64.

Ore 12,32

Brian Kwok stava urlando, al di là del terrore. Sapeva di essere in carcere e all’inferno, e sapeva che continuava così da sempre. Il suo mondo era una follia, un attimo interminabile di luce accecante e tutto aveva il colore del sangue, le pareti e il pavimento e il soffitto della cella erano color sangue e non c’erano porte né finestre, e il pavimento era inondato di sangue, ma tutto era contorto e capovolto perché, inspiegabilmente, lui giaceva sul soffitto, e tutto il suo essere era in tormento, e cercava freneticamente di ritornare alla normalità, e ogni volta ricadeva nella lurida pozza del suo vomito, e poi dopo un istante ripiombava nella tenebra, e le voci pulsanti e stridenti ridevano, soffocando la voce del suo amico, soffocando Robert che implorava i diavoli di smetterla, di smetterla per amor di Dio, e poi di nuovo la luce di sangue esplodeva e artigliava gli occhi, e vedeva l’acqua di sangue che non cadeva, e brancolava disperatamente, e si tendeva verso le sedie e il tavolo che stavano nell’acqua color sangue, ma ricadeva sempre, ricadeva sempre, e il pavimento incontrava il soffitto, e tutto era sossopra, a rovescio, pazzia, pazzia, un’invenzione del diavolo…

La luce di sangue e la tenebra e le risate e il fetore e di nuovo il sangue, sempre, sempre, sempre…

Sapeva che aveva incominciato a delirare anni prima, implorandoli di smettere, implorandoli di lasciarlo andare, giurando che avrebbe fatto qualunque cosa purché lo lasciassero andare, perché non era lui quello che cercavano, non era lui che doveva finire in quell’inferno… È un errore, è tutto un errore, no, non è un errore, ero io il nemico, chi era il nemico, quale nemico? Oh, per favore, fai che il mondo ritorni al suo posto, che io possa stare dove dovrei essere, lassù, no laggiù, dove, oh Gesù Cristo Robert Cristo aiuto aiuto…

“Bene, Brian. Sono qui. Metto tutto a posto io. Sì. Metto tutto a posto io.” Sentì la voce compassionevole giungergli attraverso il gorgo, soffocare le risate. Il sangue che l’avvolgeva sparì. Sentì la mano dell’amico, fredda e gentile, e la strinse, atterrito all’idea che fosse un altro sogno nel sogno, oh, Cristo, Robert, non abbandonarmi…

Oh, Gesù, è impossibile! Guarda! Il soffitto è là, dove deve essere, e io sono qui sul letto, dove devo essere, e la stanza è in penombra, ma è come deve essere, tutto è pulito, i fiori, le tapparelle sono abbassate, ma i fiori e l’acqua sono nel vaso, e io sono a testa in su, come devo essere, a testa in su. “Oh, Cristo, Robert…”

“Salve, vecchio mio” disse gentilmente Robert Armstrong.

“Oh, Gesù, Robert, grazie, grazie. Sono a testa in su, oh, grazie, grazie…”

Parlare era faticoso, e si sentiva debole, non aveva più forza, ma era meraviglioso essere lì, fuori dall’incubo, e il viso del suo amico era indistinto, ma concreto. E sto fumando, io sto fumando? Oh, sì. Sì, mi sembra di ricordare che Robert mi aveva lasciato un pacchetto di sigarette anche se poi sono venuti quei diavoli e le hanno trovate e le hanno protate via la settimana scorsa… grazie a Dio posso fumare… Quando è stato, il mese scorso, la settimana scorsa, quando? Lo ricordo, sì, ma poi Robert è tornato e mi ha fatto fumare di nascosto il mese scorso, era il mese scorso? “Oh, ha un buon sapore, e la pace, niente più incubo, Robert, non vedere più il sangue lassù, il soffitto pieno di sangue, e non essere più sdraiato lassù ma quaggiù, non sono più all’inferno, oh, grazie, grazie…”

“Adesso devo andare.”

