Ore 23,05
Dunross stava aspettando Brian Kwok nel Quance Bar del Mandarin, e centellinava un brandy allungato con acqua Perrier. Il bar era frequentato soltanto da uomini ed era semivuoto. Brian Kwok non era mai arrivato tardi a un appuntamento, ma questa volta era in ritardo.
È fin troppo facile che capiti un’emergenza nel suo lavoro, pensò Dunross, imperturbato. Gli darò ancora un paio di minuti.
Quella sera, a Dunross non dispiaceva attendere. Aveva tutto il tempo per arrivare ad Aberdeen per incontrarsi con Wu Quattro Dita, e dato che Penn era in viaggio per l’Inghilterra, non aveva fretta di rientrare.
Il viaggio le farà bene, si disse. Londra, il teatro, e poi Castle Avisyard. Sarà magnifico, là. Presto verrà l’autunno, le mattinate fresche, quando si vede l’alito nell’aria, la stagione dei galli cedroni, e poi Natale. Sarà splendido essere a casa per Natale, con la neve. Chissà cosa porterà questo Natale, e cosa penserò ricordando queste giornate, queste brutte giornate. Ci sono troppi problemi, adesso. Il piano funziona, ma già scricchiola, tutto va male e sfugge al mio controllo. Bartlett, Casey, Gornt, Quattro Dita, Mata, Pugnostretto, Havergill, Johnjohn, Kirk, Crosse, Sinders, Grant, la sua Riko, tutte falene intorno alla fiamma… e adesso un altro, Tiptop, e Hiro Toda che arriva domani anziché sabato.
Quel pomeriggio aveva parlato a lungo con il suo amico giapponese. Toda aveva chiesto notizie della Borsa e della Struan, non direttamente come fanno gli inglesi, ma obliquamente, educatamente, alla giapponese. Ma comunque l’aveva chiesto. Dunross aveva sentito la tensione nella voce tranquilla dal leggero accento americano… il prodotto di un corso postuniversitario a Harvard.
“Andrà tutto benissimo, Hiro” gli aveva detto Dunross. “È un attacco temporaneo. Ritireremo le navi com’è stato deciso.”
Ma ce la faremo?
Sì. In un modo o nell’altro. Linbar andrà domani a Sydney per cercare di risuscitare l’accordo con la Woolara e rinegoziare il nolo. Non che ci siano molte possibilità.
Inesorabilmente, il suo pensiero ritornò a Jacques. È veramente un traditore comunista? E Jason Plumm e Tuke? E R. È Roger Crosse o Robert Armstrong? Sicuramente non è nessuno dei due, e sicuramente Jacques non è un traditore. Santo Dio, conosco Jacques da sempre… conosco i deVille da sempre. È vero che Jacques potrebbe aver dato a Bartlett alcune informazioni sulle nostre strutture interne, ma non tutte. Non la parte che riguarda la compagnia: quella la conosce solo il tai-pan. Quindi Alastair, mio padre, io, o il vecchio Sir Ross. Impensabile.
Sì.
Ma qualcuno è un traditore, e non sono io. E poi c’è il Sevrin.
Dunross si guardò intorno. Il bar era ancora semivuoto. Era una saletta simpatica e comoda, con le poltrone di pelle verde e i tavoli di vecchia quercia lucida, e alle pareti i quadri di Quance. Erano tutte riproduzioni. Molti originali erano nella galleria lunga della Grande Casa, quasi tutti gli altri nei corridoi della Victoria e della Blacs. Alcuni erano di proprietà privata, altrove. Si assestò sulla poltrona, comodamente, lieto di essere circondato da tante cose che ricordavano il suo passato e che gli davano un senso di protezione. Proprio sopra di lui c’era il ritratto di una ragazza haklo con un bambino in braccio, un bambino biondo con il codino. Si diceva che Quance l’avesse dipinto come dono di compleanno per Dirk Struan su commissione della ragazza, May-may T’Chung, e il bambino doveva essere il loro figlio, Duncan.
Girò gli occhi sulla parete opposta, sui ritratti di Dirk e del suo fratellastro, Robb, accanto a uno del mercante americano Jeff Cooper, e paesaggi del Peak e della praya, nel 1841. Chissà cosa direbbe Dirk se potesse vedere oggi la sua creatura. Così prospera e così impegnata a costruire e a bonificare, e ancora al centro del mondo, il mondo asiatico che è l’unico a contare davvero.
“Un altro, tai-pan?”
“No, grazie, Feng” disse al barista cinese. “Solo una Perrier, per favore.”
C’era un telefono a portata di mano. Fece il numero.
“Comando di polizia” disse una voce femminile.
“Il sovrintendente Kwok, per favore.”
“Un momento, signore.”
