Ore 10,50
Pioveva ormai da dodici ore e la superficie della colonia era intrisa d’acqua, anche se le cisterne erano ancora quasi completamente vuote. La terra riarsa accoglieva avidamente l’umidità. Quasi tutta la pioggia scorreva sulla superficie bruciata e inondava i livelli più bassi, trasformava le strade sterrate in paludi, e i cantieri in laghi. In parte, l’acqua penetrava in profondità. Nelle aree degli insediamenti che costellavano i fianchi della montagna, l’acquazzone era un disastro.
Le baraccopoli di tuguri traballanti, costruiti di cartone, assi, lamiera ondulata, steccati, teloni, compensato, tutti addossati l’uno all’altro, attaccati l’uno all’altro, l’uno sull’altro, strato su strato, su e giù per le montagne… tutti con i pavimenti di terra e i vicoletti bui che adesso erano allagati e trasformati in fanghiglia e pieni di pozzanghere e di buche pericolose. La pioggia filtrava attraverso i tetti e infradiciava le coperte, e gli abiti e le reliquie di tutta una vita, e la gente, ammassata su altra gente e circondata da altra gente ancora, scrollava stoicamente le spalle e aspettava che la pioggia cessasse. I vicoli zigzagavano qua e là, senza un piano regolatore, senza altro scopo che creare un altro spazio per un’altra famiglia di profughi e di immigrati clandestini, che tuttavia non erano stranieri perché quella era Cina e, una volta superato il confine, ogni cinese diventava legalmente un abitante e poteva restare finché voleva, secondo l’antica disposizione del governo di Hong Kong.
La forza della colonia era sempre consistita nella mano d’opera abbondante, che si accontentava di una paga bassa e non scioperava. La colonia assicurava un rifugio permanente e in cambio chiedeva soltanto lavoro, retribuito secondo le paghe correnti. Hong Kong non aveva mai invitato immigranti, ma i cinesi erano sempre affluiti a frotte. Arrivavano di giorno e di notte, per nave, a piedi, in barella. Varcavano il confine ogni volta che una carestia o una crisi scuoteva la Cina, intere famiglie di uomini, donne e bambini venivano per restare, per farsi assorbire, per ritornare più tardi in patria, perché la Cina era sempre la patria, anche dopo dieci generazioni.
Ma non sempre i profughi erano graditi. L’anno prima, la colonia era stata quasi sommersa da un diluvio umano. Per una ragione ancora sconosciuta e senza preavviso, le guardie di frontiera della Repubblica Popolare Cinese avevano allentato la rigorosa vigilanza e, in meno di una settimana, migliaia di persone avevano incominciato ad arrivare. Venivano quasi tutti di notte, attraverso la staccionata simbolica che separava i Nuovi Territori dal Kwantung, la provincia confinante. La polizia non riusciva ad arginare la marea. Era stato necessario chiamare in causa l’esercito. Una notte, in maggio, circa seimila immigranti clandestini erano stati arrestati, sfamati e l’indomani erano stati rimandati oltre il confine…! ma altre migliaia erano sfuggite alla rete e avevano raggiunto una posizione legale. La catastrofe era continuata per notti e notti, per giorni e giorni. Decine di migliaia di nuovi venuti. Ben presto, orde di cinesi erano accorse al confine per cercare d’impedire le deportazioni. Le deportazioni erano necessarie, perché la colonia soffocava sotto le ondate di immigranti clandestini ed era impossibile sfamare, alloggiare e assorbire quella immensa massa di nuova popolazione. C’erano già più di quattro milioni di abitanti di cui preoccuparsi, e tutti, tranne una piccola percentuale, erano stati prima o poi immigranti clandestini.
Poi, improvvisamente com’era incominciata, la marea umana s’era arrestata e il confine s’era chiuso. Ancora una volta, senza una ragione evidente.
