Katie non ha otto figli. Non ne ha nemmeno uno. Roger non è un pilota della British Airways: fa il pediatra in un ospedale di Toronto. Katie ha preso un volo da Boston per andare a trovarlo perché lui compie gli anni e lei è infelice, ha bisogno di scappare via per un paio di giorni; le serve una dose rapida di famiglia, di quel pezzetto di famiglia in particolare. Festeggiano pranzando nel ristorante in cima alla CN Tower, il che si sta rivelando un errore perché Katie scopre di soffrire di vertigini. Si deve sedere dando la schiena alla vista stupenda, che è l’unica ragione di quel posto.
«Be’, adottatene uno, allora» dice Roger.
«Oh, ci abbiamo pensato. Naturalmente. Io lo farei, ma Al non è così entusiasta. Pensa che potrebbe non... Oh, non ho proprio idea di quel che pensi.»
«Avete provato tutto?»
«Tutto» risponde Katie cupamente. «Fecondazione artificiale... tutto quanto. Ogni esame possibile, abbiamo tentato ogni strada. Pare che sia io, tra l’altro, non lui. Il che è peggio, in un certo senso.»
Roger annuisce. «Già. Immagino come tu ti senta. Anche se non dovresti.»
«Verrebbe da pensare che avrei dovuto ereditare un po’ della fertilità di famiglia, no?»
«Non funziona così, temo. In effetti, riflettendoci, nessuno di noi è ancora arrivato a riprodursi.»
«Gina non avrebbe tempo. Sandra non ce la vedo con dei bambini... le rovinerebbero il look. Nemmeno Clare. Paul... be’, meglio di no, direi. E tu?»
Roger allarga le braccia. «Sto aspettando la donna della mia vita. Ma si direbbe che non si voglia presentare.»
«Scusami se sono una lagna» dice Katie. «Ma va bene. Supereremo la cosa. La supererò. Al ci è riuscito più o meno, credo.»
«Esiste una categoria di donne per cui avere un figlio, dei figli, è l’unica cosa che conta. Lo so, le vedo. Non penso che tu sia come loro.»
«So chi lo era» dice Katie dopo un istante. «Mamma.»
Roger annuisce.
«Mamma senza bambini è inimmaginabile. Mentre papà...»
«A papà siamo capitati» interviene Roger.
«Oh, andiamo. Non è successo mica per partenogenesi.»
«Escludendo l’astinenza, immagino che non avesse molta voce in capitolo.»
Katie sembra lievemente scioccata. «Vuoi dire che mamma continuava a fare figli per soddisfazione personale?»
Roger si stringe nelle spalle. «Forse. O semplicemente per mancanza di precauzioni?»
«Quello no» replica Katie. «L’idea era che più si è, più si è felici.»
«Davvero. Fin troppo.»
Si guardano per un momento.
«Già» riprende Katie. «Quindi papà è stato sfruttato alla grande oppure... ehm, si opponeva?»
Roger riflette. «C’è la faccenda del compleanno di Paul.»
«Era incinta, vuoi dire?»
«Be’, è presumibile.»
«E allora?» ribatte Katie. «Sono incidenti che capitano.»
«Sarebbe meglio di no.»
«Oh!» esclama lei. «Non dovresti dire così.»
Roger inclina la testa. «Si sa. Un vecchio trucco.»
«Ma mamma...»
Hanno entrambi l’impressione che i genitori gravino su di loro, presenze assolutamente conosciute, familiari, eppure anche irraggiungibili, enigmatiche.
«In un modo o nell’altro, lei faceva fare alla gente quel che voleva» dice Roger.
Katie obietta: «Non è vero. Non era così organizzata. E papà non ha mai fatto nulla che non volesse. Si teneva in disparte».
«O forse pensava che fosse l’unico posto in cui stare.»
«Non è esattamente come la vedo io. Entrava in quello studio e alzava il ponte levatoio. Era lei a fare tutto. Lei e Ingrid.»
«Un harem? O un grandioso esercito di donne?»
«Roger, dai...»
«Tutte e due le cose? Chi può dirlo... Non possiamo saperlo.»
«Noi c’eravamo» replica Katie.
«Eravamo in sei. Nove. Racconteremmo tutti la stessa storia? Prendi quell’estate in Cornovaglia. Crackington Haven.»
