Ore 1,20
Il sergente gurkha teneva puntata verso il basso la torcia elettrica. Intorno a lui c’erano altri militari, il giovane tenente, i vigili del fuoco che accorrevano con uno dei loro comandanti.
“Dov’è?” chiese Harry Hooks, il comandante dei vigili del fuoco.
“Là sotto, da qualche parte. Si chiama Bartlett, Linc Bartlett.” Hooks vide la luce filtrare per circa un metro e poi arrestarsi, bloccata dal labirinto. Si sdraiò per terra. Vicino al suolo, l’odore del gas era più forte. “Ehi, laggiù, signor Bartlett! Mi sente?” gridò alle macerie.
Ascoltarono, attenti. “Sì” giunse una voce fioca.
“È ferito?”
“No!”
“Vede la nostra luce?”
“No!”
Hooks imprecò, poi gridò: “Resti dov’è, per il momento!”
“D’accordo, ma c’è parecchio gas!”
Hooks si rialzò. L’ufficiale disse: “È venuto qui un certo signor Gornt, e adesso è andato a cercare altri aiuti.”
“Bene. Sparpagliatevi e vedete se riuscite a trovare un passaggio per arrivare fino a lui, o almeno per avvicinarci al massimo.” Gli uomini obbedirono. Dopo un momento, uno dei gurkha gridò: “Qua!”
Era uno spazio angusto fra le lastre di cemento spezzate e pezzi di legname e alcune travi d’acciaio, forse sufficiente a consentire il passaggio di un uomo. Hooks esitò, poi si tolse il pesante equipaggiamento. “No” disse l’ufficiale. “È meglio che tentiamo noi.” Guardò i suoi uomini. “Eh?”
Subito quelli sorrisero e si mossero verso il varco. “No” ordinò l’ufficiale. “Sangri, tu sei il più minuto.”
“Grazie, signore” disse l’ometto, raggiante. I denti candidi balenavano nella faccia scura. Lo guardarono infilarsi sottoterra come un’anguilla.
Sei metri più sotto, Bartlett girò la testa nell’oscurità. Era in uno spazio ristretto, e il percorso verso l’alto era ostruito da un grosso pezzo di pavimento. L’odore del gas era fortissimo. Poi i suoi occhi scorsero un guizzo di luce, più avanti, di lato, e si guardò intorno rapidamente. Non sentiva altro che lo sgocciolio dell’acqua e lo scricchiolare delle macerie. Con estrema prudenza, si insinuò nella direzione dove aveva visto la luce. Quando spinse da parte alcune assi, incominciò una piccola valanga, ma ben presto cessò. Più in alto c’era un altro piccolo spazio vuoto. Salì, strisciando, e raggiunse un altro punto cieco. Provò in un’altra direzione, con lo stesso risultato. Sopra di sé sentì alcune assi malferme. Si sdraiò sul dorso e lottò per spingerle via, tossendo e soffocando nella polvere. All’improvviso la luce lo inondò. Non era molta, ma quando i suoi occhi si abituarono, gli bastò per vedere per qualche metro. La sua euforia svanì quando vide le dimensioni della tomba. Era bloccato in tutte le direzioni.
“Ehi, lassù!”
Una voce fioca: “La sentiaaamoo!”
“Adesso sono nella luce!”
Dopo un momento: “Quale luce?”
“Come diavolo posso saperlo, santo Dio?” esclamò Bartlett. Non cedere al panico, rifletti e aspetta. Gli sembrava di sentire la voce di Spurgeon. Attese, e poi la luce che lo investiva si mosse leggermente. “È questa!” gridò.
La luce si fermò di colpo.
“L’abbiamo localizzata! Resti dov’è!”
Bartlett si guardò intorno, esaminando attentamente lo spazio in cui si trovava. Guardò una seconda volta, con lo stesso risultato: non c’erano Vic d’uscita.
Nessuna.
“Dovranno scavare per tirarmi fuori” mormorò, con una paura crescente…
Sangri, il giovane gurkha, era tre metri sotto la superficie, ma lontano da Bartlett, sulla destra. Non poteva andare oltre. Il percorso era bloccato. Si girò, si afferrò a una lastra scheggiata di cemento, la smosse leggermente. Subito le macerie cominciarono a spostarsi. Sangri restò immobile e lasciò andare la lastra. Ma non poteva andare da nessun’altra parte e quindi, digrignando i denti e augurandosi che non crollasse tutto su di lui e sull’uomo sepolto là sotto, spostò la lastra. Le macerie ressero. Ansimando, infilò nella cavità la lampada e poi la testa, guardandosi intorno.
Un altro vicolo cieco. Era impossibile andare oltre. Si ritrasse, riluttante. “Sergente” gridò in nepalese, “non posso andare oltre!”
“Sei sicuro?”
“Oh, sì, signore, sicurissimo!”
Prima di andarsene, gridò nell’oscurità: “Ehi, laggiù!”
“La sento!” gridò Bartlett.
“Non siamo lontani! La tireremo fuori, signore, non si preoccupi!”
“Va bene!”
Con enorme difficoltà, Sangri si mosse a ritroso, faticosamente. Una piccola valanga lo tempestò di detriti. Continuò a risalire, deciso.
Dunross e Gornt si arrampicarono sulle macerie per raggiungere gli uomini che avevano formato una catena e rimuovevano i rottami e le travi dove potevano.
“Buonasera, tai-pan, signor Gornt. Lo abbiamo localizzato, ma non siamo vicini.” Hooks indicò l’uomo che reggeva la torcia elettrica. “È in quella direzione.”
“È molto sotto?”