In quelle sei settimane erano state arrestate e rimandate in Cina quasi settantamila persone. Cento o duecentomila erano sfuggite alla rete ed erano rimaste: nessuno sapeva con certezza quante fossero. I nonni di Wu dagli Occhiali e quattro zii e le loro famiglie erano tra questi, diciassette anime in tutto, e da quando erano arrivati vivevano in una zona sopra Aberdeen. Wu dagli Occhiali aveva provveduto a tutti. Quei terreni appartenevano alla famiglia di Chen della Nobil Casa sin dalla fondazione di Hong Kong e, fino a tempi recenti, non avevano avuto nessun valore. Adesso un valore l’avevano. I Chen li affittavano, spanna a spanna, a quelli che erano disposti a pagare. Wu dagli Occhiali era stato ben felice di prendere in affitto sei metri per tre e sessanta a 10 dollari di Hong Kong per metro quadrato al mese, e con il passare dei mesi aveva aiutato la famiglia a rimediare il materiale per due abitazioni che, fino a quella pioggia, erano rimaste all’asciutto. C’era un rubinetto d’acqua ogni cento famiglie, niente fogne, niente luce elettrica, ma la città di quegli abusivi prosperava e, generalmente, vi regnava l’ordine. Uno zio aveva già una fabbrichetta di fiori di plastica in una catapecchia che aveva preso in affitto, per 15 dollari di Hong Kong per metro quadrato al mese, sui pendii più in basso, un altro aveva preso in affitto un piccolo chiosco al mercato e vendeva dolci di riso e crema di riso confezionati secondo l’usanza del villaggio di Ning-tok. Lavoravano tutti diciassette… adesso c’erano diciotto bocche da sfamare, con il piccolo appena nato, venuto al mondo la settimana prima. Persino ai bambini di due anni venivano assegnati semplici compiti, come dividere i petali per i fiori di plastica che i giovani e i vecchi confezionavano e che assicuravano a molti abitanti della collina il denaro per acquistare il cibo e il denaro per giocare d’azzardo.
Sì, pensò Wu dagli Occhiali con fervore, tutti gli dei mi aiutino a ottenere parte della ricompensa per la cattura dei Lupi Mannari, in tempo per le corse di sabato, così punterò su Pilot Fish, lo stallone nero che, secondo tutti i presagi, vincerà sicuramente.
Represse uno sbadiglio mentre procedeva scalzo lungo uno degli stretti vicoli tortuosi della zona, a fianco della nipotina di sei anni. Anche lei era scalza. La pioggia gli appannava i grossi occhiali. Entrambi camminavano con attenzione, perché non volevano calpestare frammenti di vetro o rottami arrugginiti. Qualche volta affondavano nel fango fino alle caviglie. Tutti e due avevano i calzoni rimboccati, e la bambina portava un enorme cappello di paglia da coolie che la faceva sembrare ancora più piccina. Il cappello di Wu era grossolano e di seconda mano come i suoi abiti; non portava l’uniforme della polizia. Erano gli unici indumenti che possedeva, eccettuate le scarpe che teneva in un sacchetto di plastica, sotto l’impermeabile, per ripararle. Per poco non perse l’equilibrio, scavalcando una buca fangosa. “Fottuti tutti i rischi” imprecò, contento perché non viveva lì e la stanza d’affitto che divideva con sua madre vicino alla stazione di polizia di East Aberdeen era asciutta e non andava soggetta ai capricci degli dei del tempo. E grazie a tutti gli dei non sono costretto a fare tutti i giorni questo tragitto. I miei abiti si rovinerebbero e allora il mio futuro sarebbe in pericolo, perché alla Special Intelligence pretendono pulizia e puntualità. Oh, dei, fate che questo sia il mio gran giorno!
La stanchezza lo pervadeva. Stava a testa china, e sentiva la pioggia colargli lungo il collo. Era stato in servizio tutta la notte. Quando stava per uscire dalla stazione, quella mattina presto, gli avevano detto che dovevano andare a prelevare la vecchia amah, Ah Tam, quella che aveva legami con i Lupi Mannari, che lui aveva scoperto e pedinato fino al suo covo. Perciò aveva detto che si sarebbe sbrigato a far visita al nonno malato e moribondo e sarebbe tornato in tempo.
