un trionfo. Tutta Hong Kong si spaventerà a morte. Scommetto che…” Brian Kwok s’interruppe. “Signore! Guardi!” Indicò le tribune con un cenno del capo, notando Suslev e Clinker fra i gruppetti che assistevano all’allenamento standosene al riparo dalla pioggia. “Mi stupisce che sia già alzato!”

Crosse socchiuse gli occhi. “Sì. È strano. Sì.” Esitò, poi cambiò direzione, osservando attentamente le labbra dei due. “Poiché ci ha fatto questo onore, tanto vale scambiare quattro chiacchiere con lui. Ah… ci hanno visti. A Clinker non siamo affatto simpatici.” A passo tranquillo, si diresse verso le tribune.

Il russo sfoggiò un sorriso, tirò fuori una fiaschetta piatta e bevve un sorso. Poi l’offrì a Clinker.

“No, grazie, amico mio, bevo soltanto birra.” Gli occhi freddi di Clinker erano fissi sui due della polizia. “Bello schifo, no?” disse a voce alta.

“Buongiorno, Clinker” disse Crosse, con la stessa freddezza. Poi sorrise a Suslev. “Buongiorno, comandante. Brutta giornata, eh?”

“Siamo vivi, tovarišč, vivi, quindi come può essere una brutta giornata?” Suslev era tutto bonomia, continuava a mimetizzarsi con quel fare gioviale. “Ci saranno le corse sabato, sovrintendente?”

“È probabile. La decisione verrà presa sabato mattina. Per quanto tempo resterà in porto?”

“Non per molto, sovrintendente. Le riparazioni del timone procedono lentamente.”

“Non troppo lentamente, spero. Sarebbe seccante se gli ospiti importanti del nostro porto non ottenessero un servizio rapido.” Il tono di Crosse era secco. “Parlerò al direttore del cantiere.”

“La ringrazio, molto… molto gentile da parte sua. E anche il suo dipartimento è stato molto gentile…” Suslev esitò, poi si rivolse a Clinker. “Ti dispiace, amico?”

“Neanche per sogno” disse Clinker. “I poliziotti m’innervosiscono” Brian Kwok lo guardò e Clinker ricambiò l’occhiata, senza paura. “Ti aspetto in macchina.” E se ne andò.

La voce di Suslev s’indurì. “Il suo dipartimento è stato molto gentile a rimandarci il corpo del nostro povero compagno Voranskij. Avete scovato gli assassini?”

“No, purtroppo. Potrebbero essere sicari prezzolati… da chiunque. Naturalmente, se non fosse sgattaiolato a terra di nascosto sarebbe ancora un utile agente del… del dipartimento che serviva.”

“Era soltanto un marinaio e un brav’uomo. Credevo che a Hong Kong non ci fossero simili pericoli.”

“Ha trasmesso le fotografie degli assassini e le informazioni sulla loro telefonata ai suoi superiori del KGB?”

“Non sono del KGB, al diavolo il KGB! Sì, le informazioni sono state inoltrate… dal mio superiore” disse Suslev in tono irritato. “Lei sa com’è, sovrintendente, per l’amor di Dio. Ma Voranskij era un brav’uomo e bisogna prendere i suoi assassini.”

“Li troveremo presto” disse disinvolto Crosse. “Sapeva che Voranskij era in realtà il maggiore Yuri Bakyan, Prima Direzione, Dipartimento 6 del KGB?”

I due videro l’espressione sconvolta di Suslev. “Per me… per me era soltanto un amico che veniva con noi di tanto in tanto.”

“Chi lo decide, comandante?” chiese Crosse.

Suslev guardò Brian Kwok che restituì l’occhiata con aperto disgusto. “Perché è così arrabbiato? Che cosa le ho fatto?”

“Perché l’impero russo è così avido, soprattutto quando si tratta del suolo cinese?”

“La politica!” esclamò in tono amaro Suslev, poi si rivolse a Crosse: “Io non m’immischio con la politica.”

“Voialtri non fate altro che immischiarvi! Che grado ha nel KGB?”

“Non ho nessun grado.”

Crosse disse: “Un po’ di collaborazione potrebbe dare buoni frutti. Chi sceglie i membri del suo equipaggio, comandante Suslev?”

Suslev gli lanciò un’occhiata. Poi disse: “Una parola in privato, eh?”

“Certamente” disse Crosse. “Aspetti qui, Brian.”