Mentre attendeva, Dunross cercò di decidere, per quel che riguardava Jacques. Impossibile, pensò dolorosamente. Impossibile, senza un aiuto. Mandarlo in Francia a prendere Susanne e Avril servirà a isolarlo per una settimana o poco più. Forse dovrei parlarne con Sinders, forse loro lo sanno già. Cristo onnipotente, se Grant non avesse scritto quella R, mi sarei rivolto a Crosse. È possibile che Arthur sia lui?
Ricorda Philby del ministero degli Esteri, si disse, disgustato al pensiero che un inglese con quei precedenti e quell’alta posizione di fiducia potesse essere un traditore. E anche gli altri due, Burgess e Maclean. E Blake. Fino a che punto posso credere a Grant? Povero diavolo. Fino a che punto posso fidarmi di Jamie Kirk?
“Chi desidera il sovrintendente Kwok, prego?” chiese una voce d’uomo, al telefono.
“Dunross, della Struan.”
“Un momento, prego.” Una breve attesa, poi un’altra voce d’uomo, che lui riconobbe subito. “Buonasera, tai-pan. Sono Robert Armstrong… mi dispiace, ma Brian non c’è. Era una cosa importante?”
“No. Avevamo appuntamento per bere qualcosa, e lui è in ritardo.”
“Oh, non l’aveva detto… di solito è puntuale. Quando vi siete dati appuntamento?”
“Questa mattina. Mi ha telefonato per dirmi di John Chen. Niente di nuovo su quei bastardi?”
“No. Mi dispiace. Brian è dovuto andare fuori città… un viaggio improvviso, sa com’è.”
“Oh, certo. Se parla con lui, gli dica che ci vedremo domenica alla gara in salita, se non prima.”
“Ha ancora intenzione di andare a Formosa?”
“Sì. Con Bartlett. Partiamo domenica e rientriamo martedì. Ho saputo che possiamo usare il suo aereo.”
“Sì. La prego, faccia in modo che Bartlett ritorni martedì.”
“Se non prima.”
“Posso fare qualcosa per lei?”
“No, grazie, Robert.”
“Tai-pan, abbiamo… abbiamo avuto un altro incontro piuttosto inquietante, qui a Hong Kong. Non voglio spaventarla, ma ci vada piano fino a domani quando vedrà Sinders, eh?”
“Certo. L’aveva detto anche Brian. E Roger. Grazie, Robert. Buonanotte.” Dunross riattaccò. Aveva dimenticato di essere seguito da una guardia del corpo dell’SI. Questo deve essere più abile degli altri. Non l’ho neppure notato. E adesso, come faccio? Di sicuro non sarebbe gradito a Quattro Dita.
“Torno subito” disse.
“Sì, tai-pan” disse il barista.
Dunross uscì e andò alla toelette per uomini, osservando senza osservare. Nessuno lo seguì. Quando ebbe finito salì al rumoroso, affollato mezzanino, lo attraversò e scese la scalinata principale, raggiunse il chiosco nell’atrio per comprare il giornale della sera. C’era folla ovunque. Nel tornare indietro, puntò lo sguardo su un cinese magro e occhialuto che lo scrutava al di sopra di una rivista, da una poltrona dell’atrio. Dunross esitò, tornò nell’atrio e vide che quello lo seguiva con gli occhi. Soddisfatto, risalì la scala affollata. “Oh, salve, Marlowe” disse. Per poco non l’aveva urtato.
“Oh, salve, tai-pan.”
Dunross notò subito l’immensa stanchezza nel volto dell’altro. “Cos’è successo?” chiese, intuendo un guaio nell’aria, scostandosi per allontanarsi dalla folla.
“Oh, niente… proprio niente.”
“Dev’esserci qualcosa.” Dunross sorrise gentilmente.
Peter Marlowe esitò. “Si tratta… si tratta di Fleur.” Gli riferì quanto era accaduto.
Dunross si allarmò. “Il vecchio Tooley è un ottimo medico.” Raccontò a Marlowe che Tooley aveva imbottito di antibiotici lui, Bartlett e Casey. “Si sente bene?”
“Sì. Solo un po’ di diarrea. Niente di cui preoccuparsi per un mese o poco più.” Peter Marlowe riferì quello che Tooley gli aveva detto dell’epatite. “Non è questo che mi preoccupa. È per Fleur e il bambino.”
“Avete un’amah?”
“Oh, sì. E all’albergo sono meravigliosi, i camerieri si danno il turno per aiutarci.”
“Ha il tempo di bere qualcosa?”
“No, no, grazie, è meglio che rientri. L’amah non è… non c’è un posto letto anche per lei, quindi si limita a badare ai bambini, adesso. E devo passare dalla clinica, lungo la strada, per vedere come va.”