Diede un’occhiata all’orologio. C’era ancora il tempo di percorrere a piedi il chilometro e mezzo che lo separava dalla stazione. Rassicurato, proseguì, superò un mucchio di rifiuti ed entrò in un viottolo più largo che fiancheggiava lo scolmatore dell’acqua piovana. Era un fosso profondo un metro e mezzo che normalmente serviva come fogna, lavanderia o lavabo, a seconda dell’acqua che conteneva. Adesso traboccava, e i vortici turbinanti scendevano ruscellando ad accrescere le difficoltà di quelli che vivevano più in basso.
“Stai attenta, quinta nipote” disse.
“Sì. Oh, sì, sesto zio. Posso accompagnarti per tutta la strada?” chiese felice la bambinetta.
“Solo fino al chiosco dei dolciumi. Attenta! Guarda, ecco un altro pezzo di vetro!”
“L’onorevole nonno morirà?”
“Spetta agli dei decidere. Spetta agli dei decidere il momento di morire, non a noi, e quindi perché preoccuparci, heya?”
“Sì” riconobbe lei, con aria d’importanza. “Sì, gli dei sono dei.”
Che tutti gli dei proteggano l’onorevole nonno e rendano dolce il resto della sua vita, pregò Wu dagli Occhiali, poi aggiunse, scrupolosamente, per sicurezza: “Santa Maria, Madre di Dio, San Giuseppe, benedite il vecchio nonno.” Chissà se esistono il Dio cristiano e i veri dei? pensò. È meglio cercare di ingraziarseli tutti, se è possibile. Non costa niente. Forse mi aiuteranno. Forse dormono o sono usciti a pranzo, ma non importa. La vita è vita, gli dei sono dei, il denaro è denaro, bisogna obbedire alle leggi e oggi devo essere molto abile.
La notte prima era stato fuori con il sergente divisionale Mok e il Serpente. Era la prima volta che l’avevano portato con loro in una delle loro irruzioni speciali. Avevano fatto irruzioni in tre bische ma, stranamente, ne avevano lasciate in pace cinque molto più prospere, anche se erano allo stesso piano nello stesso caseggiato, e lui aveva sentito benissimo il ticchettio delle tessere del mah-jong e le grida dei croupiers del fan-tan.
Dew neh loh moh, vorrei proprio poter intascare parte delle bustarelle, si disse; e poi soggiunse: Vade retro, Satana! Ci tengo molto di più a entrare nella Special Intelligence, perché allora avrò un posto sicuro e importante per tutta la vita, e conoscerò segreti di ogni genere, e i segreti mi proteggeranno e poi, quando andrò in pensione, i segreti mi arricchiranno.
Svoltarono a un angolo e arrivarono al chioschetto dei dolciumi. Wu mercanteggiò per un minuto o due con una vecchia sdentata, poi le pagò due monetine di rame, e la vecchia consegnò alla bambina un dolce di riso e un bel pizzico di bucce d’arancia dolceamare seccate al sole, incartato in un pezzo di giornale.
“Grazie, sesto zio” disse la bambinetta, sorridendogli dall’ombra del cappello.
“Spero che ti piacciano, quinta nipote” rispose lui, affettuosamente, lieto nel vederla così carina. Se gli dei ci favoriscono, da grande sarà molto graziosa, pensò tutto contento, e allora potremo vendere la sua verginità per una somma enorme e i suoi servigi successivi con buon profitto, per il bene della famiglia.
Wu dagli Occhiali era orgoglioso di aver potuto far tanto per quel ramo della sua famiglia, nell’ora del bisogno. Tutti erano al sicuro e avevano da mangiare; e adesso la mia percentuale della fabbrica di fiori di plastica del nono zio, negoziata con tanta pazienza, con un po’ di fortuna mi basterà a pagare l’affitto fra un anno o due, e posso mangiare buona crema di riso di Ning-tok tre volte la settimana, gratis, e questo mi permette di far durare di più il mio denaro, così non ho bisogno di prendere le bustarelle che sarebbero tanto facili da ottenere ma che rovinerebbero il mio avvenire.