Suslev voltò le spalle a Brian Kwok e scese per primo la scala. Crosse lo seguì. “Cosa ne pensa delle possibilità di Noble Star?” chiese giovialmente Suslev.

“Buone. Ma non ha mai corso sul terreno bagnato.”

“Pilot Fish?”

“Lo guardi… può vederlo con i suoi occhi. Il terreno bagnato gli è congeniale. Sarà il favorito. Ha intenzione di essere qui, sabato?”

Suslev si appoggiò allo steccato. E sorrise: “Perché no?”

Crosse rise sommessamente. “Davvero, perché no?” Era sicuro che nessuno potesse ascoltarli. “Sei un buon attore, Gregor. Bravissimo.”

“Anche tu, compagno.”

“Stai correndo un grosso rischio, no?” chiese Crosse, muovendo appena le labbra.

“Sì, ma tutta la vita è un rischio. Il Centro mi ha detto di sostituire Voranskij fino a che non arriverà il suo sostituto… Ci sono troppi contatti e decisioni importanti da prendere in questo viaggio. Non ultimo, il Sevrin. E comunque, come sai, Arthur ha voluto così.”

“Qualche volta mi domando se è prudente.”

“È prudente.” Le linee intorno agli occhi di Suslev si incresparono nel sorriso. “Oh, sì. Molto prudente. Sono felice di vederti. Il Centro è molto, molto soddisfatto del tuo lavoro di quest’anno. Ho molte cose da dirti.”

“Chi è il bastardo che ha segnalato il Sevrin a Grant?”

“Non lo so. Un rinnegato. Appena lo sapremo, sarà spacciato.”

“Qualcuno ha tradito un gruppo dei miei, l’ha segnalato alla Repubblica Popolare Cinese. La fuga deve essere partita dal rapporto di Grant. Hai letto la mia copia. Chi altro l’ha letta, sulla tua nave? Qualcuno s’è infiltrato in questa operazione!”

Suslev impallidì. “Farò effettuare immediatamente un controllo di sicurezza. Potrebbe essere partita da Londra, o da Washington.”

“Ne dubito. Non avrebbe fatto in tempo. Io credo che sia partita da qui. E poi c’è Voranskij. L’infiltrato è tra i tuoi.”

“Se la Repubblica Popolare Cinese… sì, sarà fatto. Ma chi? Scommetterei la mia vita che non ho spie a bordo.”

Crosse era altrettanto cupo. “C’è sempre qualcuno che può lasciarsi corrompere.”

“Hai un piano di fuga?”

“Parecchi.”

“Ho l’ordine di collaborare in ogni modo. Vuoi imbarcarti sull’Ivanov?”

Crosse esitò. “Aspetterò di aver letto i rapporti di Grant. Sarebbe un peccato, dopo tanto tempo…”

“Sono d’accordo.”

“Per te è facile essere d’accordo. Se ti prendono, tutto quel che ti succede è che ti espellono e ti pregano educatamente di non tornare più. Ma io? Non voglio farmi prendere vivo.”

“Certo.” Suslev accese una sigaretta. “Non ti prenderanno, Roger. Sei troppo furbo. Hai qualcosa per me?”

“Guarda laggiù, lungo lo steccato. Quell’uomo alto.”

Distrattamente, Suslev si accostò il binocolo agli occhi. Impiegò diverso tempo per inquadrare l’uomo che Crosse gli aveva indicato, poi distolse lo sguardo.

“È Stanley Rosemont, della CIA. Sai che ti stanno pedinando?”

“Oh, sì. Posso seminarli quando voglio.”

“Quello accanto a lui è Ed Langan, dell’FBI. Quello con la barba è Mishauer, del servizio segreto della Marina americana.”

“Mishauer? Il nome non mi è nuovo. Hai i loro dossier?”

“Non ancora, ma al consolato c’è un invertito che ha una relazione con il figlio d’uno dei nostri più eminenti avvocati cinesi. Prima che tu torni qui al prossimo viaggio, sarà felicissimo di soddisfare ogni tuo desiderio.”

Suslev sorrise, torvo. “Bene.” Guardò di nuovo, distrattamente, Rosemont e gli altri, imprimendosi le facce nella memoria. “Che compiti ha?”

“È vicecapo della stazione. Nella CIA da quindici anni. Prima era nell’OSS e via di seguito. Qui hanno una dozzina d’altre coperture, e rifugi dappertutto. Ho mandato un elenco in micropunti al 32.”

“Bene. Il Centro vuole che la sorveglianza su tutti i movimenti della CIA venga intensificata.”

