63.

Ore 10,52

“Tai-pan, il dottor Samson sta chiamando da Londra. È sulla linea tre.”

“Grazie, Claudia.” Dunross premette il pulsante. “Pronto, dottore. Si è alzato tardi.”

“Sono appena rientrato dall’ospedale… mi scusi, non ho potuto chiamare prima. Lei voleva sapere di sua sorella, la signora Gavallan?”

“Sì. Come sta?”

“Ecco, signore, abbiamo incominciato un’altra serie rigorosa di analisi. Mentalmente, devo dire che è in ottime condizioni. Purtroppo, fisicamente…”

Dunross ascoltò, con una stretta al cuore, mentre il medico spiegava dettagliatamente la sclerosi multipla. Nessuno in realtà ne sapeva molto, non si conoscevano cure efficaci, e la malattia procedeva per fasi discendenti… quando s’era prodotto un deterioramento della struttura nervosa, la medicina attuale non era in grado di riportare il malato al precedente livello. “Mi sono preso la libertà di far venire il professor Klienberg della clinica dell’UCLA a Los Angeles per un consulto… è il massimo esperto mondiale, per questa malattia. Stia certo che faremo tutto il possibile per la signora Gavallan.”

“A sentirla, sembra che possiate fare ben poco.”

“Ecco, non è così terribile, signore. Se la signora Gavallan si riguarda, si riposa, potrà vivere una vita normale per molti anni.”

“Quanti anni?” Dunross sentì la lunga esitazione. Oh, Kathy, povera Kathy!

“Non so. Molte volte, questi casi sono nelle mani di Dio, signor Dunross. I pazienti non seguono gli stessi tempi. Nel caso della signora Gavallan, potrei darle una risposta più precisa fra sei mesi, forse per Natale. Intanto, l’ho ricoverata come paziente nel quadro della Sanità Nazionale, quindi…”

“No. Dev’essere una paziente privata, dottor Samson. La prego di mandare tutti i conti al mio ufficio.”

“Signor Dunross, non c’è nessuna differenza nella qualità delle cure. La signora dovrà solo attendere un po’ in anticamera e sarà ricoverata in corsia, non in una stanza privata all’ospedale.”

“La prego di ricoverarla come paziente privata. Lo preferisco, e anche il marito lo preferirebbe.”

Dunross sentì il sospiro e imprecò fra sé. “Sta bene” disse il medico. “Ho tutti i suoi numeri telefonici e la chiamerò appena il professor Klienberg avrà effettuato la visita e le analisi saranno terminate.”

Dunross lo ringraziò e depose il ricevitore. Oh, Kathy, povera cara. Kathy.

Quando si era alzato, all’alba, aveva parlato con lei e con Penelope. Kathy gli aveva detto che si sentiva molto meglio, e che Samson le aveva dato buone speranze. Ma più tardi, Penn gli aveva riferito che Kathy sembrava molto stanca. “Non mi pare che vada affatto bene, Ian. Non potresti venire qui per una settimana o due prima del dieci ottobre?”

“Al momento no, Penn, ma non si sa mai.”

“Ho intenzione di portare Kathy ad Avisyard appena uscirà dall’ospedale. Al più tardi la settimana prossima. Là starà meglio. L’ambiente le farà bene, Ian, non preoccuparti.”

“Penn, quando arriverai ad Avisyard, mi faresti il favore di andare per me all’Albero degli Urli?”

“Cos’è successo?”

Dunross aveva sentito la preoccupazione nella voce di lei. “Niente, cara” le aveva detto, pensando a Jacques e a Phillip Chen… come faccio a spiegarlo? “Niente di particolare, solo la stessa storia. Volevo solo che salutassi il nostro vero Albero degli Urli.”

“Il nostro jacaranda, lì, non va bene?”

“Oh, va benissimo, ma non è la stessa cosa. Forse dovresti portarne una talea a Hong Kong.”

“No. È meglio lasciarlo dov’è. Così dovrai venire a casa, no, Ian?”

“Posso fare una puntata a nome tuo, questo pomeriggio?”

Un’altra pausa. “Dieci dollari sul cavallo che scegli tu. Approverò la tua scelta. Approverò sempre le tue scelte. Chiamami domani. Ti amo… ciao.”