No. Tutti gli dei mi siano testimoni! Non accetterò le bustarelle finché c’è la possibilità di entrare nell’SI, ma non è ragionevole che ci paghino così poco. Io prendo 320 dollari di Hong Kong al mese dopo due anni di servizio. Ayeeyah, è impossibile capire i barbari!
“Adesso scappa. Io tornerò domani” disse Wu. “Attenta a dove metti i piedi.”
“Oh, sì!”
Lui si chinò e la piccola l’abbracciò. Wu ricambiò l’abbraccio e se ne andò. La bambina risalì la collina, con un pezzo di dolce di riso già in bocca, così zuccherino e così delizioso.
La pioggia era monotona, pesante. L’acqua che traboccava dallo scolmatore trasportava i detriti contro le baracche disposte lungo il percorso, ma la bambina saliva con prudenza il sentiero, evitando i rivoli che l’affascinavano. In certi punti era profonda e, dove la pendenza era più forte, formava piccole rapide. All’improvviso, un bidone da venti litri tutto ammaccato scese turbinando lungo il torrente e piombò verso di lei, mancandola di poco, e andò a sfondare una parete di cartone.
Lei restò immobile, impaurita.
“Vattene, qui non c’è niente da rubare!” le gridò furiosa una donna. “Vattene a casa! Non devi star qui. Vai a casa tua!”
“Sì… sì” disse lei, e affrettò il passo. Adesso salire era più difficile. In quel momento il terreno appena più in basso di lei cedette e incominciò a franare. Centinaia di tonnellate di fanghiglia e di pietre e di terra precipitarono seppellendo ogni cosa. La frana avanzò di una cinquantina di metri in pochi secondi, sventrando i fragili edifici, disperdendo uomini, donne e bambini, seppellendone alcuni, ferendone altri, tagliando una scia viscida dove prima c’era una parte del villaggio.
Poi si arrestò. Improvvisamente, com’era cominciata.
Sul pendio della montagna c’era un grande silenzio, rotto solo dal rumore della pioggia. Poi il silenzio cessò. Cominciarono a levarsi grida e invocazioni d’aiuto.
Uomini e donne e bambini si precipitarono fuori dalle catapecchie intatte, benedicendo gli dei che li avevano salvati, accrescendo il chiasso delle grida d’aiuto. Gli amici aiutavano gli amici, i vicini aiutavano i vicini, le madri cercavano i figli, i figli i genitori, ma in maggioranza stavano lì sotto la pioggia e ringraziavano la sorte perché la frana non li aveva toccati.
La bambinetta barcollava ancora sul ciglio dell’abisso, dove la terra era precipitata. Guardava nel vuoto, incredula. Tre metri sotto di lei c’erano spuntoni di roccia e fanghiglia e morte dove fino a pochi secondi prima c’era il terreno solido. Il ciglio dell’abisso si sgretolava e piccole cascate di fango e di sassi precipitavano nel vuoto, sospinte dall’acqua che tracimava dal fossato. La bambina si sentì scivolare e tentò di arretrare d’un passo, ma la terra cedette ancora e lei si fermò, impietrita, stringendo ancora nelle mani l’avanzo del dolce di riso. Piantò le dita dei piedi nella terra molle per non perdere l’equilibrio.
“Non ti muovere” le gridò un vecchio.
“Allontanati dall’orlo” urlò un altro, e gli altri restarono a guardare, trattenendo il respiro e attendendo di vedere cosa avrebbero deciso gli dei.
Poi tre metri dell’orlo precipitarono nel crepaccio, trascinando la bambina. Rimase parzialmente sepolta. Fino alle ginocchia. Si assicurò che il suo dolce di riso fosse salvo, poi scoppiò a piangere.