“Non è un problema. Sono imprudenti, ma dispongono di grossi fondi… sempre più ingenti.”

“Vietnam?”

“Vietnam, naturalmente.”

Suslev ridacchiò. “Quei poveri stupidi non sanno in che razza di trappola li stiamo attirando. Credono ancora di poter combattere una guerra nella giungla con le tattiche della Corea o della Seconda guerra mondiale.”

“Non tutti sono stupidi” disse Crosse. “Rosemont è abile, molto abile. A proposito, sanno della base aerea di Iman.”

Suslev imprecò sottovoce e si appoggiò con una mano allo steccato, accostando l’altra alla bocca per impedire che qualcuno leggesse il movimento delle labbra.

“… Iman e quasi tutto su Petropavlovsk, la nuova base di sommergibili a Korsakov nell’isola di Sakhalin…”

Suslev imprecò di nuovo. “Come hanno fatto?”

“Traditori.” Crosse sorrise a denti stretti.

“Perché fai il doppio gioco, Roger?”

“Perché me lo chiedi ogni volta che ci incontriamo?”

Suslev sospirò. Aveva ordini precisi di non sondare Crosse e di aiutarlo in tutti i modi. E sebbene fosse il controllore del KGB per tutte le attività spionistiche in Estremo Oriente, soltanto l’anno prima era stato autorizzato a conoscere l’identità di Crosse. Negli schedari del KGB, Crosse aveva la classificazione segreta più alta, al livello di Philby. Ma neppure Philby sapeva che Crosse lavorava per il KGB da sette anni.

“Lo chiedo perché sono curioso” disse.

“Non hai l’ordine di non essere curioso, compagno?”

Suslev rise. “Noi due non obbediamo sempre agli ordini, vero? Il Centro ha gradito tanto il tuo ultimo rapporto che sono stato incaricato di riferirti che sul tuo conto svizzero verrà accreditata una gratifica extra di 50.000 dollari, il quindici del mese prossimo.”

“Bene. Grazie. Ma non è una gratifica. È il pagamento per la merce ricevuta.”

“Cosa sa l’SI della delegazione parlamentare?”

Crosse gli riferì quel che aveva detto al governatore. “Perché questa domanda?”

“Un controllo d’ordinaria amministrazione. Tre sono potenzialmente molto influenti… Guthrie, Broadhurst e Grey.” Suslev offrì a Crosse una sigaretta. “Stiamo manovrando per fare entrare Grey e Broadhurst nel nostro Consiglio Mondiale per la Pace. I loro sentimenti anticinesi ci sono utili. Roger, ti dispiace far pedinare Guthrie? Forse ha qualche brutta abitudine. Se venisse compromesso, magari fotografato con una ragazza di Wanchai, potrebbe essere utile, eh?”

Crosse annuì. “Vedrò cosa si può fare.”

“Riuscirai a scoprire quei delinquenti che hanno assassinato il povero Voranskij?”

“Prima o poi.” Crosse lo scrutò. “Doveva essere segnato da diverso tempo. Un gran brutto presagio per tutti noi.”

“Erano del Kuomintang? O banditi maoisti?”

“Non so.” Crosse sorrise sardonicamente. “L’Unione Sovietica non è molto amata dai cinesi.”

“I loro capi sono traditori del comunismo. Dobbiamo annientarli prima che diventino troppo forti.”

“È questa la linea politica?”

“Fin dai tempi di Gengis Khan.” Suslev rise. “Ma adesso… adesso noi dobbiamo avere un po’ di pazienza. Tu no, invece.” Indicò Brian Kwok con il pollice. “Perché non screditi quel matyeryebyets? Non mi piace neanche un po’.”

“Il giovane Brian è molto efficiente. Ho bisogno di collaboratori efficienti. Informa il Centro che Sinders dell’MI-6 arriverà domani da Londra per prendere in consegna i rapporti di Grant. L’MI-6 e la CIA sospettano che Grant sia stato assassinato. È vero?”

“Non lo so. Avrebbero dovuto assassinarlo anni fa. Come ti procurerai una copia?”

“Non so. Sono quasi sicuro che Sinders me li farà leggere prima di ripartire.”

“E se non lo facesse?”

Crosse alzò le spalle. “Riusciremo a leggerli, in un modo o nell’altro.”

“Dunross?”

“Solo come estrema risorsa. È troppo utile dov’è, e preferirei continuare a tenerlo d’occhio. E Travkin?”