Tornano con il pensiero a un agosto morto e sepolto, anche se non del tutto, che risplende nelle loro menti, e si presume in altre menti... un assemblaggio di immagini, di mare e rocce e sabbia, visi e voci, cose dette e fatte, viste e pensate.
«Oddio» dice Katie. «Fu un casino dopo l’altro. Paul e la polizia. Sandra che continuava a svignarsela con quel ragazzo. L’arrivo dell’uomo di Ingrid.»
«Al contrario, fu un’estate pazzesca. Avevo quell’aquilone. Mi appassionai tantissimo alla biologia marina.»
«Cose morte e puzzolenti nei secchi. Quelle sì che me le ricordo.»
«La polizia?» chiede Roger. «Ragazzo? Uomo? Sì, ho un vago ricordo di lievi interferenze, ai margini del campo visivo. È questo che ho nella mente, capisci? È chiaro che la tua Cornovaglia non è stata la mia Cornovaglia. Né, immagino, quella di nessun altro. Quella di mamma. Di lui.»
La Cornovaglia balugina come un vecchio film riproiettato, consunto dal tempo.
«Quindi chi ha ragione?» domanda Roger. «Chi ha la visione completa?»
La casa che hanno preso in affitto per le vacanze ha cinque camere da letto. Una per Paul e Roger, una per Katie e Clare, Gina e Sandra (controvoglia), Charles e Alison. Soltanto Ingrid ha una stanza tutta per sé, ma è un angolino minuscolo, accanto alla cucina, forse un tempo una dispensa. L’intera casa è stracolma di mobili: pesanti poltrone addossate le une alle altre nel grande salotto, una selva di tavolini, portariviste e pouf tra cui farsi strada. La veranda-sala da pranzo con vista sul mare ha sedie di plastica bianca impilate e un tavolo d’abete. La cucina è poco attrezzata, ma non è un problema perché Alison si è portata la sua batterie de cuisine, le pentole e le casseruole preferite, i coltelli, gli attrezzi. I materassi sui letti hanno tutti la copertura di plastica; Alison la trova disgustosa e la toglie. C’è una foresta di piante di falangio su ogni superficie occupabile del salotto; lei le confina nel guardaroba, che è ingombro di impermeabili pieghevoli (strappati), palloni da spiaggia (forati) e secchi (bucati), abbandonati da altre persone. L’eredità dei precedenti inquilini include uno scaffale di libri tascabili (che Charles passa in rassegna con disdegno) e resti quali carte da gioco finite sotto sedie e credenze, uno shampoo dimenticato nella doccia, riviste, una cartolina dal Portogallo indirizzata a una certa Ella che informa che Joey ha imparato a nuotare, un cappello da sole di cotone rosa con un decoro di margherite.
Gina osserva le riviste, la cartolina e il cappello da sole e cerca di immaginarne i precedenti proprietari: com’erano le voci e i volti del mese scorso?
Sandra esamina lo shampoo e lo cestina: una sottomarca.
Paul trova un orario degli autobus sulla mensola sotto il telefono e si rianima.
Crackington Haven è una piccola località: una manciata di case e cottage, in gran parte affittati per l’estate, un negozietto, un paio di furgoncini per i gelati e un venditore ambulante di hamburger. Niente caffè, pub o centri commerciali, motivo per cui Alison l’ha scelta. Un delizioso posticino per famiglie, relativamente intatto, fuori mano, solo un mare splendido e la graziosa spiaggetta e stupende passeggiate lungo le scogliere.
Ci sono alcune cose di cui non ha tenuto conto: l’orario degli autobus, il telefono, gli altri villeggianti.
La vita di Roger è vincolata alle maree. Gli serve la bassa marea. Ogni giorno, ogni ora, aspetta il suo arrivo. Per prima cosa esce a verificare la situazione. Onde che si increspano fin sulla spiaggia sono una cattiva notizia: alta marea, e ci vorranno ore perché si ritiri, ore prima che riaffiorino le cavità sugli scogli, ore prima di potersi mettere in posizione e di buona lena, sguardo in giù, retino in mano, secchi e barattoli allineati su un comodo sasso piatto.