“Oh, Cristo, non andare, quelli possono tornare, non andar via, siediti, resta, ti prego, resta. Senti, parliamo, sì, ecco, parliamo, tu volevi parlare… non andartene. Parliamo, ti prego…”

“Sta bene, vecchio mio, allora parliamo. Non me ne andrò, se parliamo. Cosa vuoi dirmi, eh? Certo, resterò, mentre tu parli. Dimmi di Ning-tok e di tuo padre. Non eri tornato a trovarlo?”

“Oh, sì, sono tornato a trovarlo una volta, sì, poco prima che morisse, mi hanno aiutato i miei amici, mi hanno aiutato e c’è voluto solo un giorno, mi hanno aiutato i miei amici… è stato, è stato tanto tempo fa…”

“Ian è venuto con te?”

“Ian? No… era Ian? Non riesco a ricordare… Ian, il tai-pan? È venuto qualcuno con me. Eri tu, Robert? Ah, con me a Ning-tok? No, non eri tu, non era Ian, era John Chancellor di Ottawa. Anche lui odia i sovietici, Robert, sono loro i nemici. Anche a scuola, e quel diavolo di Ciang Kai-scek e i suoi assassini, Fong-fong e… e… Oh, sono così stanco e così contento di vederti…”

“Dimmi di Fong-fong.”

“Oh, lui. Era una carogna, Robert, lui e tutto il suo gruppo di spie erano contro di noi, la Repubblica Popolare, erano per Ciang, lo so; non preoccuparti, appena ho letto il… Che cosa mi stai chiedendo, eh? Che cosa?”

“È stato quel Grant, eh?”

“Sì, sì, e sono quasi svenuto quando ho saputo che lui sapeva che io ero… io… cosa stavo dicendo, oh, sì, ma ho fermato subito Fong-fong… Oh, sì.”

“A chi l’hai detto?”

“A Tsu-yan. L’ho detto a Tsu-yan. Adesso lui è tornato a Pechino… oh, lui era molto in alto, anche se non sapeva chi ero veramente, Robert. Io ero un gran segreto… Sì, allora, è stato a scuola, mio padre mi aveva mandato là… dopo che erano venuti quegli assassini e avevano ucciso a frustate il vecchio Sh’in sulla piazza del villaggio perché era uno dei nostri, uno del popolo, fedele al presidente Mao, e quando ero a Hong Kong, stavo con… con lo zio… andavo a scuola… e lui mi istruiva di notte… Posso dormire, adesso?”

“Chi era tuo zio, Kar-shun, e dove abitava?”

“Non… non ricordo…”

“Allora devo andare. Tornerò la settimana prossi…”

“No, aspetta, Robert, aspetta, era Wu Tsa-fing, nel… nel Quarto Vicolo ad Aberdeen… al numero otto, l’otto porta fortuna, al quinto piano. Ecco, lo ricordo! Non andare!”

“Molto bene, vecchio mio. Molto bene. Sei andato a scuola a Hong Kong per molto tempo?” Robert continuava a usare un tono di voce sommesso e gentile e provava pietà per il suo amico d’un tempo. Lo sorprendeva che Brian avesse ceduto così presto, così facilmente.

Adesso la sua mente era un libro aperto, e lui poteva esplorarla. Tenne gli occhi fissi sulla larva d’uomo che giaceva sul letto, incoraggiandolo a ricordare perché coloro che ascoltavano nascosti potessero registrare tutto, i dati e i numeri e i nomi e i luoghi, le verità segrete e le mezze verità che sgorgavano e avrebbero continuato a sgorgare fino a quando Brian Kar-shun Kwok si fosse ridotto a un guscio vuoto. E sapeva che lui avrebbe continuato a sondare, lusingando o minacciando, mostrandosi spazientito o incollerito o fingendo di andarsene o allontanando la guardia che sarebbe venuta a interromperlo se fosse stato necessario. Con Crosse e Sinders che seguivano l’interrogatorio, lui era uno strumento, esattamente come Brian Kwok era stato uno strumento di altri che avevano usato la sua intelligenza e le sue doti per i loro scopi. Il suo compito era fungere da mezzo, farlo parlare, richiamarlo quando divagava o straparlava, essere il suo unico amico e il suo unico puntello in quell’universo irreale, e fargli dire la verità… come John Chancellor di Ottawa, e chi è? Cosa c’entra? Ancora non lo so.