Dunross ricordò la prima volta che lei gli aveva detto “ti amo”, e poi, più tardi, quando le aveva chiesto di sposarlo, tutti i rifiuti e alla fine, fra le lacrime strazianti, la vera ragione: “Oh, Cristo, Ian, non vado bene per te. Tu appartieni all’alta società, io no. Il modo in cui parlo adesso, l’ho acquisito. È stato perché all’inizio della guerra ero sfollata in campagna… mio Dio, prima ero stata fuori Londra solo due volte in tutta la mia vita, per andare al mare. Ero sfollata in un vecchio, meraviglioso castello nello Hampshire, e tutte le altre ragazze provenivano da una delle vostre scuole della buona società… Byculla, si chiamava. C’era stata una grande confusione, Ian, tutte le mie compagne di scuola erano andate altrove, e io sola ero finita a Byculla, e soltanto allora mi sono accorta che parlavo diverso… in modo differente, voglio dire, ecco, vedi, qualche volta lo dimentico ancora! Oh, Dio, non hai idea di come sia stato spaventoso, scoprire a quell’età che… che facevo parte della gente comune, e parlavo in modo comune, e che ci sono immense differenze in Inghilterra, e il modo di parlare… il modo di parlare è così importante!

“Oh, come mi impegnavo per imitare le altre! Loro mi aiutavano, e c’era una professoressa che era meravigliosa, con me. Mi sono buttata in quella vita nuova, la loro vita, e ho giurato a me stessa che mi sarei migliorata e non sarei mai tornata indietro, mai, mai, mai, e non lo farò. Ma non posso sposarti, caro… restiamo amanti. Non andrò mai bene per te.”

Ma col tempo, quando lei s’era convinta, si erario sposati. L’aveva convinta Nonna Dunross. Penelope aveva accettato, ma solo dopo essere andata all’Albero degli Urli, sola. Non gli aveva mai rivelato che cosa avesse detto.

Sono fortunato, pensò Dunross. Penn è la moglie migliore che un uomo possa avere.

Da quando era tornato dall’ippodromo, all’alba, aveva lavorato continuamente. Una cinquantina di cablo. Dozzine di telefonate internazionali. Innumerevoli telefonate locali. Alle nove e mezzo aveva chiamato il governatore per riferirgli la proposta di Tiptop. “Dovrò consultare il ministro” aveva risposto Sir Geoffrey. “Non posso chiamarlo prima delle quattro del pomeriggio. Deve restare assolutamente segreto, Ian. Oh, poveri noi, Brian Kwok deve essere molto importante per loro!”

“O forse è solo un’altra concessione conveniente per il denaro.”

“Ian, non credo che il ministro accetterà lo scambio.”

“Perché?”

“Il governo di Sua Maestà potrebbe considerarlo un precedente, un pessimo precedente. Io lo riterrei tale.”

“Il denaro è troppo importante.”

“Il denaro è un problema transitorio. I precedenti, purtroppo, durano in eterno. È stato all’ippodromo?”

“Sì, signore.”

“I cavalli sono in forma?”

“Mi sono sembrati tutti in ottime condizioni. Alexi Travkin dice che Pilot Fish sarà il nostro avversario più temibile, e che il terreno sarà allentato. Noble Star va splendidamente, anche se non ha mai corso sul bagnato.”

“Pioverà?”

“Sì. Ma forse saremo fortunati, signore.”

“Speriamo. Sono tempi terribili, Ian. Comunque, sono prove che il cielo ci manda, eh? Andrà al funerale di John?”

“Sì, signore.”

“Anch’io. Poveretto…”

Al funerale, quella mattina, Dunross aveva pronunciato parole di elogio in ricordo di John Chen, per la faccia della Casa di Chen e per tutti gli antenati Chen che avevano servito la Nobil Casa tanto a lungo e con tanta dedizione.

“Grazie, tai-pan” aveva detto Phillip Chen, semplicemente. “Ancora una volta, mi scuso.”

Più tardi, Dunross aveva detto a Phillip Chen, a quattr’occhi: “Le scuse sono scuse, ma questo non serve a districarci dalla trappola in cui ci avete messo tu e tuo figlio. O a risolvere il problema di quel maledetto Quattro Dita e della terza moneta.”

“Lo so, lo so!” aveva detto Phillip Chen, torcendosi le mani. “Lo so, e se non faremo risalire le azioni saremo rovinati, tutti quanti! Oh ko, dopo che hai annunciato il boom, ho comprato e comprato, e adesso siamo rovinati.”

Dunross aveva detto, bruscamente: “Abbiamo a disposizione il weekend, Phillip. E adesso stammi a sentire, maledizione! Chiederai che ti ripaghino tutti i favori che ti sono dovuti. Voglio l’appoggio di Lando Mata e di Tung Pugnostretto entro domenica a mezzanotte. Almeno 20 milioni.”