Di sera studia attentamente il libro, la guida al litorale marino. Sta diventando bravo nel dare un nome a ciò che trova sulla spiaggia. Ha un taccuino, su cui elenca quel che ha catturato e identificato. Le prede del giorno palpitano, strisciano e si contorcono nei barattoli che Alison insiste debbano essere lasciati fuori. Di mattina le riporta tutte nel loro ambiente, ma spesso c’è qualche perdita. Gli dispiace, però l’indagine scientifica richiede necessariamente un certo distacco. È immerso, assorto, distante in quella sua frenesia conoscitiva. Non pensa che ad anemoni e ricci di mare, patelle e buccine, gamberetti e lumache di mare. Ha preso una porania e una granceola, un doridide e una motella. È alla disperata ricerca di una bavosa occhiuta. Il manuale lo mette a dura prova: le sue illustrazioni propongono attraenti creature che non ha ancora incontrato. Deve trovare un paganello e una necora. Ce la farà prima che finisca la vacanza? Non può permettersi di perdere nemmeno un attimo di bassa marea, persino quando soffia il vento e anche l’aquilone lo alletta. Le giornate migliori sono quelle in cui vento e alta marea coincidono, quando può andarsene sulla scogliera con l’aquilone che danza su in cielo e il mare in attesa di essere setacciato.
Modiolo? Nucella? Si accovaccia fuori dalla porta della cucina, gli occhi puntati nel secchio, il libro aperto lì accanto. Sente la voce di Alison, un rumore di sottofondo a cui è insensibile, irrilevante quanto un moscone sul vetro di una finestra. «Dov’è Paul?» sta gridando. «Dove diamine si è cacciato? Qualcuno ha visto Paul?»
Sandra è distesa sulla sabbia fin dal mattino, con indosso il suo bikini rosa. Ogni volta che il freddo si fa insopportabile, si mette a sedere e si avvolge nel telo, lo sguardo puntato verso l’estremità della spiaggia dove è accampata la famiglia del ragazzo, e dove lui sta tirando qualche svogliato calcio a un pallone con un fratello più piccolo.
Sta funzionando. Non soffre invano. Il ragazzo guarda sempre più spesso dalla sua parte. La palla rimbalza in continuazione verso di lei. Una volta, le sfiora le gambe. «Scusa!» urla lui. Sandra gli lancia un’occhiata scintillante, di traverso.
È il giorno numero tre. Il numero uno è stato un disastro. La spiaggia non aveva altro da offrire che ragazzini che costruivano castelli di sabbia, cani che bighellonavano e genitori che innalzavano paraventi e delimitavano territori. Lei se ne stava seduta immusonita su una pietra, in pantaloncini e felpa, a guardare il mare con aria torva. Altre famiglie vanno nell’Algarve o a Maiorca, dove c’è il sole vero e ci si può abbronzare decentemente; noi dobbiamo venire in questa cavolo di Crackington Haven.
Alla fine del giorno numero due tutto cambia. L’ha individuato. Diciotto anni, probabilmente, forse anche diciannove. Proprio carino. D’un tratto Crackington Haven assume un altro aspetto. Il sole non è debole come sembrava; la spiaggia e le scogliere sono davvero bellissime. Ora è solo questione di bikini rosa e perseveranza.
Katie sa dov’è Paul. Paul è a Bude, oppure ci sta andando. Lo sa perché l’ha incontrato alla fermata dell’autobus. «Tu non mi hai visto, capito?» le dice, e ora lei si trova in difficoltà, mentre Alison schizza da una parte all’altra della casa sempre più preoccupata. A chi dei due dovrebbe essere leale?
Paul è in punizione quest’estate per via dei problemi a scuola. Non ce l’ha fatta a entrare in quella che Alison chiama «una delle università perbene» e sta facendo un corso di ingegneria in un posto che definisce una merda totale, ma che di fatto gli va abbastanza a genio perché non rompono tanto le scatole. Forse è per questo che ci sono stati problemi. Quello di grado minore è che Paul non si è applicato ed è stato bocciato agli esami di fine anno. Quello di grado maggiore viene nominato da Alison solo sottovoce e in disparte con Charles, ma Katie sa che cos’è, e anche Sandra lo sa, e anche Gina. Paul è stato sorpreso a drogarsi. Di conseguenza deve passare l’estate in punizione; deve seguire corsi serali di recupero tenuti dall’amministrazione locale e deve rendere conto dei suoi spostamenti. Bude non è prevista.