“Oh, allora un’altra volta. Faccia i miei auguri a sua moglie. Come vanno le ricerche?”
“Benissimo, grazie.”
“Quante altre nostre malefatte si è fatto rivelare dagli yan di Hong Kong?”
“Moltissime. E tutte molto interessanti.” Peter Marlowe abbozzò un sorriso. “Dirk Struan era un uomo straordinario. Tutti dicono che anche lei lo è, e sperano che ce la faccia a battere Gornt, che vinca ancora.”
Dunross lo guardò con simpatia. “Le dispiace se le faccio una domanda su Changi?” Vide l’ombra passare sul viso duro e stanco, giovane e vecchio insieme.
“Dipende.”
“Robin Grey ha detto che lei, al campo, faceva il mercato nero. Con un americano. Un caporale.”
Vi fu una lunga pausa, e l’espressione di Peter Marlowe non cambiò. “Io commerciavo, signor Dunross, o per la precisione facevo da interprete a un amico che commerciava. Era un caporale americano. E ha salvato la vita a me e molti miei amici. Eravamo quattro, io, un maggiore, un capitano d’aviazione e un piantatore di gomma. E ha salvato anche dozzine d’altri. Si chiamava King ed era veramente un re, il re di Changi, in un certo senso.” Di nuovo quel debole sorriso. “Il commercio era vietato dalla legge dei giapponesi… e dalla legge del campo.”
“Ha detto giapponesi e non giap. Interessante” disse pronto Dunross. “Dopo tutti gli orrori di Changi, non li detesta?”
Dopo una pausa, Peter Marlowe scrollò il capo. “Non detesto nessuno. Neppure Grey. Ho bisogno di tutta la mia mente e di tutta la mia energia per rendermi conto che sono ancora vivo. Buonanotte!” Si voltò per andarsene.
“Oh, Marlowe, un’ultima cosa” disse Dunross, prendendo una decisione improvvisa. “Le piacerebbe venire alle corse, sabato? Nel mio palco? Ci saranno alcuni personaggi interessanti… se fa ricerche su Hong Kong, tanto vale farle in grande stile, eh?”
“La ringrazio. La ringrazio moltissimo, ma mi ha invitato Donald McBride. Comunque, mi piacerebbe fermarmi a bere qualcosa, se posso. C’è qualche speranza per il libro?”
“Prego?”
“Il libro sulla storia della Struan, quello che ha promesso di farmi leggere.”
“Oh, sì, certo. Lo sto facendo ricopiare” disse Dunross. “Sembra che esista un’unica copia. Abbia pazienza.”
“Naturalmente. Grazie.”
“Faccia i miei auguri a Fleur.” Dunross lo guardò allontanarsi, lieto che Marlowe comprendesse la differenza tra il commercio e il mercato nero. Il suo sguardo si posò sul cinese dell’SI che continuava a sorvegliarlo al di sopra della rivista. Tornò lentamente al bar, come se fosse immerso nei suoi pensieri. Appena entrato, disse in fretta: “Feng, c’è un maledetto giornalista, dabbasso, che non voglio vedere.”
Subito il barista alzò il piano ribaltabile del banco. “È un piacere, tai-pan” disse sorridendo, senza credere al pretesto. I suoi clienti si servivano spesso dell’uscita del personale, dietro il bar. Poiché le donne non erano ammesse in quel locale, di solito la persona da evitare, là fuori, era una donna. Che puttana doveva mai evitare il tai-pan? si chiese, perplesso, mentre Dunross usciva in fretta, lasciandogli una mancia generosa.
Appena uscì nel vicolo, Dunross girò a passo svelto intorno all’angolo e prese un tassì, sistemandosi curvo sul sedile posteriore.
“Aberdeen” ordinò, e diede le istruzioni in cantonese.
“Ayeeyah, come una freccia, tai-pan” disse subito il tassista, illuminandosi nel riconoscerlo. “Posso chiedere che previsioni ci sono per sabato? Pioverà o non pioverà?”
“Niente pioggia, per tutti gli dei.”
“Iiiih, e chi vincerà la quinta?”
“Gli dei non me l’hanno bisbigliato, e neppure le sporche Tigri Supreme che corrompono i fantini e drogano i cavalli per derubare la gente onesta che gioca onestamente. Ma Noble Star farà del suo meglio.”
“Ci proveranno tutti, quei fornicatori” disse acido il tassista. “Ma quale è stato scelto dagli dei e dalle Tigri Supreme dell’ippodromo di Happy Valley? E Pilot Fish?”
“Lo stallone va forte.”
“E Butterscotch Lass? Il banchiere Kwang avrebbe bisogno di un po’ di fortuna.”
“Sì. Anche Lass va forte.”