“Ma, tai-pan, non…”

“Se non li ottengo entro la mezzanotte di domenica, voglio le tue dimissioni sulla mia scrivania per le nove di lunedì mattina, e tu non sarai più il compradore, tuo figlio Kevin sarà fuori, e tutta la tua famiglia sarà fuori per sempre, e sceglierò un nuovo compradore in un’altra famiglia.”

Dunross esalò un profondo respiro, disgustato al pensiero che Phillip Chen e John Chen – e probabilmente anche Jacques deVille – avessero tradito il loro impegno. Andò a versarsi un po’ di caffè. Quel giorno gli sembrava che avesse un sapore pessimo. Le telefonate erano state incessanti, e quasi tutte riguardavano l’imminente crollo della Borsa e del sistema bancario. Havergill, Johnjohn, Richard Kwang. Nessuna notizia di Pugnostretto o Lando Mata o Murtagh. L’unico momento piacevole era stata la sua telefonata a David MacStruan, a Toronto. “David, ti voglio qui lunedì per una conferenza. Puoi v…” Era stato assordato dall’urlo di gioia.

“Tai-pan, corro all’aeroporto. Arr…”

“Calma, David!” Dunross aveva spiegato la sua decisione di trasferire Jacques in Canada.

Och, laddie, se lo fai sarò il tuo schiavo in eterno!”

“Avrò bisogno di ben altro che schiavi, David” aveva detto lui, cautamente.

C’era stata una lunga pausa, poi la voce nel ricevitore era diventata più dura. “Qualunque cosa tu voglia, tai-pan, l’avrai. Qualunque cosa.”

Dunross sorrise, un po’ consolato al pensiero di quel lontano cugino. Guardò distrattamente dalle finestre. Il porto era avvolto nella nebbia, il cielo basso e scuro, ma non pioveva ancora. Bene, pensò, purché non piova prima della quinta corsa. Dopo le quattro, può anche piovere. Voglio schiacciare Gornt e Pilot Fish e, oh, Dio, fai che la First Central mi dia il denaro, o Lando Mata, o Pugnostretto o la Par-Con! La tua scommessa è coperta, si disse stoicamente, in tutti i modi possibili. E Casey? Mi sta tendendo una trappola come Bartlett? E come Gornt? E…

Il citofono ronzò. “Tai-pan, il suo appuntamento delle undici…”

“Claudia, venga da me un secondo.” Dunross estrasse dal cassetto una busta con 1000 dollari e gliela consegnò. “Il denaro per scommettere, come avevo promesso.”

“Oh, grazie, tai-pan.” C’erano segni di preoccupazione sul viso gioviale di Claudia, e ombre nel suo sorriso.

“Sarà nel palco di Phillip?”

“Oh, sì. Sì, zio Phillip mi ha invitata. Mi… mi è sembrato molto sconvolto” disse lei.

“È per John.” Dunross non era sicuro che Claudia sapesse. Probabilmente sì, pensò, o lo saprà presto. Non ci sono segreti, a Hong Kong. “Quali sono i suoi favoriti?”

“Winner’s Delight nella prima corsa, Buccaneer nella seconda.”

“Due outsider?” Dunross la guardò meravigliato. “Ha avuto una soffiata confidenziale?”

“Oh, no, tai-pan.” Claudia ritrovò un po’ dell’abituale buonumore. “Mi sono basata sulle condizioni di forma.”

“E nella quinta?”

“Non scommetterò, nella quinta, ma tutte le mie speranze sono puntate su Noble Star.” Claudia soggiunse, preoccupata: “Posso fare qualcosa, tai-pan? Qualunque cosa. La Borsa e… dobbiamo liquidare Gornt, in un modo o nell’altro.”

“Sono piuttosto affezionato a Gornt… è un tale fang-pi.” L’oscenità cantonese era pittoresca. Lei rise. “E adesso faccia entrare la signora Gresserhoff.”

“Sì, sì, tai-pan” disse Claudia. “E grazie per il h’eung yau!”

Dopo un attimo, Dunross si alzò per ricevere l’ospite. Era la donna più bella che avesse mai visto. “Ikaga desu ka?” chiese, sbalordito – Come sta? – sorpreso che una donna come quella avesse potuto sposare Alan Medford Grant il cui nome, Dio ci scampi, era anche Hans Gresserhoff.

Genki, tai-pan. Domo. Genki desu! Anatawa?” Bene, tai-pan, grazie. E lei?

