Ingrid non pensa più nella sua lingua. Da qualche parte dentro di sé ha quest’altra risorsa, questo linguaggio a cui potrebbe ricorrere in qualsiasi momento se lo volesse, e che ogni tanto di fatto sgorga spontaneamente, in un sogno, o nel fare qualche commento; ma è represso, messo da parte; ha a che fare con i giorni precedenti Allersmead, che sono ormai così lontani. Ha a che fare con la giovinezza di Ingrid.
La Ingrid di oggi è distante da quell’altra Ingrid, che sembra davvero una persona che parla un idioma diverso. E a quella persona ne succede un’altra ancora, una Ingrid di Allersmead che è sempre bilingue, sì, ma inglobata nella cultura di Allersmead, assimilata. La Ingrid di oggi è ancora in contatto con quell’alter ego; saltuariamente l’altra Ingrid riaffiora e offre la sua testimonianza.
Rimasi sbalordita quando vidi Allersmead per la prima volta. Non sapevo che esistessero case del genere. Allora non avevo una casa, mia madre era morta da più di un anno, vivevo in un ostello, dove di giorno lavoravo come cameriera.
E prima di quello c’erano stati i vari posti con mia madre, le stanze ammobiliate e gli appartamenti, qui e là ovunque decidesse di stare, e qualche volta l’uomo che era mio padre veniva per un po’ ma non molto, e alla fine se ne andava. Mia madre aveva svariati amici maschi, molti, che arrivavano e poi ripartivano. Ricordo facce, quello con la barba e quello con i tatuaggi. Ricordo che ero a letto, e nella stanza accanto c’erano rumore di bicchieri e grida. Spesso mia madre era ubriaca. Lo era, penso, la notte che uscì in strada e una macchina la investì.
Venni in Inghilterra, credo, perché non sapevo che cosa fare, e quell’agenzia offriva lavori, e si poteva migliorare il proprio inglese. L’avevo fatto a scuola ma non un granché bene.
L’agenzia mi mandò ad Allersmead, e lì trovai Alison; anche lei era giovane, ma era una madre in tutto e per tutto, come se fosse quello che aveva sempre voluto essere, e ai tempi c’era solo Paul ma Alison disse che, naturalmente, presto ne sarebbe arrivato un altro, e altri ancora. Risate. Ha sempre riso molto, Alison. Ed era talmente diversa da quello che avevo conosciuto, mia madre, e gli uomini, e quelle stanze e quegli appartamenti per niente carini, e sempre in movimento, e il posto successivo altrettanto squallido. Cominciai a dimenticarmi di tutto, e ora lo ricordo a stento; è come guardare vecchie fotografie ingiallite. Non sarei tornata indietro, lo sapevo, ormai ero ad Allersmead, e Alison mi diceva: Ingrid, sei proprio un tesoro, non ce la farei senza di te.
Alison era tutta bambini, bambini... un marito, credo, era necessario ma non tanto importante. Nei primi anni, con Paul piccolo, e poi Gina, e Sandra, pensavo fosse strano che lei non si interessasse molto di Charles, strano che parlassero così poco. Pensavo che forse tutti gli inglesi si comportavano così, quando si sposavano. Capivo che Charles doveva essere molto intelligente, con i suoi libri, mentre Alison era... diversa.
Sei figli sono tanti, ma non per Alison. Per Alison è la famiglia che conta, e più grande è la famiglia, meglio è. E così i bambini arrivavano, uno dopo l’altro, e Allersmead è un palazzone quindi spazio ce n’era, e lui se ne andava nello studio e chiudeva la porta e non lo si doveva disturbare. Io non me ne intendo dei suoi libri. Ci ho dato un’occhiata, ma io non leggo quelle cose. E così lui scriveva i suoi libri e Alison faceva figli, e ben presto ci fu la famiglia e Alison ripeteva sempre: naturale che tu fai parte della famiglia, Ingrid, cosa faremmo senza di te? E suppongo che sia andata così. Solo forse più di quanto lei intendeva.
Lui non mi piaceva tanto, all’inizio. Alison sì. Con Alison è davvero facile andare d’accordo, non ci sono problemi: lei parla in continuazione, vero, ma non occorre ascoltarla sempre, e insieme abbiamo lavorato benissimo. C’era molto da fare allora, con tutti i bambini piccoli.
Molto da fare, ma mi andava bene. Per me, Allersmead è come dovrebbe essere una casa. Non avevo mai visto niente del genere: la casa grande, e i bambini, e il giardino, e il cane, e le cose che Alison prepara da mangiare.
Forse non era proprio che lui non mi piaceva. Non sapevo come comportarmi con lui. Non capivo il modo in cui ogni tanto parla, quando pensi che forse è per scherzo e invece non lo è. Ci si abitua, è fatto così, è sarcasmo, quindi non occorre farci caso. Ero giovanissima. È difficile tornare indietro a quando si è giovani... quella persona è un’altra. Io ero un’altra. Penso che anche lui fosse un altro.