Ormai riusciremo a farci dire tutto quello che sa il cliente, pensò. Tutti i suoi contatti, i suoi istruttori, gli amici e i nemici. Il povero Fong-fong e i suoi ragazzi. Non li rivedremo più… a meno che rispuntino come agenti degli altri. Che maledetta, lurida faccenda, vendere i tuoi amici, lavorare con il nemico che, lo sanno tutti, vuole renderti schiavo.

“… a Vancouver era meraviglioso, meraviglioso, Robert. C’era una ragazza, là… Sì, e stavo per sposarla, ma Tok il Ragionevole, era lui il mio 489, abitava… abitava… oh, sì, era Pedder Street a Chinatown, era il padrone dell’Hoho-tok Restaurant… sì, Tok il Ragionevole e io dovevamo onorare il presidente Mao più di qualunque quai loh… Oh, io le volevo bene, ma lui diceva che erano stati i quai loh a rovinare la Cina per secoli… Sai, è vero, è vero…”

“Sì, è vero” disse Robert, assecondandolo. “Tok il Ragionevole era il tuo unico amico, in Canada?”

“Oh, no, Robert, ne ho dozzine…”

Armstrong ascoltò, sbalordito dalle informazioni sugli ingranaggi della Polizia a Cavallo, e dalla portata dell’infiltrazione comunista cinese nelle Americhe e in Europa e soprattutto sulla Costa occidentale… Vancouver, Seattle, San Francisco, Los Angeles, San Diego… dovunque esistesse un ristorante o una bottega o un’azienda cinese c’era la pressione, c’erano i fondi e soprattutto c’era la conoscenza. “… e il Wo Tuk di Gerrard Street a Londra è il Centro dove io… quando ero… Oh, mi fa male la testa e ho tanta sete…”

Armstrong gli diede l’acqua che conteneva uno stimolante. Quando lui o Crosse l’avrebbero ritenuto opportuno, avrebbe dato a Kwok il delicato, dissetante tè cinese che prediligeva, e che conteneva il sonnifero.

Poi toccava a Crosse e a Sinders decidere quel che doveva accadere, se si doveva continuare con la Camera Rossa, oppure smetterla, e poi, cautamente, riportarlo alla realtà, con estrema attenzione, in modo da non causare danni permanenti.

Tocca a loro, pensò Armstrong. Sinders ha avuto ragione di esercitare la massima pressione finché abbiamo tempo. Kwok sa troppe cose. È troppo ben addestrato e se dovessimo riconsegnarlo senza aver scoperto quello che sa… ecco, sarebbe stato da irresponsabili. Dobbiamo tenerci al corrente.

Armstrong accese due sigarette e aspirò profondamente la sua. Rinuncerò al fumo per Natale. Adesso non posso, con tutto questo orrore. Erano stati gli urli di Brian Kwok, venti minuti dopo che l’avevano messo in quella camera per la seconda volta, a mandargli i nervi a pezzi. Lui stava osservando dagli spioncini, con Crosse e Sinders, e aveva visto il pazzesco tentativo di raggiungere il soffitto che era il pavimento, e s’era stupito che un uomo forte e ben addestrato come Brian Kwok cedesse così rapidamente. “È impossibile” aveva mormorato.

“Può darsi che stia simulando” aveva detto Sinders.

“No” aveva ribattuto Crosse. “No. Non simula. Lo so.”

“Non credo che possa crollare così facilmente.”

“Lo crederà, Robert.” E poi, quando Brian Kwok era stato portato in quella stanza linda e graziosa, e la Camera Rossa era stata ripulita, Roger Crosse aveva detto: “Sta bene, Robert, provi e vedrà.”

“No, no, grazie. Sembra una scena uscita dal Gabinetto del dottor Caligari” aveva borbottato lui. “No, grazie!”

“Provi, la prego, per un minuto solo. Sarà un’esperienza importante. Gli altri potrebbero prenderla, un giorno o l’altro. Dovrebbe essere preparato. Un minuto potrebbe salvarle la ragione. La provi, per il suo bene.”