Genki.” Dunross s’inchinò leggermente a sua volta, e non le strinse la mano, ma notò che aveva mani e piedi minuscoli, e gambe lunghe. Conversarono per un momento, poi lei passò all’inglese con un sorriso. “Lei parla molto bene il giapponese, tai-pan. Mio marito non mi aveva detto che era così alto.”

“Gradisce un caffè?”

“La ringrazio… ma, oh, la prego, lasci che lo versi anche per lei.” Prima che Dunross potesse trattenerla, si era già avvicinata al vassoio. Lui la guardò versare con delicatezza. Gli offrì la prima tazza, con un piccolo inchino. “Prego.” Riko Gresserhoff – Riko Anjin – era appena un metro e cinquanta, perfettamente proporzionata, con i capelli corti e uno splendido sorriso, e pesava forse quaranta chili. La camicetta e la gonna erano di seta color rame, un modello francese d’ottimo taglio. “La ringrazio per il denaro delle spese che mi ha consegnato la signorina Claudia.”

“Non è nulla. Dobbiamo… dovevamo a suo marito circa 8000 sterline. Domani le farò preparare un assegno circolare.”

“Grazie.”

“Lei è in vantaggio rispetto a me, signora Gresserhoff. Lei mi…”

“Mi chiami Riko, tai-pan.”

“Sta bene, Riko-san. Lei mi conosce, ma io non so niente di lei.”

“Sì. Mio marito mi aveva detto che dovevo riferirle tutto ciò che desiderava sapere. Mi aveva detto che… che appena fossi stata certa che lei era il tai-pan, dovevo consegnarle una busta che ho portato con me. Posso portargliela più tardi?” Di nuovo il lieve sorriso interrogativo. “Posso?”

“Tornerò in albergo con lei, adesso, e la ritirerò.”

“Oh, no, sarebbe troppo disturbo. Forse potrei portargliela dopo pranzo. La prego.”

“Quanto è grande? La busta?”

Le mani minuscole di Riko Gresserhoff misurarono l’aria. “È una busta normale, sottile. Potrebbe metterla facilmente in tasca.” Ancora quel sorriso.

“Forse le farebbe piacere… le dirò io cosa faremo” disse Dunross, incantato. “Tra qualche momento la farò riaccompagnare dalla macchina. Potrà prendere la busta e tornare subito.” Poi soggiunse, sapendo che l’invito avrebbe alterato l’ordine dei posti, ma senza curarsene: “Vuole pranzare con noi alle corse?”

“Oh, ma… ma dovrei cambiarmi e… oh, grazie, ma no, per lei sarebbe troppo disturbo. Forse potrei consegnarle la lettera più tardi, o domani. Mio marito diceva che dovevo rimetterla nelle sue mani.”

“Non ha bisogno di cambiarsi, Riko-san. È elegantissima. Oh! Ha un cappello?”

Lei lo guardò, perplessa. “Prego?”

“Sì. È… ehm, sì, qui c’è l’abitudine che le signore portino cappello e guanti, alle corse. Una consuetudine sciocca, ma ha un cappello?”

“Oh, sì. Ogni signora ha un cappello. Naturalmente.”

Dunross provò un senso di sollievo. “Bene, allora è tutto a posto.”

“Oh! Se a lei sta bene.” Riko Gresserhoff si alzò. “Devo andare, ora?”

“No, se ha tempo, la prego, si sieda. Era sposata da molto?”

“Quattro anni. Hans…” Lei esitò, poi disse, con franchezza: “Hans mi aveva detto di riferirle, ma soltanto a lei, se mai lui fosse morto e io avessi dovuto venire qui come è avvenuto… di riferirle che il nostro era un matrimonio di convenienza.”

“Come?”

Lei arrossì leggermente e proseguì. “Mi scusi, la prego, ma dovevo dirglielo. Un matrimonio di convenienza per tutti e due. Io ho ottenuto la cittadinanza svizzera e il relativo passaporto, e mio marito si è assicurato qualcuno che si prendesse cura di lui quando veniva in Svizzera. Io… non desideravo sposarmi, ma lui me l’aveva chiesto molte volte e… e diceva che mi sarebbe servito come protezione, quando lui fosse morto.”

Dunross trasalì. “Sapeva che sarebbe morto?”

“Credo di sì. Diceva che il contratto matrimoniale era soltanto per cinque anni, ma che non dovevamo avere figli. Mi portò da un avvocato di Zurigo, che preparò un contratto per cinque anni.” Riko Gresserhoff aprì la borsetta. Le tremavano le mani, ma non la voce. Estrasse una busta. “Hans mi aveva detto di darle queste. Sono copie del contratto, del mio… del mio certificato di nascita e di matrimonio, del suo certificato di nascita e del testamento.” Prese un fazzolettino di carta e se lo premette contro il naso. “La prego di scusarmi.” Meticolosamente, sciolse lo spago che legava la busta e tirò fuori la lettera.