La cena è pronta e Alison non la smette di lamentarsi. In effetti, per come stanno andando le cose, la cena resterà in sospeso per tutti e Alison parlerà al telefono con le guardie costiere. Sono passati solo tre anni dall’episodio di Paul bloccato sulla scogliera e del suo salvataggio. Katie si rende conto che il buonsenso impone un’unica linea di condotta: deve tradire Paul.
Anche a Clare serve la bassa marea. Le serve quella distesa di dura sabbia bagnata. E comunque se ne dovrà contendere il possesso con la famiglia che gioca a cricket e il gruppo di pallavolisti.
Fa la verticale. Cammina sulle mani. Fa la ruota. Gira e rigira finché Crackington Haven non le ruota tutt’attorno e, quando infine si ferma, barcolla.
Ha trovato un’amica. Emma. Emma è negata per le verticali e le ruote, ma le fa da pubblico, e scava una buca con lei, quando Clare smette con le ruote... momentaneamente.
«E così è andato a Bude...» dice Gina. «E con ciò? Non è Las Vegas. Ha diciannove anni, mamma.»
«Avrebbe dovuto dirlo. Lo sa quali sono i patti. Quali sono le regole. Avrebbe dovuto discuterne. Ci saremmo potuti andare tutti insieme, una gita di famiglia. Non c’era bisogno che partisse tutto solo. Bude è orribile, a detta di tutti: folle di gente, e negozi e bar di infimo ordine. Ci si ritrovano quei motociclisti vestiti di pelle, pare, e lo sa il cielo cos’altro. È proprio per questo che siamo venuti a Crackington Haven.»
La veranda-sala da pranzo riecheggia dello sgomento di Alison. Per chi non è interessato, la cena prosegue. «Ce n’è ancora?» chiede Roger. Sandra si è appena accorta con orrore di essersi dimenticata di togliere l’orologio mentre prendeva il sole e ora ha il segno del cinturino.
Gina si gira verso Charles. «Tu cosa ne pensi, papà?»
Una sfida. Che richiede di prendere posizione, in un modo o nell’altro.
Charles sembra riflettere. «Non sono mai stato a Bude.»
«Oh, ma sì!» esclama Alison. «Ci siamo andati la volta che avevamo bisogno di una marmitta nuova per la macchina. Ma non è questo che importa. È il principio. Lui lo sa.»
Gina sospira. Ci siamo già passati. Molte volte. Mamma che perde la testa (e di solito per colpa di Paul); papà che sta a guardare.
Alison continua per un bel pezzo. Quando prende fiato, interviene Charles. Dice: «È probabile che Paul ritornerà, prima o poi. A quel punto se ne potrà discutere». Accosta coltello e forchetta sul piatto, si alza e lascia la tavola.
Gina lo osserva. E se avesse ragione? Qual è il punto di vista di papà? Sentiamo sempre la campana di mamma, ma lui come la vede? Cosa c’è da vedere?
Charles ha portato con sé in vacanza tre scatole di libri, la sua macchina per scrivere e una risma di fogli. Questo bagaglio, insieme a quello degli altri, gli attrezzi da cucina di Alison, la chitarra di Paul e altri oggetti indispensabili hanno riempito a tal punto la macchina di famiglia – un furgoncino Volkswagen a dieci posti – che tutti salvo Charles, Alison e Clare hanno dovuto viaggiare in treno.
Charles ha intenzione di lavorare, per quanto gli sarà possibile. Ha sempre trovato le vacanze estive particolarmente gravose. Non ha un suo studio in cui ritirarsi, non si può esimere da una dose di attività comuni (l’epoca dei castelli di sabbia, grazie a Dio, è finita), deve partecipare alle escursioni nelle località di interesse. In realtà queste ultime non gli dispiacciono del tutto – un castello o una dimora signorile vanno bene –, ma la definizione di «località di interesse» è oggetto di appassionate discussioni in famiglia: ha le stesse probabilità di ritrovarsi su una pista di pattinaggio sul ghiaccio o in un parco divertimenti. Gli piace camminare e lo fa, sebbene in genere da solo, visto che l’idea di passeggiare per diletto non ha presa sui figli, e ad Alison viene il fiatone quasi subito.