E così Armstrong aveva accettato. Avevano chiuso la porta. La camera era completamente scarlatta, piccola, ma tutto era inclinato, le linee erano tutte anomale, gli angoli erano tutti anomali, in un punto il soffitto s’incontrava con il pavimento, le prospettive erano tutte alterate, non c’era niente di normale. Il soffitto inclinato era una lastra di vetro scarlatto. Sopra il vetro, l’acqua scorreva, scendeva, veniva riciclata e tornava a scendere. Fissati alla superficie di vetro inclinato del soffitto c’erano sedie scarlatte e un tavolo e penne, e carta sul tavolo, cuscini scarlatti sulle sedie, e sembrava il pavimento, e vicino c’era una falsa porta, quasi socchiusa…

La tenebra improvvisa. Poi l’abbacinante luce stroboscopica e l’urto violentissimo dello scarlatto. Tenebra, scarlatto, tenebra, scarlatto. Involontariamente, Armstrong aveva teso brancolando le mani verso la solidità del tavolo e delle sedie e del pavimento e della porta, ed era caduto, incapace di mantenere il senso dell’orientamento, e lassù c’era l’acqua, e il vetro era sparito, c’era soltanto quella pazzesca acqua scarlatta sul pavimento lassù. La tenebra, e voci che martellavano e ancora l’inferno color sangue. Lo stomaco gli diceva che era a testa in giù, sebbene la sua mente gli ripetesse che era soltanto un trucco, chiudi gli occhi, è un trucco, un trucco, un trucco…

Dopo un’eternità, quando finalmente s’erano accese le luci normali e la porta vera si era aperta, lui era steso sul vero pavimento, scosso da conati di vomito. “Carogna” aveva ringhiato a Crosse, quasi incapace di parlare. “Aveva detto un minuto, carogna!” Ansimando, s’era alzato in piedi con uno sforzo, barcollando, reggendosi a fatica e tentando di dominare i conati di vomito.

“Mi scusi, ma è stato un minuto solo, Robert” aveva detto Crosse.

“Non lo credo…”

“Veramente” aveva detto Sinders. “L’ho cronometrato io. Davvero. Straordinario. Molto efficace.”

Armstrong si sentiva ancora rivoltare lo stomaco al pensiero dell’acqua lassù, e il tavolo e le sedie. Scacciò quei pensieri e si concentrò su Brian Kwok. Aveva lasciato che divagasse, e adesso doveva richiamarlo alla realtà. “Cosa stavi dicendo? Hai passato i nostri fascicoli al tuo amico Lo Dente di Coniglio?”

“Ecco, non, non era… sono stanco, Robert, Stanco… cosa…”

“Se sei stanco me ne vado!” Armstrong si alzò e vide Kwok impallidire. “Verrò a trovarti il mese pross…”

“No… no… ti prego, non andare… loro… no, non andartene. Ti prego!”

E Armstrong sedette, continuando il gioco, sapendo che era ingiusto, e che una persona così disorientata avrebbe potuto firmare qualunque cosa, dire qualunque cosa. “Resterò finché parli, vecchio mio. Stavi dicendo di Lo Dente di Coniglio… quello che ha l’ufficio nel Princes Building? Era lui il tramite?”

“No… no… sì, in un certo senso… il dottor Meng… il dottor Meng ritirava i pacchi che lasciavo io… Meng non ha mai saputo che io… che ero io… gli accordi li prendevamo per telefono o per lettera… lui li portava a Lo che era pagato… Lo Dente di Coniglio era pagato per darli a un altro, non so a chi… non so…”

“Oh, credo che tu lo sappia, Brian. Credo che tu non voglia che io resti qui.”

“Oh, Cristo, sì… voglio che resti, lo giuro… Dente di Coniglio… Dente di Coniglio può saperlo… o forse Ng, Vee Cee Ng, il Fotografo, lui è dalla nostra parte, è dalla nostra parte, Robert… Chiediglielo, lui lo saprà… importava il torio insieme a Tsu-yan…”

“Cos’è il torio?”