“La Borsa scenderà ancora, tai-pan?”
“Sì, ma compri azioni della Nobil Casa, a un quarto alle tre di venerdì.”
“A che prezzo?”
“Usi la testa, venerabile fratello. Sono forse Tung, il Vecchio Cieco?”
Orlanda e Linc Bartlett ballavano stretti stretti nella semioscurità del nightclub, uno contro l’altra. La musica era sommessa e sensuale, il ritmo perfetto, l’orchestrina era formata da filippini, e la grande sala lussuosa, tutta specchi, era illuminata suggestivamente solo sulla pista, con angoletti intimi e divani bassi e comodi intorno ai tavolini e camerieri in smoking con minuscole lampade tascabili, come tante lucciole. Molte ragazze, nei coloratissimi abiti da sera, sedevano in gruppi, chiacchierando o guardando le poche coppie che ballavano. Di tanto in tanto, da sole o in due, raggiungevano qualche uomo a un tavolo, per subissarlo di risate e di chiacchiere e di bevande e, dopo un quarto d’ora o poco più, passavano oltre, in movimenti abilmente orchestrati dall’occhiuta mama-san e dai suoi aiutanti. La mama-san, lì, era una sciangaiese snella e piacente, oltre la cinquantina, ben vestita e discreta. Parlava sei lingue e rispondeva al proprietario del comportamento delle ragazze. Da lei dipendeva il successo o il fallimento del locale. Le ragazze le obbedivano ciecamente, e così pure i buttafuori e i camerieri. Lei era il centro, la regina di quel regno, e quindi era oggetto di ogni premura.
Capitava di rado che un uomo si portasse una ragazza, anche se la cosa non veniva disapprovata… purché la mancia fosse generosa e le consumazioni numerose. C’erano dozzine di locali notturni come quello in tutta la colonia, alcuni privati, in maggioranza pubblici, frequentati da uomini… turisti, visitatori o yan di Hong Kong. Tutti i locali erano ben forniti di ragazze d’ogni razza. Le pagavi perché sedessero accanto a te, a conversare, a ridere o ad ascoltare. I prezzi variavano, la qualità variava a seconda del locale, ma lo scopo era sempre lo stesso. Trattenimento per l’ospite, denaro per il locale.
Linc Bartlett e Orlanda erano ancora più vicini, adesso, e ondeggiavano più che ballare, e lei gli teneva la testa appoggiata mollemente sul petto. Gli teneva una mano sulla spalla, dolcemente, e l’altra era fresca nella mano di lui. Linc la cingeva con un braccio e le teneva la mano sulla vita. Orlanda sentiva il calore di lui e quasi distrattamente gli accarezzava il collo con le dita. Si fece ancora più vicina, sospinta dalla musica. Lo seguiva alla perfezione, con i piedi, con il corpo.
Dopo un momento lo sentì fremere.
Come devo comportarmi con lui, questa notte? si chiese sognante, entusiasta di quella serata perfetta. Ci sto o non ci sto? Oh, come vorrei…
Il suo corpo sembrava muoversi animato da una volontà propria, sempre più vicino, la schiena leggermente arcuata, i fianchi protesi in avanti. Un’ondata di calore la pervase.
Troppo, pensò. Con uno sforzo, si trasse indietro.
Bartlett la sentì staccarsi. Le tenne la mano sulla vita, stringendola a sé. Non sentiva altro che il suo corpo, sotto la mano. Niente biancheria. Così raro. Solo la pelle, sotto lo chiffon leggerissimo… e più calore che pelle. Gesù!
“Sediamoci un momento” disse lei, con voce roca.
“Quando il ballo finisce” mormorò Bartlett.
“No, Linc, mi tremano le gambe.” Con uno sforzo, gli passò le braccia intorno al collo e s’inclinò leggermente all’indietro, tenendosi contro di lui, ma lasciando che reggesse un po’ del suo peso. Sorrise. “Potrei cadere. Non vorrai che cada, vero?”
“Tu non puoi cadere” disse Bartlett, ricambiando il sorriso. “In nessun senso.”
“Ti prego…”
“Non vorrai che cada io, vero?”
Orlanda rise, e quella risata lo esaltò. Gesù, pensò, calmati, ti ha fatto partire.
Per un momento continuarono a ballare, ma staccati, e questo lo raffreddò un poco. Poi Bartlett la fece girare e la seguì, da vicino, e sedettero al loro tavolo, ancora consci della vicinanza. Le loro gambe si toccavano.
“Ancora, signore?” chiese il cameriere in smoking.
“Non per me, Linc” disse Orlanda. Avrebbe voluto inveire contro l’inettitudine del cameriere. Non avevano ancora finito di bere.
“Un’altra crème de menthe?” chiese Bartlett.
