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La festa di compleanno di Gina

Corinna è seduta in terrazza e guarda il giardino sottostante. È arrivata in ritardo, la festa è in pieno svolgimento. Nota di biasimo per questo, non c’è dubbio, che forse annullerà i punti di merito per essere venuta. Non è la madrina di Gina – questa è una famiglia atea –, bensì la sua «protettrice», e i protettori hanno l’obbligo di partecipare ai compleanni. «Gina ci rimarrebbe così male se tu non venissi»: il che di fatto significa che a rimanerci così male sarebbe Alison.

Bambini ovunque. Il giardino è tutto un correre di bambini. Un’esibizione della fecondità di Alison. Non proprio tutti suoi, chiaramente: ci sono gli ospiti, gli amichetti invitati da Gina. La regola di famiglia vuole che solo al festeggiato sia concesso farlo, ricorda Corinna, e non più di una manciata, essendo la famiglia già numerosa. Quindi Gina ha il manipolo di amici stabilito.

Alison è raggiante, Corinna lo vede. La madre terra. Indossa un vestito di Laura Ashley, o forse sarebbe meglio dire una tunica: una distesa di cotone a fiorami, da capo a piedi, che nasconde per bene l’assenza di figura. Non sarà che...? Oh, no, ci mancherebbe altro. E la madre terra si è fatta in quattro: il tavolo della cucina testimonia le sue fatiche. Piatti su piatti di simpatici piccoli sandwich con bandierine identificative, panini morbidi, involtini di carne, minuscoli tortini glassati in pirottini pieni di fronzoli, croccantini allo zenzero e brandy, biscotti al cioccolato e caraffe di succo di mela e limonata. E, al centro, la Torta: almeno quarantacinque centimetri di diametro, fatta in casa fino all’ultima rosellina di glassa e alla scritta in nitida grafia: «Buon compleanno, Gina». Anche se le otto candeline, immagino, verranno da Woolworth, pensa Corinna. Oh, la madre terra ha fatto la sua parte.

Perché Alison mi esaspera così? È perché lei ha sei figli e io neanche uno? Ma siamo nel 1977, e le conquiste di una donna non si misurano sul rendimento del suo ventre. Negli ambienti che frequento, dove la gente ha sentito parlare del femminismo, Alison è un anacronismo: dipende completamente dal marito, le sue capacità e i suoi talenti si limitano al cambio dei pannolini e alle torte di compleanno, mentre io sono una studiosa e un’insegnante apprezzata. Conosco Christina Rossetti meglio di chiunque altro, eccetto un fastidioso tizio di Yale che metterò a tacere quando uscirà il mio libro. Nel mondo moderno, sono io ad aver fatto conquiste, non Alison.

D’accordo, forse i figli c’entrano. In qualche modo. Ma è un qualcosa di più elementare: ha a che fare con quel sorriso inesauribile, e i suoi colpetti sulle braccia, e la sua generale mancanza di forma, e il fatto che abbia letto a malapena un libro in vita sua, e quella lieve balbuzie, e il suo maestoso compiacimento.

Perché mai mio fratello l’avrà scelta? A un tratto è comparsa e lui l’ha sposata, e subito dopo i figli sono venuti come funghi. Cosa ci ha guadagnato Charles? Del sesso strabiliante? No di certo. Tre pasti al giorno e servizio in camera all’occorrenza, quello sì. A lui non è mai stato chiesto di alzare un dito in casa. Prodezze genetiche? Be’, forse. Chissà quali oscuri e inespressi motivi l’hanno spinto. Sono l’ultima persona a poter dire di conoscere mio fratello.

Corinna ha in mano una tazza di tè, fornita da Alison: «Starai morendo di sete dopo quel viaggio, e non faremo la merenda di compleanno finché non avranno terminato la caccia al tesoro». Corinna beve il suo tè e osserva i bambini che turbinano dentro e fuori dai cespugli. Alison è in mezzo a loro, batte le mani e li incita a cercare. Ingrid spunta dalla parte del giardino dove c’è lo stagno, un bambino in grembo. Il suo compito oggi sembra tenere il neonato lontano dai pericoli. E questo quand’è arrivato? Quasi non ci si era accorti che ce n’era un altro.

E ora è apparso Charles, anche lui viene dallo stagno. Raggiunge Alison, che sta consolando uno dei bambini ancora senza premi, e si ferma vicino a lei, con un’espressione che in qualche maniera sembra del tutto assente, come se nulla di quel che lo circonda lo riguardasse più di tanto, come se fosse capitato sulla scena solo per caso. Ma, paradossalmente, a suo modo riesce a fare anche da punto focale; richiama l’attenzione, quell’uomo alto con i jeans e la camicia verde a scacchi, appena incurvato, quasi volesse mostrare condiscendenza nei confronti delle persone più basse attorno a lui, che fissa con aria vaga attraverso gli occhiali dalla montatura spessa. Eccoli lì, Alison e Charles, nel bel mezzo della loro tenuta di provincia, circondati dalla schiamazzante progenie.