Dunross la prese. Riconobbe la grafia di Grant. “Tai-pan: questo confermerà che mia moglie, Riko Gresserhoff – Riko Anjin – è effettivamente chi dice di essere. Io la amo con tutto il mio cuore. Meritava e merita qualcuno migliore di me. Se avesse bisogno d’aiuto… la prego, la prego, la prego.” Era firmata: Hans Gresserhoff.

“Io non meritavo di più, tai-pan” disse lei, con un filo di voce triste. “Mio marito era buono con me, molto buono. E mi dispiace moltissimo che sia morto. ”

Dunross la scrutò. “Era ammalato? Sapeva che sarebbe morto di malattia?”

“Non so. Non me l’ha mai detto. Una delle sue richieste prima che io… prima che lo sposassi, era che non gli facessi domande, che non gli chiedessi dove andava, o perché, o quando sarebbe ritornato. Dovevo accettarlo com’era.” Riko Gresserhoff fu scossa da un lieve brivido. “È molto duro, vivere così.”

“Perché ha accettato di vivere così? Perché? Sicuramente non era necessario.”

Riko esitò di nuovo. “Sono nata in Giappone nel 1939, e da bambina i miei genitori mi portarono a Berna… mio padre era un funzionario dell’ambasciata giapponese. Nel 1943 lui tornò in Giappone, ma ci lasciò a Ginevra. La nostra famiglia è… la nostra famiglia viene da Nagasaki. Nel 1945 mio padre e tutta la nostra famiglia furono annientati. Non era rimasto più nulla e mia madre desiderava restare in Svizzera, e perciò andammo a vivere a Zurigo, con un brav’uomo che è morto quattro anni fa. Lui… loro mi pagarono gli studi, e mi tennero con loro. Eravamo felici. Sapevo da molti anni che non erano sposati, anche se loro fingevano di esserlo e io fingevo di crederlo. Quando lui morì, non era rimasto molto denaro. Hans Gresserhoff conosceva quest’uomo, il mio… il mio patrigno. Si chiamava Simeon Tzerak. Era un apolide, tai-pan, un profugo ungherese che si era stabilito in Svizzera. Prima della guerra faceva il contabile a Budapest. Fu mia madre a combinare il mio matrimonio con Hans Gresserhoff.” Riko alzò gli occhi su Dunross. “È stato… è stato un matrimonio felice, tai-pan, o almeno io ho cercato di fare tutto ciò che desideravano mio marito e mia madre. Il mio giri, il mio dovere era obbedire a mia madre, no?”

“Sì” disse lui, dolcemente. Comprendeva il dovere e il giri, una fondamentale parola giapponese, che riassume un’eredità e un modo di vivere. “Lei ha compiuto perfettamente il suo giri, ne sono certo. E sua madre, quale dice che è il suo giri, adesso?”

“Mia madre è morta, tai-pan. Quando morì il mio patrigno, perse ogni desiderio di vivere. Appena io fui sposata, salì sulla montagna, e si lanciò con gli sci in un crepaccio.”

“Terribile.”

“Oh, no, tai-pan. È molto bello. È morta come desiderava morire, nel momento e nel luogo che aveva scelto. Il suo uomo era morto, io ero al sicuro, che altro le restava da fare?”

“Nulla” disse Dunross, ascoltando la dolcezza di quella voce, la sincerità, la calma. Gli venne in mente una parola giapponese, wa: armonia. Ecco che cos’ha questa ragazza, pensò. Armonia. Forse è questo che la rende tanto bella. Ayeeyah, se potessi acquisire anch’io un simile wa!

Uno dei telefoni squillò. “Sì, Claudia?”

“È Alexi Travkin, tai-pan. Mi scusi, ma dice che è importante.”

“Grazie.” A Riko, Dunross disse: “Mi scusi un momento. Sì, Alexi?”

“Mi dispiace disturbarla, tai-pan, ma Johnny Moore sta male e non potrà correre.” Johnny Moore era il loro primo fantino.

La voce di Dunross s’indurì. “Questa mattina mi pareva che stesse benissimo.”

“Ha la febbre a quaranta, tai-pan. Il medico dice che potrebbe essere un avvelenamento da cibi guasti.”