“Per me no, davvero, grazie. Ma tu prendila pure.”
Il cameriere si dileguò. Bartlett avrebbe preferito una birra, ma non voleva quell’odore nell’alito, e soprattutto, non voleva guastare il pasto più perfetto che avesse mai fatto. La pasta era stata meravigliosa, il vitello tenero e sugoso con una salsa di vino e limone che solleticava la bocca, l’insalata perfetta. Poi lo zabaglione preparato davanti a lui con uova, marsala e magia. E sempre lo splendore di Orlanda, il tocco del suo profumo.
“È la serata più bella che abbia mai passato da molti anni.”
Orlanda alzò il bicchiere con finta solennità. “A molte altre” disse. Sì, a molte altre, ma dopo che saremo sposati, o almeno fidanzati. Mi stordisci troppo, Linc Bartlett, sei troppo sintonizzato sulla mia psiche, troppo forte. “Sono contenta che ti sia piaciuta. È piaciuta anche a me. Oh, sì!” Vide gli occhi di Bartlett distogliersi da lei al passaggio di una ragazza con l’abito scollato. La ragazza era incantevole, sui vent’anni; raggiunse un gruppo di chiassosi uomini d’affari giapponesi seduti a un tavolo d’angolo con molte altre ragazze. Subito una si alzò, si scusò e si allontanò. Orlanda osservò Bartlett che le osservava: adesso aveva le idee chiare.
“Sono tutte in vendita?” chiese lui, involontariamente.
“Per il letto?”
Il cuore di Bartlett saltò un battito: si voltò a guardarla, attentissimo. “Sì, intendevo proprio questo” disse cautamente.
“La risposta è sì e no.” Orlanda mantenne il sorriso gentile, la voce sommessa. “È come tante altre cose in Asia, Linc. Non c’è mai nulla che sia veramente sì o no. È sempre forse. Dipende dalla disponibilità della ragazza. Dipende dall’uomo, dal denaro, e dall’ammontare dei debiti di lei.” Sorrise maliziosamente. “Forse potrei metterti sulla strada giusta, ma toccherebbe a te… perché tu affascini tutte le belle signore, grande e forte come sei, heya?”
“Suvvia, Orlanda!” disse Bartlett, con una risata, mentre lei scimmiottava l’accento dei coolie.
“Ho visto che l’hai notata. Non ti biasimo, è incantevole” disse lei, invidiando alla ragazza la giovinezza, non la sua vita.
“Perché hai parlato di debiti?”
“Quando una ragazza viene a lavorare qui deve fare bella figura. Gli abiti costano cari, il parrucchiere costa caro, le calze, i cosmetici, tutto costa caro, e così la mama-san – la donna che si occupa delle ragazze – o il proprietario del nightclub le anticipano il denaro per pagarsi tutto quel che le occorre. Naturalmente, all’inizio tutte le ragazze sono giovani e frivole, novelline come la prima rosa dell’estate, e quindi comprano e comprano, e poi devono rimborsare tutto. Molte non hanno nulla, quando incominciano, solo se stesse… a meno che abbiano lavorato in un altro nightclub e abbiano un seguito di ammiratori. Quando hanno saldato il debito le ragazze cambiano nightclub. Talvolta un proprietario paga i debiti d’una di loro, per assicurarsi la ragazza e i suoi ammiratori… molte hanno parecchi ammiratori, sono molto ricercate. Per una donna può essere redditizio, se sa ballare, conversare e parlare diverse lingue.”
“Allora i debiti sono pesanti?”
“Perpetui. Più continuano nella professione e più è difficile apparire carine, e quindi costa di più. L’interesse sul debito è come minimo del 20 per cento. Durante i primi mesi, la ragazza può guadagnare abbastanza per rimborsare una buona parte della somma, ma mai abbastanza.” Un’ombra le passò sul viso. “Gli interessi si accumulano, il debito cresce. Non tutti i padroni sono pazienti. Così la ragazza deve cercare altre forme di finanziamento. Qualche volta contrae prestiti con uno strozzino per saldare il padrone. Inevitabilmente, cerca aiuto. E poi una sera la mama-san le indica un uomo. ‘Vuole riscattarti’ le dice. E…”
“Che significa, riscattare una ragazza?”
“Oh, è un’abitudine dei nightclub di qui. Tutte le ragazze devono essere qui presto, diciamo alle otto, quando apre il club, tutte bene in ordine. Devono restare fino alla una del mattino, o pagano una multa… e la pagano anche se sono assenti o se arrivano in ritardo o se non sono bene in ordine o non si mostrano gentili con i clienti. Se un uomo vuole portarsi fuori una ragazza, per la cena o per qualunque altra cosa, e molti clienti se le portano semplicemente a cena, magari anche due alla volta, soprattutto per far colpo sugli amici… allora riscatta la ragazza, temporaneamente, e paga una tariffa al club, secondo il tempo che manca alla chiusura. Non so quanto incassa la ragazza, di quella tariffa, mi pare che sia il 30 per cento; ma quello che guadagna fuori resta tutto a lei, a meno che la mama-san contratti a nome suo prima di lasciarla andare. Allora il locale si prende una tariffa.”