Mi guardava. Mi accorsi che iniziava a guardarmi. Non avevo avuto molto a che fare con gli uomini. C’era stato un ragazzo prima che venissi ad Allersmead, ma non era stato niente di che.
Ora penso che quello fosse un periodo difficile per lui, per Charles. Ogni tanto beveva... si vedevano la bottiglia e il bicchiere sulla sua scrivania. Alison era impegnata con i bambini. Forse il lavoro non gli andava bene.
E lui mi vedeva in un altro modo, suppongo. E io lo vedevo come un uomo.
Abbiamo fatto sesso solo per un breve periodo. Qualche settimana, credo. La prima volta rimasi sorpresa; quasi non capii cos’era successo. Poi mi sentii in colpa. Anche lui, lo so. Lui era un po’ stravagante allora, credo. E io ero giovane e confusa, sapevo che non avrebbe dovuto, che non avrei dovuto, e poi lui disse che dovevamo smetterla, che gli dispiaceva, che aveva fatto una cosa sbagliata e dovevamo cercare di dimenticarla, e suppongo che sia stato così, ma c’era Clare.
Alison sistemò tutto. Dove sarei andata e come sarei tornata dopo e cosa si sarebbe detto ai bambini. Questa è una famiglia, continuava a dire, e Clare deve farne parte, ed era ciò che importava. È così che andò, e gli altri erano ancora tutti abbastanza piccoli e quindi non fecero molte domande né allora né dopo, salvo che poi penso che in qualche modo lo capirono, anche lei. Non starebbe bene parlarne con lei; è meglio lasciar stare. Forse lo sa, penso che lo sappia. Parlarne vorrebbe dire riaprire quel periodo e io non voglio. È passato ormai, finito, un errore. Se non che c’è Clare, e una persona non può essere un errore, lei non deve pensarlo mai e quindi è meglio non parlarne.
Posso sapere quello che so senza parlare. Posso provare quello che provo. Su Clare, su quel che è stato. All’epoca, l’ho odiato un po’, per via di tutto, e poi in un modo o nell’altro ha iniziato a non essere più così importante; Allersmead era quella che è sempre stata, e lui ne faceva parte, e anch’io, e anche Clare. Ma è continuamente presente, quello che è successo, e a volte quando sono seccata dico qualcosa, forse ho imparato da lui a essere sarcastica. Comunque, sono una persona che dice quello che le va.
So tutto, della famiglia. Ho sempre ascoltato, osservato. So cose che non sa nessun altro, e mi piace. Dico quel che mi va quando voglio, ma di alcune cose non dico niente. Li conosco tutti, tutti i figli, da quando sono nati. Paul non riesce mai a tenersi niente, non ha mai saputo dove stava andando, è stato così fin da giovane. Gina si sapeva che avrebbe sempre preso la strada che voleva, che sarebbe arrivata in alto. Sandra era come le ragazze sulle riviste di moda, persino con la divisa della scuola. Katie e Roger erano sempre insieme, ma lui badava alle sue cose, si impegnava molto a scuola, e anche Katie non ha mai dato problemi.
Clare era la più giovane, la piccolina, la ricoprivano sempre di attenzioni, forse era un po’ viziata ed è sempre stata atletica, fin da bambina, verticali e capriole, e poi in seguito ha scoperto la danza, e lo si capiva che alla fine la danza l’avrebbe portata via, e così è stato.
Io non ho mai ballato. Non so da dove arrivi, questa faccenda della danza.
Molto tempo dopo successe che me ne andai per vedere come sarebbe stato. Per vedere se potevo vivere da qualche altra parte. Ho fatto dei lavori e c’è stato un uomo per un periodo. Ma sembrava sempre di essere nel posto sbagliato. Gli raccontai di Clare e lui disse che avrei dovuto andare a prenderla, e quando lo disse mi resi conto che lui non capiva. Non capiva che non era possibile. Smisi di vederlo e alla fine tornai ad Allersmead. Sapevo che dovevo tornare, che quella era ormai la mia casa, era la nostra famiglia, come diceva Alison. E c’era Clare.
Ingrid non torna molto con il pensiero a quella volta, la volta che se ne andò. Rammenta di aver lavorato in un caffè. L’uomo lo ricorda solo vagamente. È passato tanto tempo, ma quel senso di sradicamento che provava non l’ha dimenticato, come se si fosse trovata nel posto sbagliato. E così alla fine una sera aveva varcato di nuovo la porta d’ingresso di Allersmead, valigie in mano, e fine della storia.
Se ne ricorda, ma senza dargli molto peso. Ultimamente le interessano gli ortaggi. Quest’anno coltiverà cavolo riccio, salsefrica e questo nuovo tipo di carote che sembra non prenda parassiti. Non sa come si dice «salsefrica» nella sua lingua.