“Vuol dire che qualcuno gli ha fatto uno scherzo, Alexi?”

“Non so, tai-pan. So soltanto che oggi non potrà correre.”

Dunross esitò. Sapeva di essere migliore degli altri suoi fantini, ma il peso in più che Noble Star avrebbe dovuto portare avrebbe rappresentato un grosso svantaggio. Devo correre o no? “Alexi, metta in programma Tom Wong. Decideremo prima della corsa.”

“Sì. Grazie.”

Dunross posò il ricevitore. “Anjin è un cognome strano” disse. “Significa pilota o navigatore, no?”

“Secondo la leggenda della mia famiglia, uno dei nostri antenati era un inglese che divenne samurai e consigliere dello Shogun Yoshi Toranaga, oh, moltissimo tempo fa. Ci sono molte stoyie diverse, ma dicono che prima avesse un feudo a Hemi, presso Yokohama, e poi si trasferisse con la famiglia a Nagasaki, come ispettore generale di tutti gli stranieri.” Di nuovo il sorriso. Riko alzò le spalle e si inumidì le labbra con la punta della lingua. “È solo una leggenda, tai-pan. Dicono che sposò una dama di nobile nascita che si chiamava Riko.” La sua risatella riempì la stanza. “Lei conosce i giapponesi! Un gai-jin, uno straniero, sposato a una nobile dama… com’era possibile? Comunque, è una storia simpatica e spiega un nome, no?” Riko si alzò e Dunross si alzò. “Ora dovrei andare. Sì?”

No, avrebbe voluto rispondere lui.

La Daimler nera si fermò davanti al Victoria and Albert. Lo stemma della Struan spiccava sulle portiere, ma con discrezione. Casey e Bartlett attendevano sulla scalinata. Casey portava un abito verde, e si vergognava un po’ dell’impertinente cappellino verde e dei guanti bianchi. Bartlett aveva una cravatta blu, intonata all’abito di buon taglio. Entrambi erano molto seri.

Lo chauffeur si avvicinò. “Il signor Bartlett?”

“Si.” Scesero la gradinata. “È venuto a prenderci con la macchina?”

“Sì, signore. Mi scusi, signore, ma tutti e due hanno il cartellino e il biglietto d’invito?”

“Sì, eccoli” disse Casey.

“Ah, bene. Mi scusino, ma senza quelli… Io sono Lim. La… ehm, l’usanza vuole che i signori leghino i cartellini all’asola del bavero, e di solito le signore li fissano con uno spillo.”

“Come vuole” disse Bartlett. Casey prese posto sul sedile posteriore e lui la seguì. Sedettero lontani. In silenzio, si accinsero a fissare i cartellini numerati.

Lim chiuse con delicatezza la portiera, notando quella freddezza, e ridacchiò tra sé. Chiuse il vetro divisorio con il comando elettrico e mise in funzione il citofono. “Se vuole parlarmi, signore, c’è un microfono sopra di lei.” Attraverso lo specchietto retrovisore vide Bartlett azionare il pulsante.

“Certo. Grazie, Lim.”

Appena Lim si fu inserito nel traffico, allungò la mano sotto il cruscotto e premette un interruttore nascosto. Subito la voce di Bartlett uscì dall’altoparlante.

“… pioverà?”

“Non so, Linc. La radio ha detto di sì, ma tutti si augurano che non succeda.” Un’esitazione e poi, freddamente: “Sono ancora convinta che tu abbia torto.”

Lim si assestò felice al volante. Il suo fidato fratello maggiore Lim Chu, maggiordomo dei tai-pan della Nobil Casa, aveva fatto installare da un altro fratello, un esperto radiotecnico, quell’interruttore speciale, in modo che lui potesse ascoltare ciò che dicevano i suoi passeggeri. Era stato fatto con grande spesa, per proteggere il tai-pan, e Lim Chu aveva ordinato di non usarlo mai quando il tai-pan era in macchina. Mai mai mai. E non era mai stato usato, quando c’era lui. Per ora. Lim tremava al pensiero di venire scoperto, ma il desiderio di sapere – per proteggere il tai-pan, naturalmente – era più forte dell’ansia. Oh, oh, oh, ridacchiò tra sé, Aureo Pelo Pubico è proprio arrabbiata!

Casey bolliva, infatti.

“Lasciamo stare, eh, Linc?” disse. “È da quando ci siamo trovati a colazione che ti comporti come un orso con un molare cariato!”

“E tu?” Bartlett la guardò male. “Ci metteremo con Gornt… come voglio io.”