“C’è sempre una tariffa?”
“È questione di faccia, Linc. In questo nightclub, che è uno dei migliori, portarti fuori una ragazza ti costerebbe circa 80 dollari di Hong Kong all’ora, all’incirca 16 dollari statunitensi.”
“Non è molto” disse lui, distrattamente.
“Non è molto per un milionario, mio caro. Ma per migliaia di uomini, qui, 80 dollari di Hong Kong devono bastare per tirare avanti una famiglia per una settimana.”
Bartlett la fissava, pensando a lei, desiderandola, lieto di non doverla riscattare. Merda, sarebbe terribile. O no? si chiese. Almeno, così sarebbe questione di pochi dollari, e poi a letto e via di nuovo. È questo che voglio?
“Cosa?” domandò Orlanda.
“Stavo pensando che queste ragazze fanno una vita schifosa.”
“Oh, no, per niente” disse lei, con quell’immensa innocenza che Bartlett trovava così sconvolgente. “Probabilmente è il periodo più bello della loro vita, e di certo è la prima volta che si mettono addosso qualcosa di carino. Che altro lavoro puoi trovare, se sei una ragazza senza istruzione? Possono diventare dattilografe, se sono fortunate, altrimenti finiscono in fabbrica, a lavorare da dodici a quattordici ore al giorno per 10 dollari di Hong Kong. Dovresti visitare una fabbrica, Linc, vedere le condizioni in cui lavorano. Ti accompagnerò io. Ti prego. Devi vedere come lavora la gente, e allora capirai perché qui siamo così. Mi piacerebbe farti da guida. Adesso che hai deciso di restare, devi conoscere tutto, Linc, provare tutto. Oh, no, queste ragazze si considerano fortunate. Almeno per un breve tempo, vivono bene e mangiano bene e si divertono molto.”
“Non piangono mai?”
“Piangono sempre. Ma piangere è un modo di vivere naturale per una ragazza.”
“Per te no.”
Orlanda sospirò e gli posò la mano sul braccio. “Ho avuto la mia parte. Ma tu mi fai dimenticare tutte le lacrime che ho versato.” Uno scoppio di risa li indusse ad alzare gli occhi. I quattro uomini d’affari giapponesi stavano stretti stretti fra sei ragazze, e il tavolo era carico di bicchieri, e altri ne stavano arrivando. “Sono così contenta di non dover… servire i giapponesi” disse lei, semplicemente. “Benedico la mia sorte. Ma sono quelli che spendono di più, Linc, molto più di tutti gli altri turisti. Spendono ancor più degli sciangaiesi, e quindi ottengono il servizio migliore, anche se sono odiati e sanno di esserlo. Sembra che non se la prendano, se il denaro che spendono non procura loro altro che falsità. Forse lo sanno: sono furbi, molto furbi. Certo, hanno una mentalità diversa per quel che riguarda il letto e le Signore della Notte, diversa da tutti gli altri.” Un’altra risata rumorosa. “I cinesi li chiamano lang syin gou fei in mandarino, letteralmente ‘cuore di lupo, polmoni di cane’, per dire che sono uomini senza coscienza.”
Bartlett aggrottò la fronte. “Non ha senso.”
“Oh, sì! Vedi, i cinesi cucinano e mangiano qualunque parte dei pesci, dei polli e dei quadrupedi, tranne il cuore del lupo e i polmoni del cane. Sono le due uniche cose che non si possono insaporire… puzzano sempre, qualunque cosa tu faccia.” Orlanda guardò di nuovo l’altro tavolo. “Per i cinesi, gli uomini giapponesi sono lang syin gou fei. E anche il denaro. Anche il denaro non ha coscienza.” Ebbe un sorriso strano, e sorseggiò il liquore. “Al giorno d’oggi, molte mama-san e molti proprietari di nightclub anticipano il denaro a una ragazza per pagarsi le lezioni di giapponese. Per intrattenere, naturalmente, devi essere in grado di comunicare, no?”
Un altro gruppo di ragazze passò davanti a loro e Orlanda le vide guardare Bartlett e poi lei, con aria interrogativa, e poi distogliere di nuovo gli occhi. Sapeva che la disprezzavano perché era eurasiatica e in compagnia di un cliente quai loh. Raggiunsero un altro tavolo. Il nightclub si andava riempiendo.