Ha quarantasette anni. Non ha mai fatto caso più di tanto all’età, ma talvolta gli capita di riflettere su quel numero: un bel po’ di vita sembra essere scivolata via. È ragionevolmente soddisfatto dei risultati raggiunti, ma ha la sensazione che il suo magnum opus debba ancora arrivare. Che cosa sarà? Lui è noto per il suo eclettismo. È in attesa, in attesa che un nuovo e travolgente interesse gli piombi addosso. Nel frattempo ha in ballo una cosa sui poeti romantici; un po’ divulgativa, a dire il vero. Cercando ispirazione, Charles passeggia sulle scogliere attorno a Crackington Haven, pensando alla reviviscenza del romanticismo.
O per lo meno ci prova. Ma oggi ci sono elementi di distrazione. È distratto dal panorama: la flotta di nuvole che veleggia serena, la tenue linea dell’orizzonte su cui poggia la sagoma grigia di una nave, il mare che striscia – per dirla con Tennyson – laggiù sotto la scogliera. È distratto dalla scenata della notte scorsa con Paul, che non gli esce dalla mente. Ed è distratto da pensieri che non hanno attinenza con i poeti romantici ma che traggono origine proprio dalla loro esistenza: la concomitanza delle cose, il fatto che i romantici continuino a dire qualcosa perché lui e una quantità di altre persone si interessano a loro... anche a Tennyson, se è per questo, il mare è per sempre legato alle sue parole se uno ha quel genere di inclinazione. Concomitanza, giustapposizione, l’assenza di un qualsiasi ordine consequenziale.
Potrebbe celarsi in questo il magnum opus? Se è così, lo fa con abilità: Charles non riesce a spingersi al di là di quella singola e affascinante intuizione. E stranamente quell’intuizione si traduce in un’immagine dei suoi figli, che vede all’improvviso come creature multiple, ciascuno di loro tuttora presente in molte versioni – più piccoli, più grandi, neonati, rozzi adolescenti – ognuna delle quali rievocabile a piacimento.
Ci riflette mentre avanza con cautela lungo il sentiero della scogliera, oltrepassando macchie di statice, boschetti di ginestra spinosa, affioramenti simili a giardini rocciosi, di cui non nota nulla, assorto in quei pensieri. Gli viene in mente che con un simile problema di ordine, di successione, se è di questo che si tratta, se la caverebbe meglio un romanziere rispetto a un serio lavoratore analitico come lui.
Ingrid riceve una telefonata. Parla per un po’ a voce bassa, nella sua lingua.
Ingrid dice: «Una persona che conosco è in Cornovaglia e vorrebbe venire qui per qualche giorno. Va bene?»
«Certo» risponde Alison. «Che bello. Non le scoccerà sistemarsi nella tua stanza, vero? C’è una brandina pieghevole in più.»
«Non gli scoccerà per niente» replica Ingrid.
La fissano. Sandra si porta la mano alla bocca; è stupefatta... be’, chi l’avrebbe detto?
Alison sbatte le palpebre. «Oh. Sì... D’accordo, allora.»
Solo Charles non reagisce. Forse non ha sentito.
Alison è oppressa dall’età. Non la sua. Quella dei figli, che non sono più bambini, salvo Clare, e forse Roger, che è sul confine. Gli altri stanno scomparendo oltre l’orizzonte e lei ne è atterrita. Non dovrebbe succedere. Non ancora. Oh, ovvio che crescono, ma in un certo senso si ha sempre l’impressione che accadrà un giorno lontano, lontanissimo. E ora, d’un tratto, quest’estate, non lo è più. Non sono soltanto le loro dimensioni, le loro nuove preoccupazioni: è la sensazione che stiano partendo per un territorio estraneo, per luoghi di cui lei non sa nulla. Prima erano infinitamente familiari, prevedibili; ora sono mutevoli in modo inquietante. Non si sa a cosa pensino o, per gran parte del tempo, cosa facciano.
Paul. È stato traviato, non c’è dubbio. Si è imbattuto in qualche brutto tipo in quella scuola. L’hanno fatto diventare un altro. Questo non è il Paul che conoscevamo, mascalzoncello ogni tanto ma niente che non si potesse affrontare. Degli estranei, dei malintenzionati gli hanno fornito la droga e l’hanno distratto dallo studio, trasformandolo in uno che pensa solo a prendere l’autobus per Bude anziché passare una magnifica vacanza con la famiglia.
Sandra e quel ragazzo sulla spiaggia.