Alison svolazza e fluttua. Svolazza per il giardino, insieme ai bambini; le sue gonne le fluttuano intorno; nuota in un mare di piacere. Anche i suoi pensieri svolazzano e fluttuano: giornata bellissima... sole... bambini... Sandra, non spingere Katie, ci sono abbastanza tesori per tutti... I compleanni sono sempre i più belli, povero Paul, a gennaio, avremmo dovuto pensarci prima... Paul ha l’aria un po’ sperduta, tutte queste bambine, in più le amichette di Gina... La limonata basterà?... Li mangeranno i panini con la salsa? Troppo salati, forse... Gina, fa’ in modo che i piccoli trovino dei tesori; mi sembra che Roger non ne abbia nemmeno uno... sole... bambini... ah, ecco Charles.

Smette di svolazzare, Charles le si avvicina. «Si stanno divertendo così tanto» gli dice. Ma Charles è assente, lei lo capisce, è tutto preso da questioni intellettuali, da quel che gli gira per la testa e che lei non riuscirebbe a seguire per nulla. Alison mette un braccio sotto il suo, sorride. Sorride e sorride.

«Chi sono tutte queste bambine?» chiede lui. «Quelle non nostre.»

«Sono compagne di scuola di Gina» gli risponde. «Solo sei, per il suo compleanno. Rowena e Sally e Rosie e, mmm... C’è Corinna, sta prendendo il tè in terrazza. Perché non le fai compagnia?»

Ed ecco Ingrid, che vaga nell’erba, i capelli che risplendono al sole, il bimbo in grembo. Charles si avvia. Alison sorride a Ingrid. «Clare è stanca?» si informa. «Potresti provare a metterla un pochino a letto.»

«Sta bene» replica Ingrid. «È ora di tirare fuori il gelato dal freezer?»

«Quasi» dice Alison. «Ormai hanno trovato più o meno tutti i tesori.»

È seduta in cima al pendio erboso che digrada verso lo stagno, in attesa. Il tesoro è disseminato per tutto il giardino, monete di cioccolato d’oro e d’argento. I piccoli pensano che siano state le fate, ma Gina sa che non è così: ha visto Alison, prima, che trafficava dentro e fuori dai cespugli, si allungava per raggiungere i rami degli alberi, si fermava vicino all’altalena, la panchina lunga, i gradini della terrazza. La caccia al tesoro non inizierà finché Alison non griderà uno, due, tre, via!, e adesso sono tutti pronti, disseminati per il giardino. Lei vede i loro vestiti lucenti guizzare qua e là, ciascuno appostato in quello che ritiene il proprio terreno privato di caccia. C’è Paul, laggiù vicino ai rododendri. Paul non si sta divertendo molto, Gina lo sa; non è il suo compleanno, non ha amici qui. Le dispiace, perché lei invece sprizza gioia, ma dopotutto è il suo turno. Lo aspetti un anno intero, e lui l’aveva avuto il suo, come tutti gli altri.

È felice. Non riesce proprio a crederci: il giorno è arrivato, il suo compleanno, quello che aspetti, che non arriva mai. Persino meglio di Natale, perché è solo tuo. I regali, i biglietti, il fatto di avere otto anni, non sette. Otto, otto... si rigira la parola nella bocca. Ho otto anni.

C’è papà, in piedi vicino allo stagno con Ingrid. Di solito, durante le feste di compleanno papà rimane nel suo studio con la porta chiusa, quindi Gina è contenta di vederlo. Ingrid ha in braccio Clare, e ora la stacca dal fianco e sembra offrirla a papà, ma papà non la prende. Certo che no: Ingrid dovrebbe saperlo ormai che papà non prende in braccio i bambini.

Otto. Otto, otto, otto. E il regalone per lei, da parte di mamma e papà, è una bici nuova, verde, con il campanello e le borse sopra la ruota posteriore. Compleanno. È il mio compleanno. E c’è ancora la merenda con la torta, e la caccia al tesoro. Però mamma le ha detto che non deve essere ingorda e trovare troppe monete; deve aiutare i più piccoli a scovarne, e lasciarne qualcuna per gli invitati. Gina conosce tutti i nascondigli, perché quella non è la sua prima caccia al tesoro.

Aspetta, e guarda Alison che è in mezzo al prato. Oltre lei, vede Corinna – zia Corinna, ma loro non dicono zia, solo Corinna – che è uscita in terrazza e guarda anche lei; guarda Alison, guarda tutto il giardino. E ora Alison grida uno, due, tre... e Gina avvista subito il luccichio di una moneta, lì su quella grossa pietra.

Ha cinque monete. Cinque tesori. Ma deve trovarne otto... otto come i suoi anni. Non importa se non sarà lei ad averne di più, ma ne deve avere otto. Dove può cercare ancora? Non nel boschetto grande, lì ci sono Rowena e Sally, avranno trovato tutto. Ha già setacciato l’erba alta intorno all’altalena, e l’aiuola sotto il muretto della terrazza. Corre giù lungo il prato verso lo stagno artificiale; Ingrid è seduta sul declivio erboso che lo sovrasta, intenta a giocare con Clare, e più in là Gina vede Sandra indaffarata tra i giunchi accanto al grande stagno quadrato di pietra. Sandra sta trovando qualcosa?