“Quale vuoi?” chiese.
“Cosa?”
Orlanda rise, vedendolo inorridire. “Oh, suvvia, Linc Bartlett, ho notato il tuo sguardo vagante. E…”
“Smettila, Orlanda!” disse lui, a disagio, con un tono tagliente nella voce. “In questo posto, è impossibile non notarle.”
“Appunto, è per questo che te l’ho suggerito” disse lei, prontamente, imponendosi di sorridere con fermezza, reagendo fulminea, e lo toccò di nuovo, posandogli la mano sul ginocchio. “Ho scelto questo locale perché potessi rifarti gli occhi.” Schioccò le dita. Immediatamente il maître arrivò, inginocchiandosi educatamente accanto al tavolino basso. “Mi dia la carta” disse lei in sciangaiese, imperiosa, quasi nauseata da un’apprensione che nascondeva in modo perfetto.
Subito, l’uomo consegnò quella che sembrava una locandina. “Mi lasci la lampada tascabile. Chiamerò quando avrò bisogno di lei.”
L’uomo se ne andò. Orlanda si fece più vicina, con aria da cospiratrice. Ora le loro ginocchia si toccavano. Linc la cinse con un braccio. Lei puntò il raggio della lampada sulla locandina. C’erano le fotografie di venti o trenta ragazze, e sotto ciascuna c’erano colonne di caratteri cinesi. “Non tutte saranno qui, stasera, ma se ne vedi una che ti piace te la porteremo.”
Bartlett la fissò, sbalordito. “Stai parlando sul serio?”
“Sul serio, Linc. Non devi preoccuparti. Negozierò io per te, se vuoi, dopo che le avrai parlato.”
“Non voglio una di queste ragazze. Voglio te.”
“Sì. Sì, lo so, tesoro e… ma per questa notte abbi pazienza con me, ti prego. Stai al gioco, lascia che sia io a organizzare la tua notte.”
“Gesù, sei incredibile!”
“E tu sei l’uomo più meraviglioso che abbia mai conosciuto, e voglio rendere perfetta la tua notte. Ora non posso darti me stessa, per quanto lo desideri, quindi troveremo una sostituta temporanea. Cosa ne dici?”
Bartlett la stava ancora fissando. Finì di bere, senza sentire il sapore. Un altro bicchiere apparve davanti a lui. Ne bevve la metà.
Orlanda si rendeva conto del rischio che correva, ma sapeva che comunque andassero le cose l’avrebbe legato a sé più strettamente. Se avesse accettato, sarebbe stato in debito con lei per una notte eccitante, una notte che Casey o qualunque altra donna quai loh non avrebbe potuto offrirgli mai, neppure in mille anni. Se avesse rifiutato, le sarebbe stato comunque riconoscente per la sua generosità. “Linc, siamo in Asia. Qui il sesso non è ossessionato dalle chiacchiere e dai complessi di colpa come nel mondo anglosassone. È un piacere da ricercare, come una vivanda raffinata o un grande vino. Qual è il valore d’una notte per un uomo, un vero uomo, con una di queste Signore del Piacere? Un momento di piacere. Un ricordo. Niente di più. Che c’entra con l’amore, il vero amore? Nulla. Io non sono per una notte, non sono in vendita. Ho sentito il tuo yang… No, ti prego, Linc” soggiunse prontamente, quando lo vide irritarsi. “A proposito di yang e di yin non possiamo mentire o dire falsità: ci distruggerebbe. Io ho sentito, e mi ha riempito di gioia. Tu non mi sentivi? Sei un uomo forte, yang, e io sono una donna, yin, e quando la musica è dolce e… Oh, Linc.” Gli strinse la mano e lo guardò, implorante. “Ti supplico, non lasciarti imbrigliare dalla stupida mentalità angloamericana. Siamo in Asia e io… io voglio essere tutto ciò che può essere una donna, per te.”
“Gesù, ma dici sul serio?”
“Certo. Per la Madonna, vorrei essere tutto ciò che potresti desiderare in una donna” disse lei. “Tutto. E ti giuro che quando sarò vecchia o tu non mi desidererai più, ti aiuterò a organizzare quella parte della tua vita, apertamente, liberamente. Chiederei soltanto di essere la tai-tai, parte della tua vita.” Orlanda lo baciò lievemente. E poi vide l’improvviso cambiamento in lui. Lo vide sgomento e indifeso, e capì di aver vinto. La gioia quasi la soffocò. Oh, Quillan, sei un genio, avrebbe voluto gridare. Non avrei mai creduto, veramente, che il tuo suggerimento sarebbe stato così perfetto, non avrei creduto che tu fossi così saggio, oh, grazie, grazie.