“Le tue informazioni erano preziosissime. Tutto collimava.” Suslev gli riferì il loro incontro, poi aggiunse: “Adesso sarà il nostro schiavo in eterno. Farà tutto quel che vorremo. Tutto. Credo che ucciderebbe Dunross, se fosse necessario.”

“Bene. Quanto di quel che gli hai detto era vero?”

Suslev sorrise. “Non molto.”

“Sua moglie è viva?”

“Oh, sì, tovarišč, è viva.”

“Ma non è nella sua dacia?”

“Adesso sì.”

“E prima?”

Suslev scrollò le spalle. “Io gli ho detto quello che mi avevano ordinato di dirgli.”

Crosse accese una sigaretta. “Cosa ne sai dell’Iran?”

Ancora una volta Suslev lo squadrò. “Parecchio. È uno dei nostri otto grandi obiettivi, e adesso c’è in corso una grossa operazione.”

“In questo momento la Novantaduesima divisione aviotrasportata americana è sul confine sovietico-iraniano!”

Suslev lo guardò a bocca aperta. “Cosa?”

Crosse riferì tutto quel che gli aveva detto Rosemont a proposito del Dry Run, e quando spiegò che le forze degli Stati Uniti avevano armi nucleari, Suslev impallidì visibilmente. “Madre di Dio! Quei maledetti americani un giorno o l’altro commetteranno un errore e allora non riusciremo più a districarci! Sono pazzi a mettere in campo armi del genere.”

“Potete combatterli?”

“No, naturalmente, non ancora” disse irritato Suslev. “La base della nostra strategia è non avere mai uno scontro diretto fino a quando l’America sarà completamente isolata e non ci saranno dubbi sulla vittoria finale. Uno scontro diretto, adesso, sarebbe un suicidio. Lo riferirò subito al Centro.”

“Fagli capire che gli americani la considerano un’esercitazione a salve. Consiglia il Centro di ritirare le vostre forze e insabbiare tutto. Devono farlo subito, o saranno guai. Non provocate in nessun modo le forze americane. Tra pochi giorni se ne andranno. Non informate dell’invasione le vostre spie infiltrate a Washington. Lasciate che la notizia arrivi prima dai vostri nella CIA.”

“La Novantaduesima è davvero là? Mi sembra impossibile.”

“Sarà meglio che anche voi potenziate le vostre armate e le rendiate più mobili.”

Suslev grugnì. “Le energie e le risorse di trecento milioni di russi sono tutte incanalate per risolvere questo problema, tovarišč. Se avremo a disposizione vent’anni… solo altri vent’anni…”

“Allora?”

“Negli anni Ottanta domineremo il mondo.”

“Allora sarò morto da un pezzo.”

“Tu? No. Governerai la provincia o la nazione che vorrai. L’Inghilterra?”

“No, grazie, il clima è spaventoso. Escluso un paio di giorni all’anno, quando è il posto più bello della Terra.”

“Ah, dovresti vedere casa mia in Georgia e la campagna intorno a Tiflis.” A Suslev brillavano gli occhi. “È il paradiso terrestre.”

Mentre parlavano, Crosse si guardava intorno. Sapeva che nessuno poteva ascoltarli. Brian Kwok era seduto in tribuna, semiaddormentato. Rosemont e gli altri lo scrutavano di sottecchi. Accanto al tondino del dissellaggio, Jacques deVille passeggiava insieme a Jason Plumm.

“Hai parlato con Jason?”

“Certo, quando eravamo in tribuna.”

“Bene.”

“Che cos’ha detto di deVille?”

“Anche lui dubita che Jacques possa venire scelto come tai-pan. Dopo il mio incontro di ieri sera sono d’accordo… evidentemente è troppo debole o si sta rammollendo.” Suslev aggiunse: “Succede spesso con gli infiltrati che non hanno altro da fare che attendere. È il compito più difficile.”

“Sì.”

“È un brav’uomo, ma temo che non realizzerà la sua missione.”

“Cosa intendi fare di lui?”

“Non ho ancora deciso.”

“Trasformarlo da spia interna in spia condannata?”

“Solo se tu o gli altri del Sevrin foste minacciati.” A beneficio dei curiosi, Suslev si portò la fiaschetta alle labbra e l’offrì a Crosse, che scrollò la testa. Entrambi sapevano che la fiaschetta conteneva solo acqua. Suslev abbassò la voce. “Ho un’idea. Stiamo intensificando il nostro impegno in Canada. È chiaro che il movimento separatista francese ci offre un’occasione magnifica. Se il Quebec dovesse staccarsi dal Canada, nell’intero continente nordamericano ci sarebbe una struttura di potere completamente nuova. Stavo pensando che sarebbe l’ideale se deVille andasse a dirigere la Struan in Canada. Eh?”