“Terre rare per… per le atomiche, per le nostre atomiche… oh, sì, anche noi avremo le bombe A e le bombe H entro pochi mesi…” Brian Kwok proruppe in una risata convulsa. “La prima fra poche settimane… la prima esplosione atomica fra poche settimane, ormai, oh, naturalmente non è perfetta ma è la prima, e presto ci sarà una bomba H, dozzine di bombe, Robert, presto le avremo per difenderci da quegli egemonisti che minacciano di spazzarci via, fra poche settimane! Cristo, Robert, pensa! E stato il presidente Mao, c’è riuscito, c’è riuscito… sì, e l’anno venturo anche le bombe H e allora sì, riavremo le nostre terre, oh, sì, con le nostre atomiche controbilanciamo le loro… sì, Joe ci aiuterà, Joe Yu ci aiuterà… Oh, adesso li fermeremo, li fermeremo, li fermeremo e ci riprenderemo le nostre terre.” Tese la mano e afferrò il braccio di Armstrong, ma la sua stretta era debole. “Senti, siamo già in guerra, noi e i sovietici, me l’ha detto Chung Li, è il mio contatto… ehm, di emergenza… c’è già in corso una guerra guerreggiata. Al nord, divisioni intere, non pattuglie, in riva all’Amur, loro, loro uccidono altri cinesi e rubano altre terre ma… ma non sarà per molto tempo ancora.” Brian Kwok si riabbandonò, sfinito, e cominciò a mormorare, delirando.

“Atomiche? L’anno venturo? Non lo credo” disse Armstrong, simulando derisione, sconvolto, ascoltando la voce che snocciolava tutto, dati e nomi. Cristo, bombe A entro pochi mesi? Pochi mesi? Al mondo è stato detto che mancano ancora dieci anni. La Cina con bombe A e H?

Lasciò che Brian Kwok smettesse di farfugliare e poi chiese, distrattamente: “Chi è Joe? Joe Yu?”

“Chi?”

Armstrong vide Brian Kwok voltarsi e fissarlo con due occhi diversi, strani, penetranti. Immediatamente, si mise in guardia. “Joe Yu” disse, in tono ancora più casuale.

“Chi? Non conosco nessun Joe Yu… no… Cosa, cosa… cosa ci faccio, qui?

Dove sono? Cosa succede? Yu? Perché… perché dovrei conoscerlo? Chi?”

“Così” rispose Armstrong, calmandolo. “Ecco, bevi un po’ di tè, devi avere una gran sete, vecchio mio.”

“Oh, sì… sì, ho sete… dove… sì… Cristo, che cosa succ… che cosa succede?”

Armstrong lo aiutò a bere. Poi gli diede un’altra sigaretta, continuò a calmarlo. Pochi istanti dopo, Brian Kwok era di nuovo addormentato. Armstrong si asciugò le palme delle mani e la fronte, esausto.

La porta si aprì. Entrarono Sinders e Crosse.

“Molto bene, Robert” disse euforico Sinders. “Davvero, molto bene!”

“Sì” disse Crosse. “Anch’io ho avuto l’impressione che si stesse riprendendo. Un tempismo perfetto.”

Armstrong non disse nulla. Si sentiva sporco.

“Mio Dio” ridacchiò Sinders. “Questo Kwok è una miniera. Il ministro sarà felice. Atomiche fra pochi mesi e uno scontro armato in corso! Non mi sorprende che la nostra delegazione commerciale del Parlamento abbia fatto tanti progressi! Eccellente, Robert, eccellente!”

“Crede al cliente, signore?” domandò Crosse.

“Assolutamente. Lei no?”

“Io credo che abbia detto quel che sapeva. Che poi sia vero, è un’altra faccenda. Joe Yu? Joe o Joseph Yu è un nome che vi dice qualcosa?” Gli altri due scossero il capo. “John Chancellor?”

“No.”

“Chung Li?”

Armstrong disse: “C’è un Chung Li, un amico di Kwok, un appassionato automobilista. Un grosso industriale sciangaiese. Potrebbe essere lui.”

“Bene. Ma Joe Yu mi è sembrato che facesse scattare una molla, in lui. Potrebbe essere importante.” Crosse lanciò un’occhiata a Sinders. “Procediamo?”

“Naturalmente.”