“Questo è il mio accordo, l’hai ripetuto cinquanta volte, l’hai promesso, e prima mi davi sempre ascolto. Gesù, siamo dalla stessa parte. Io sto solo cercando di proteggerti. So che hai torto.”

“Tu credi che abbia torto. E tutto a causa di Orlanda!”

“Non è vero! Ti ho spiegato cinquanta volte le mie ragioni. Se Ian ce la fa a uscire dalla trappola, è meglio metterci con lui, non con Gornt.”

Bartlett aveva un’espressione fredda. “Non ci siamo mai scontrati prima d’ora, Casey, ma se vuoi votare con le tue azioni, io voterò con le mie, e ti troverai con le spalle al muro prima di aver il tempo di contare fino a dieci!”

Il cuore di Casey martellava. Da quando s’erano incontrati a colazione con Seymour Steigler, era stata una giornataccia. Bartlett era irremovibile: sosteneva che era meglio mettersi con Gornt, e lei non era riuscita a dissuaderlo. Dopo aver insistito per un’ora, lei aveva concluso la riunione ed era andata a rispondere ai telex arrivati durante la notte; poi, ricordando all’improvviso, all’ultimo momento, era uscita di corsa a comprare il cappellino.

Quando era andata incontro a Bartlett nel vestibolo, trepidante, augurandosi che il cappellino gli piacesse, aveva cercato di riconciliarsi, ma lui l’aveva interrotta. “Lascia perdere” aveva detto. “Non siamo d’accordo. E allora?”

Casey aveva atteso, aveva atteso, ma lui non s’era accorto di niente. “Tu che cosa ne pensi?”

“Te l’ho detto. Per noi va meglio Gornt.”

“Alludevo al cappellino.”

Aveva visto quell’espressione stupita.

“Oh, ecco che cos’avevi di diverso! Ehi, ti sta bene.”

Casey aveva provato l’impulso di strapparsi il cappellino e di tirarglielo in faccia. “Viene da Parigi” aveva detto, poco convinta. “Sull’invito c’è scritto ‘cappello e guanti’, ricordi? È una scemenza, ma Ian ha detto che le si…”

“Che cosa ti fa credere che ce la farà a uscire dalla trappola?”

“È furbo. Ed è il tai-pan.”

“Gornt lo ha messo con le spalle al muro.”

“Così sembra. Quindi per il momento lasciamo stare. Forse è meglio che aspettiamo fuori. La macchina sarà qui a mezzogiorno.”

“Un momento solo, Casey. Che cosa stai combinando?”

“Sarebbe a dire?”

“Tu lo sai meglio di chiunque altro. Che scherzo stai preparando?”

Casey aveva esitato, insicura, chiedendosi se dovesse rivelare la faccenda della First Central. Ma non c’è ragione, aveva pensato. Se Ian ottiene il credito e se la cava, io sarò la prima a saperlo. Me l’ha promesso lui. Allora Linc potrà coprire i suoi 2 milioni con Gornt, e ricompreranno per rifarsi delle vendite e guadagneranno somme enormi. Nel contempo io, Ian e Linc entriamo in scena quando le quotazioni sono al minimo e facciamo un colpo gobbo. Io sarò la prima a saperlo, dopo Murtagh e Ian. Ian lo ha promesso. Sì, sì, l’ha promesso. Ma posso fidarmi di lui?

Si sentì pervadere da un’ondata di nausea. Puoi fidarti di qualcuno in affari, qui o altrove? Uomo o donna?

A cena, la sera prima, s’era fidata di lui. Sotto l’influenza del vino, gli aveva parlato dei suoi rapporti con Linc, del patto che avevano concluso.

“È un po’ dura, no? Per tutti e due?”

“Sì, sì e no. Tutti e due eravamo maggiorenni, Ian, e io volevo essere molto di più che la signora Bartlett, madre-amante-serva-lavapiatti-lavapannolini-schiava e lasciata a casa. È questo che distrugge qualunque donna. Ti lasciano sempre a casa. E la casa finisce per diventare una prigione, e ti senti impazzire, imprigionata finché morte non ci divida! L’ho visto troppe volte.”

“Qualcuno deve occuparsi della casa e dei figli. Il compito dell’uomo è guadagnare il denaro. Quello della moglie è…”

“Sì. Per lo più sì. Ma non per me. Io non sono disposta a rassegnarmi e non credo sia sbagliato volere un tipo di vita diverso. Sono io quella che guadagna, nella mia famiglia. Il marito di mia sorella è morto, quindi devo pensare a mia sorella e ai bambini, e poi ci sono mia madre e mio zio. Sono istruita, efficiente, e in affari so destreggiarmi meglio di tanti. Il mondo sta cambiando, tutto sta cambiando, Ian.”