Crosse sorrise. “Eccellente. Davvero eccellente. Anche a me Jacques è simpatico. Sarebbe un peccato sprecarlo. Sì, sarebbe una mossa molto intelligente.”

“Più di quanto immagini, Roger. Lui ha certi amici franco-canadesi molto importanti, dai tempi in cui era a Parigi subito dopo la guerra, tutti separatisti dichiarati, tutti tendenzialmente di sinistra. Alcuni di loro stanno diventando una forza politica di rilievo in Canada.”

“Gli faresti abbandonare la copertura?”

“No. Jacques potrebbe dare una spinta alla questione separatista senza scoprirsi. Come dirigente di una grossa filiale della Struan… e se uno dei suoi amici importanti diventasse ministro degli esteri o primo ministro, eh?”

“È possibile?”

“È possibile.”

Crosse fece un fischio. “Se il Canada si allontanasse dagli Stati Uniti sarebbe un colpo magnifico.”

“Sì.”

Dopo una pausa, Crosse disse: “Una volta, un amico pregò un saggio cinese di benedire il suo figlioletto appena nato. La benedizione fu: ‘Auguriamogli di vivere in tempi interessanti.’ Bene, Gregor Petrovič Suslev, il cui vero nome è Petr Oleg Mzytryk, viviamo certamente in tempi interessanti. No?”

Suslev lo fissava, traumatizzato. “Chi ti ha detto il mio nome?”

“I tuoi superiori.” Crosse lo fissò con occhi improvvisamente spietati. “Tu mi conosci, e io conosco te. È giusto, no?”

“Ma… naturalmente. Io…” La risata di Suslev era forzata. “Non uso quel nome da tanto tempo che… che l’avevo quasi dimenticato.” Ricambiò lo sguardo di Crosse, sforzandosi di dominarsi. “Cosa c’è? Perché sei così nervoso, eh?”

“Grant. Credo che per ora dovremmo concludere l’incontro. La nostra copertura è che ho cercato di corromperti, ma tu hai rifiutato. Vediamoci domani al sette.” Sette era il numero in codice dell’appartamento accanto a quello di Ginny Fu a Mong Kok. “Sul tardi. Alle undici.”

“Meglio alle dieci.”

Crosse indicò cautamente Rosemont e gli altri. “Prima che tu te ne vada, ho bisogno di qualcosa per loro.”

“D’accordo. Domani ti…”

“Subito.” Crosse assunse un tono più duro. “Qualcosa di speciale… nell’eventualità che non possa vedere la copia di Sinders, dovrò fare un baratto con loro!”

“Non devi divulgare la fonte a nessuno. A nessuno.”

“D’accordo.”

“Mai?”

“Mai.”

Suslev rifletté per un momento, soppesando le possibilità. “Questa sera uno dei nostri agenti prenderà in consegna materiale segretissimo proveniente dalla portaerei. Eh?”

Il viso dell’inglese s’illuminò. “Perfetto! È per questo che sei venuto?”

“È una delle ragioni.”

“Quando e dove avverrà la consegna?”

Suslev glielo disse, poi aggiunse: “Ma voglio le copie di tutto.”

“Certamente. Ottimo, andrà benissimo. Rosemont si sentirà in debito con me. Da quanto tempo è a bordo il vostro informatore?”

“Due anni. Almeno è stato convertito allora.”

“Vi passa roba interessante?”

“Tutto quello che arriva da quella puttana è prezioso.”

“Qual è il suo compenso?”

“Per questo? 2000 dollari USA. Non costa caro. Nessuno dei nostri informatori costa caro, te eccettuato.”

Crosse sorrise, senza allegria. “Ah, ma io sono il migliore che avete in Asia e ho dato cinquanta volte la prova del mio valore. Finora l’ho fatto praticamente per amore, vecchio mio.”

“Il tuo prezzo, vecchio mio, è il più elevato che dobbiamo pagare! Compriamo un intero piano di battaglia della NATO con codici e tutto, ogni anno, per meno di 8000 dollari USA.”

“Quei bastardi di dilettanti stanno rovinando i nostri affari. Sono affari, no?”

“Per noi no.”