Ma il suo viso non tradiva nulla; attendeva paziente, immobile.
“Cosa significa tai-tai?” chiese Bartlett, roco.
Tai-tai significava moglie, “suprema delle supreme”. Secondo l’antica consuetudine cinese, in casa la moglie regnava suprema, onnipotente. “Essere parte della tua vita” disse sottovoce Orlanda, mentre tutto il suo essere le urlava di essere cauta.
Attese ancora. Bartlett si piegò, e lei sentì le sue labbra sfiorarle le labbra. Con la stessa leggerezza. Ma il bacio di Bartlett era diverso, e lei comprese che a partire da quel momento il loro rapporto sarebbe stato su un piano diverso. La sua euforia crebbe. Ruppe l’incantesimo. “Ora” chiese come se parlasse a un bambino capriccioso, “ora, signor Linc Bartlett, quale scegli?”
“Te.”
“E io scelgo te, ma adesso dobbiamo decidere quale intendi prendere in considerazione. Se queste non sono di tuo gradimento, andremo in un altro club.” Orlanda adottò volutamente un tono pratico. “Questa come ti sembra?” La ragazza era bellissima, era quella che Bartlett aveva guardato. Orlanda aveva già deciso di escluderla e aveva scelto quella che preferiva ma, pensò soddisfatta e sicura di sé, il poverino ha diritto ad avere un’opinione. Oh, sarò una moglie perfetta per te! “La didascalia dice che si chiama Lily Tee… tutte le ragazze hanno nomi ‘di battaglia’. Ha vent’anni, è di Sciangai, parla sciangaiese e cantonese, e i suoi hobby sono il ballo, la vela e…” Orlanda si chinò per sbirciare i caratteri minuti, e Bartlett fissò la curva incantevole del suo collo, “… le escursioni. Cosa te ne pare?”
Gli occhi di Bartlett si fissarono sulla fotografia. “Senti, Orlanda, sono anni che non vado con una puttana. Da quando ero militare. Non mi sono mai piaciute molto.”
“Oh, ti capisco benissimo, e hai ragione” disse lei, paziente. “Ma queste non sono puttane, almeno non nel senso americano della parola. Non c’è nulla di volgare o di segreto in loro e nella mia proposta. Queste sono Signore del Piacere e possono offrirti la loro giovinezza, che ha un grande valore, in cambio di un po’ del tuo denaro, che ne ha pochissimo. È uno scambio equo, dato e ricevuto senza che le due parti perdano la faccia. Per esempio, tu devi sapere in anticipo quanto lei deve ricevere, e non devi mai darle il denaro direttamente, devi metterglielo nella borsetta. È importante, ed è molto importante, per me, che il tuo primo incontro sia perfetto. Devo proteggere la tua faccia e…”
“Suvvia, Orlan…”
“Ma faccio sul serio, Linc. Questa scelta, questo mio dono non ha nulla a che vedere con me e te, nulla. Tra noi sarà come sarà. Per me è importante che tu ti goda la vita, che sappia cos’è l’Asia veramente, non quello che la credono gli americani. Ti prego.”
Bartlett si sentiva sprofondare: tutti i suoi punti fermi ben collaudati erano infranti e inutili, contro quella donna che l’affascinava e lo sbalordiva.
Era ebbro del suo calore e della sua tenerezza. Tutto il suo essere le credeva.
Poi, all’improvviso, ricordò, e il suo io urlò un monito. L’euforia svanì. Aveva ricordato in quel momento con chi aveva parlato della sua predilezione per la cucina italiana. A Gornt. A Gornt, un paio di giorni prima. Quando aveva descritto il pasto migliore che avesse mai consumato. Un pranzo italiano con la birra. Gornt. Gesù, quei due sono in combutta? Non è possibile, proprio non può essere! Forse ho parlato anche con lei dello stesso pranzo. L’ho fatto?
Si frugò nella memoria ma non riuscì a ricordare esattamente: era scosso, ma i suoi occhi continuavano a vederla mentre attendeva, sorridendogli, adorandolo. Gornt e Orlanda? Non possono essere in combutta! In nessun modo! Ma anche così, sii prudente. Non sai quasi niente di lei, quindi stai attento per amor del cielo, sei preso in una rete, la sua rete. È anche la rete di Gornt?
Mettila alla prova, gridò il diavolo dentro di lui. Mettila alla prova. Se fa sul serio, allora è tutta un’altra cosa, e lei è arrivata dallo spazio, è una rarità, e dovrai deciderti… potrai averla soltanto alle sue condizioni.
Mettila alla prova finché ne hai la possibilità… non hai niente da perdere.
“Cosa?” chiese lei, intuendo un cambiamento.
“Stavo pensando a quello che hai detto, Orlanda. Devo scegliere subito?”