«Va’ via» fa Sandra. «Sto cercando io qui.»

«Posso guardare anch’io» ribatte Gina. «È il mio compleanno.»

Rovistano tra le canne, a meno di un metro l’una dall’altra. Gina allunga un braccio per cercare in un punto più fitto ed entrambe avvistano un tesoro. Sono sull’orlo dello stagno; si gettano tutte e due verso il bottino. Si scontrano, Sandra strilla: «L’ho visto prima io, è mio!», Gina tende la mano per afferrare... Ed è tutto quello che ricorda.

Non proprio tutto. Dopo c’è la nebulosa sequenza di uomini in camice che la trasportano su una specie di lettino, il volto ansioso di Alison china sopra di lei che la fissa, la bocca di Alison che si apre e si chiude, ma Gina non ha la minima idea di quel che dice, è in un altro letto da qualche parte, e la testa le fa tanto male, e qualcuno dice: «Sta’ tranquilla, tesoro, ora dormirai per un po’».

«Un’ambulanza» dice Corinna con tono secco al telefono. «Una bambina si è ferita alla testa. Allersmead, Temperley Avenue numero 14, vialetto con cancelli bianchi, sulla destra in direzione est.»

Torna in terrazza. Alison e Charles sono vicino allo stagno. Alison è inginocchiata. Charles si sta chinando. Ingrid sta radunando gli altri bambini. «Venite, venite» li richiama con voce allegra. «Entriamo ora, la caccia al tesoro è finita.» Ma non ubbidiscono. Roger dice che vuole Alison. Gli ospiti sono sconvolti e curiosi; a disagio, hanno gli occhi puntati giù verso lo stagno. Katie chiede se ora possono fare merenda. Sandra pare non essere nei paraggi. Ingrid tiene per mano Roger e tenta di riunire gli altri in terrazza. La neonata piange.

«Che cosa è successo esattamente?» chiede Corinna.

Ingrid si ferma un attimo. Il suo volto pallido e piatto è ancora più impassibile del solito. «Credo di non aver proprio visto.»

«Perché diavolo hai nascosto quella roba così vicino allo stagno?» chiede Charles.

Alison piange. Non sta succedendo. Cose del genere non accadono. Non in questa famiglia, non a lei. È soltanto un’orribile allucinazione. Tra un attimo lei riprenderà conoscenza, e i bambini torneranno a correre in giro, e sarà ora di chiamarli in casa per la merenda.

Così andò quel compleanno, di cui ciascuno conserverà ricordi diversi.

Gina ricorderà il ritorno a casa, la testa tutta fasciata. E la sua festa è finita; il compleanno è andato a monte, eliminato, cancellato. Non ci fu mai nessuna merenda di compleanno. Qualche giorno dopo mangiarono la torta e lei spense le candeline, ma non fu la stessa cosa.

Poi apparirà la cicatrice, sul lato della fronte che Gina a quanto pare aveva battuto sul bordo in pietra dello stagno. E le visite in ospedale.

«Uno sciagurato incidente» dirà Alison. «Uno sciagurato e stupido incidente. È scivolata.»

Katie dice: «Puoi avere il mio tesoro. Tutto quanto. L’ho conservato per te».

Ingrid non dice niente. Non allora.

Paul ricorderà di aver odiato le amiche di Gina, quelle bambine che facevano comunella, che sussurravano tra loro. Ricorderà i tizi dell’ambulanza, che marciavano lungo il giardino come invasori alieni. Ricorderà di aver guardato dalla finestra della camera da letto, mentre gli altri mulinavano nell’atrio e Ingrid esclamava: «Ora facciamo un gioco. Venite qui che giochiamo a passa-il-pacchetto!» Ricorderà la gente che si intrufolava in cucina e si serviva la merenda di compleanno.

Alison ricorderà la corsa in ambulanza, la sirena, il viso di Gina, le voci di estranei, i dottori, le infermiere, l’odore dell’ospedale, la lettiga che portava via Gina, l’attesa, l’attesa.

Corinna ricorderà di aver telefonato ad alcuni genitori: «Temo che la festa di compleanno si debba concludere anzitempo: Gina si è fatta male. Mi chiedevo se lei potesse venire a prendere... mmm... Sally». Ricorderà Katie che diceva: «Possiamo fare merenda adesso? Perché non facciamo merenda?» Ricorderà di aver pensato: ora lo so per certo. Non avrò figli, mai. Ricorderà l’arrivo dei genitori preoccupati, la partenza della loro prole sovreccitata, Ingrid che dice: «Oh, sono andati a casa senza i sacchettini con i regali ricordo», la neonata che piange, il cane sorpreso a divorare tartine in cucina, il ritorno infine di Alison (agitata) e Charles (irritato). Ci sarebbe voluto un bel po’ prima che lei facesse di nuovo visita ad Allersmead.

Sandra ricorderà di non essersi sentita bene.

Charles ricorderà di aver detto ad Alison: «Fa’ riempire quel maledetto stagno».

Katie, Roger e Clare non ricorderanno nulla.