“Balle! Voi del KGB siete pagati profumatamente. Dacie, case a Tiflis, il diritto di far spese in negozi speciali. Amanti. Ma devo dirti che spremere denaro alla tua ditta diventa sempre più difficile ogni anno. Mi aspetto un aumento consistente per il Dry Run e per la faccenda di Grant, quando sarà conclusa.”

“Parla direttamente con loro. Io non ho giurisdizione sul denaro.”

“Bugiardo.”

Suslev rise. “È piacevole e sicuro trattare con un professionista. Prosit!” Si portò la fiaschetta alle labbra e la vuotò.

Crosse disse bruscamente: “Fammi il piacere di andartene infuriato. Sento che ci puntano addosso i binocoli!”

Suslev cominciò a inveire in russo, sottovoce ma con veemenza, poi agitò il pugno sotto il naso del sovrintendente e si allontanò.

Crosse lo seguì con lo sguardo.

Sulla strada di Sha Tin Robert Armstrong stava guardando il cadavere di John Chen che i poliziotti riavvolgevano nella coperta. Poi lo portarono all’ambulanza in attesa, tra due ali di folla sbalordita. Gli esperti delle impronte digitali e altri uomini della scientifica si aggiravano in cerca di tracce. La pioggia cadeva più fitta, e c’era fango dovunque.

“È tutto confuso, signore” disse in tono acido il sergente Lee. “Ci sono impronte di piedi, ma potrebbero essere di chiunque.”

Armstrong annuì e si asciugò la faccia con un fazzoletto. Molti curiosi si accalcavano dietro le barriere che erano state erette intorno alla zona. Il traffico, sulla stretta strada, era rallentato e quasi bloccato, e tutte le macchine strombettavano. “Continui le ricerche entro un raggio di cento metri. Mandi un uomo al villaggio qui vicino, qualcuno potrebbe aver visto qualcosa.” Lasciò Lee e tornò alla macchina della polizia. Salì, chiuse la portiera e prese il microfono. “Qui Armstrong. Mi passi l’ispettore capo Donald Smyth di East Aberdeen, per favore.” Rimase in attesa, depresso.

L’autista era giovane, efficiente e ancora asciutto. “La pioggia è meravigliosa, no, signore?”

Armstrong gli lanciò un’occhiataccia. Il giovane impallidì. “Fumi?”

“Sì, signore.” Il giovane tirò fuori il pacchetto di sigarette e glielo offrì. Armstrong lo prese. “Perché non raggiungi gli altri? Hanno bisogno dell’aiuto di un tipo in gamba come te. Trova qualche indizio. Eh?”

“Sì, signore.” Il giovane fuggì sotto la pioggia.

Meticolosamente, Armstrong estrasse una sigaretta. La fissò. Poi la rimise al suo posto e cacciò il pacchetto in tasca. Si rannicchiò sul sedile e borbottò: “Accidenti a tutte le sigarette, accidenti alla pioggia, accidenti a quel furbacchione e soprattutto accidenti a quei maledetti Lupi Mannari!”

Finalmente la radio crepitò. “Ispettore capo Donald Smyth.”

“Buongiorno. Sono a Sha Tin” esordì Armstrong, e gli riferì quel che era accaduto. “Stiamo ispezionando l’area ma, con questa pioggia, prevedo che non troveremo niente. Quando i giornali sapranno del ritrovamento del messaggio ci assaliranno. Credo sia meglio prelevare la vecchia amah, immediatamente. È l’unica pista che abbiamo. La tenete ancora sotto sorveglianza?”

“Oh, sì.”

“Bene. Aspettami, poi ci muoveremo. Voglio perquisire casa sua. Tieni pronta una squadra.”

“Fra quanto arriverai?”

Armstrong disse: “Mi ci vorrà un paio d’ore. Il traffico è tutto un ingorgo, da qui al traghetto, per via della pioggia.”

“Anche qui. In tutta Aberdeen. Ma non è solo per la pioggia, vecchio mio. C’è un migliaio di avvoltoi accorsi per guardare il relitto, e poi ci sono già altre orde davanti alla Ho-Pak, alla Victoria… in pratica tutte le maledette banche della zona; e ho saputo che ci sono già cinquecento persone davanti alla Victoria, a Central.”

“Cristo! Tutti i miserabili risparmi della mia vita sono depositati lì!”

“Te l’avevo detto ieri di farti liquidare, vecchio mio!” Armstrong sentì la risata del Serpente. “E a proposito, se hai un po’ di contanti, vendi le Struan a breve… ho sentito dire che la Nobil Casa sta per crollare.”