“Come ho detto prima, qui no, grazie a Dio!”

Casey ricordò che era stata sul punto di rispondere per le rime, ma si era dominata e aveva chiesto: “Ian, e Hag Struan? Lei come c’era riuscita? Qual era il suo segreto? Come aveva fatto a diventare più eguale degli altri?”

“Teneva in mano i cordoni della borsa. Assolutamente. Oh, lasciò sempre la posizione ufficiale e la faccia a Culum e ai tai-pan che vennero dopo di lui, ma era lei che teneva i libri contabili, e assumeva e licenziava tramite lui… era la forza vera della famiglia. Quando Culum fu in punto di morte, le fu facile convincerlo a nominarla tai-pan. Lui le consegnò il sigillo della Struan, il sigillo di famiglia e tutte le redini e tutti i segreti. Ma, saggiamente, lei lo tenne nascosto, e dopo la morte di Culum nominò soltanto quelli che poteva controllare, e non lasciò mai a loro i cordoni della borsa, o il vero potere, fino a quando anche lei non fu in punto di morte.”

“Ma regnare tramite gli altri… è sufficiente?”

“Il potere è potere, e non credo che abbia importanza, purché si regni. Per una donna, dopo una certa età, il potere dipende dal controllo delle finanze. Ma per quanto riguarda il denaro per poter dire ‘crepa’ a tutto il mondo, Casey, ha ragione lei. Hong Kong è l’unico luogo della terra in cui potrà ottenerlo per tenerselo. Con il denaro, parecchio denaro, potrà essere più eguale di chiunque. Più di Linc Bartlett. A proposito, mi è simpatico. Molto simpatico.”

“Io lo amo. La nostra società ha funzionato a dovere, Ian. Credo di essere stata utile a Linc… oh, lo spero. È il nostro tai-pan, e io non sto cercando di soppiantarlo. Voglio soltanto riuscire, come donna. Lui mi ha aiutato enormemente, certo. Senza di lui non ce l’avrei mai fatta. Perciò siamo in affari insieme, fino al mio compleanno. Il 25 novembre di quest’anno. È il giorno decisivo. Poi decideremo, tutti e due.”

“E allora?”

“Non so. Sinceramente, non so. Oh, amo Linc, più che mai, ma non siamo amanti.”

Più tardi, mentre tornavano con il traghetto, Casey aveva provato la tentazione fortissima di chiedergli di Orlanda. Ma aveva deciso di non farlo. “Forse avrei dovuto” mormorò.

“Ah?”

“Oh!” Casey si strappò alle sue fantasticherie, e si ritrovò sulla berlina, a bordo del traghetto che li portava a Hong Kong. “Scusa, Linc, stavo sognando a occhi aperti.”

Lo guardò, e vide che era sempre bello, sebbene adesso la fissasse con freddezza. Per me sei più attraente di Ian e di Quillan, pensò. Eppure, in questo momento, preferirei andare a letto con uno di loro, piuttosto che con te. Perché sei una carogna.

“Vuoi tentare” chiese lui. “Vuoi votare le tue azioni contro le mie?”

Casey ricambiò lo sguardo, infuriata. Digli di andare a farsi fottere, urlò qualcosa dentro di lei, ha più bisogno di te di quanto tu abbia bisogno di lui, tu hai le redini della Par-Con e sai dove sono sepolti gli scheletri, puoi fare a pezzi ciò che hai contribuito a creare. Ma l’altra metà del suo essere l’esortò alla prudenza.

Ricordò quel che aveva detto il tai-pan a proposito di quel mondo fatto per gli uomini, e del potere. E di Hag Struan.

Abbassò per un attimo lo sguardo e lasciò scorrere le lacrime. Subito vide il cambiamento che s’era operato in Bartlett.

“Gesù, Casey, non piangere, scusami…” stava dicendo lui. L’abbracciò. “Gesù, non ti avevo mai vista piangere… Senti, ne abbiamo passate di tutti i colori, diavolo, almeno cinquanta volte, non è il caso che tu te la prenda così. Abbiamo spinto la Struan e Gornt a darsi battaglia. Alla fine non ci sarà nessuna differenza. Noi saremo comunque la Nobil Casa, ma tutto sommato Gornt è meglio, so di aver ragione.”

Oh, no, non hai ragione, pensò Casey, consolata, riscaldata da quell’abbraccio.