“A giudicare dal suono della voce, circa sei metri.”
“Cristo!”
“Sì, Cristo. Quel poveraccio è in un brutto guaio. Guardi là!” Le pesanti travi d’acciaio bloccavano la discesa. “Non possiamo usare la fiamma ossidrica, c’è troppo gas.”
“Deve esserci un altro modo di raggiungerlo. Da un lato?” chiese Dunross.
“Lo stiamo cercando. Il meglio che possiamo fare è far venire altri uomini e sgombrare le macerie.” Hooks distolse gli occhi, nel sentire un grido incoraggiante. Corsero tutti verso i soldati. Sotto un groviglio di pezzi di pavimento che gli uomini avevano rimosso c’era un passaggio rudimentale che sembrava scendere e scompariva dopo pochi metri. Videro uno dei piccoli gurkha lanciarsi nella cavità e dileguarsi. Gli altri gli gridavano frasi d’incoraggiamento. Il percorso era agevole per i primi due metri, poi difficile per altri tre, tortuoso e incerto; poi l’uomo rimase bloccato. “Ehi, laggiù, signore, vede la mia luce?”
“Sì!” La voce di Bartlett era più forte. Quasi non era necessario gridare.
“Ora sposterò la luce, signore. Se si avvicina, per favore mi indichi a destra o a sinistra, in alto o in basso, signore.”
“D’accordo.” Bartlett vedeva un baluginio di luce in alto, sulla sua destra, attraverso la massa di travi, di plinti, di stanze sventrate. Direttamente sopra di lui c’era un caos impenetrabile di pezzi di pavimento e di travature. A un certo punto perse di vista la luce, ma poco dopo la ritrovò. “Un po’ a destra” gridò, con voce già un po’ arrochita. La luce si mosse, obbediente. “Giù! Fermo così. Adesso un po’ più in alto.” Parve che trascorresse un’eternità, ma la luce lo centrò. “Ecco!”
Il gurkha tenne ferma la lampada, la sistemò sui detriti, poi tolse la mano. “Così va bene, signore?” gridò.
“Sssììì! Ci siamo.”
“Vado a cercare aiuto.”
“Va bene.”
Il soldato risalì. Dieci minuti dopo tornò accompagnato da Hooks. Il comandante dei vigili del fuoco studiò la linea del raggio, esaminò meticolosamente gli ostacoli. “Maledizione, ci vorrà la settimana dei tre venerdì” borbottò. Poi, reprimendo la paura, estrasse la bussola e misurò attentamente l’angolo.
“Non si preoccupi, amico” gridò. “La tireremo fuori. Può avvicinarsi di più alla luce?”
“No. Non credo.”
“Allora resti dov’è e si riposi. È ferito?”
“No, ma sento odor di gas.”
“Non si preoccupi, amico, non siamo lontani.” Hooks risalì. Quando fu tornato in superficie, misurò la linea con la bussola e cominciò a camminare avanti e indietro. “È sotto questo punto, tai-pan, signor Gornt, in un raggio di circa un metro e mezzo, sei metri più giù.” Erano a due terzi del pendio, più vicini a Sinclair Road che a Kotewall. A quanto potevano vedere, era impossibile penetrare dai lati, e il fango e la terra della frana erano ammassati più sulla destra che sulla sinistra.
“L’unica cosa che possiamo fare è scavare” disse in tono deciso. “Non possiamo portare qui una gru, quindi dovremo usare olio di gomito. Tenteremo prima qui.” Hooks indicò un tratto che sembrava promettente, a tre metri da lui, vicino alla buca scoperta dai militari.
“Perché lì?”
“È più sicuro, tai-pan, nel caso che smuovessimo le macerie. Su, ragazzi, datemi una mano. Ma attenti!”
Cominciarono a scavare e a portar via tutto quello che si poteva rimuovere.
Era un lavoro durissimo. Tutte le superfici erano bagnate e sdrucciolevoli, e le macereie erano in equilibrio precario. Travi, plinti, pezzi di pavimenti, assi, cemento, intonaco, pentole, radio, televisori, cassettoni, abiti, tutto in un disordine indescrivibile. I lavori si sinterruppero quando scoprirono un altro corpo.
“Mandate qui un medico!” gridò Hooks.
“È viva?”
“Per modo di dire.” La donna era vecchia, e la casacca bianca e i calzoni neri erano laceri e sporchi di fango, i capelli lunghi stretti in un’esile treccia. Era Ah Poo.
“La gan sun di chissà chi” disse Dunross.
Gornt fissava incredulo il punto dove l’avevano trovata, un foro minuscolo in una massa quasi compatta di cemento armato in frantumi. “Come diavolo fa certa gente a sopravvivere?”
Il volto di Hooks si aprì in un gran sorriso, mostrando i denti irregolari e sporchi di tabacco. “La sorte, signor Gornt. C’è sempre speranza, finché uno può respirare.” Poi gridò: “Manda qui una barella, Charlie! Subito!”
La barella arrivò in fretta. I portantini portarono via la donna e il lavoro riprese. La fossa diventò più profonda. Un’ora dopo, circa un metro e mezzo più sotto, furono bloccati da tonnellate di travi d’acciaio. “Dovremo deviare” disse Hooks. Ricominciarono, pazienti. Dopo meno di un metro, furono bloccati di nuovo. “Deviate di là.”
“Non possiamo tagliare questa roba?”
“Oh, sì, tai-pan, ma basta una scintilla per farci diventare tanti angioletti. Venite, ragazzi. Qui. Proviamo qui.”
Gli uomini si precipitarono a obbedire…