Katie non dà reali motivi di preoccupazione, ma è altrettanto sconcertante, in maniera diversa. È alta quanto Alison, le è cresciuto il seno, ha una sua pacata risolutezza. Non si può più dirle quel che dovrebbe fare. È probabile che l’abbia già fatto, o che abbia fatto altro.
E Gina. Il modo in cui parla, ora. Ogni tanto Alison ha la sensazione che Gina sia di fatto molto più adulta della sua età. Molto più sveglia. Sa molte più cose. Gina tiene testa a Charles: discute con lui, ha opinioni proprie. Non che sia sgarbata o cose del genere, è solo diventata la persona che è. Una persona che sembra avere un legame ormai debole con la piccola Gina e che fa sentire Alison inadeguata. Ora in un certo senso lei è ai margini, e cerca di dire la sua, di farsi ascoltare. In passato, di lei avevano bisogno, persino Gina. Adesso non più. Non soltanto sono autosufficienti, ma stanno precipitosamente scivolando in nuove versioni: ci sono momenti in cui li riconosce a stento.
Ingrid.
Quell’uomo. Non sarà come quell’altra volta, vero?
Oh, la vacanza sta uscendo dai binari. Alison ne ha perso il controllo; ogni giorno ci sono sovvertimenti, intrusioni. Malgrado tutta l’accurata programmazione... la casa prenotata addirittura in gennaio, le liste di cose da portare, la Volkswagen riparata, i biglietti del treno fatti, le escursioni pianificate.
Alison è al tavolo della cucina a tirare la sfoglia, osserva la pioggia che scorre serpeggiando lungo il vetro della finestra e riduce la collina di fronte a una tremolante macchia verde. Per lo meno quando piove si sa dove sono tutti. Paul è ancora a letto, gli altri sono sparpagliati per quel salotto impossibile, separati tra loro da mobili panciuti. Gina ha i piedi sul divano, legge. Roger è seduto sul pavimento con il suo libro sulla natura e il quaderno, e uno di quei secchi che dovrebbero rimanere fuori. Katie scrive una lettera. Sandra si sta mettendo lo smalto sulle unghie dei piedi. Clare è nell’unico spazio sgombro a dimenarsi al frastuono metallico che fuoriesce dal walkman preso in prestito da Sandra.
Charles è nella loro camera da letto, che funge anche da studio.
Ingrid sta sbucciando patate sul lavello e canticchia tra sé. Non è un suono consueto. Che avrà da canticchiare?
Alison ritaglia un cerchio di pasta e lo mette sulla tortiera già riempita con manzo e rognone. Arriccia il bordo, dispone un fiore di pasta al centro, fa un paio di tagli per l’aria. Quindi si lava e asciuga le mani, e si toglie il grembiule.
Attraversa la stanza ed entra in salotto, allegra, animata, energica.
«Che ne dite di una partita a Scarabeo?»
Alison e Ingrid sono in cucina a mettere insieme il pasto successivo. Ad Alison cade di mano il coltello; ha i nervi a fior di pelle, pare.
Dice: «Certo, Jan è delizioso, ma cos’è che fa a Londra?»
Ingrid risponde che studia.
Alison si mostra sorpresa. Aveva pensato che, be’, avesse un lavoro; li ha passati i trenta, o no? Ma, naturalmente, è vero che alcuni continuano a studiare per parecchio. Di cosa si occupa?
«Di linguistica» replica Ingrid.
Alison suppone che Ingrid, be’, ogni tanto lo frequenti quando va a Londra.
Ingrid è stata a Londra diverse volte ultimamente. Si pensava che avesse scoperto di amare l’arte e andasse in giro per gallerie.
Ingrid dice con tono piatto di averlo frequentato molto, Jan. «Ci piace andare alle mostre.»
La linguistica c’entra qualcosa con l’arte? Alison decide di non addentrarsi, e anche di tenere un atteggiamento cordiale e neutro. «Be’, è una bella cosa» commenta. «Che dici, abbiamo preparato abbastanza patate?»
Jan è massiccio e silenzioso. Ha il viso coperto da una barbetta bionda, e un’aria sorprendentemente stagionata per uno tanto dedito allo studio. È arrivato a cavallo di un’antiquata e scoppiettante motocicletta, su cui partono per le loro spedizioni, Ingrid aggrappata a un gancetto di metallo sul sellino posteriore. Jan sorride molto ma parla poco. La Cornovaglia è bellissima, conviene. Sì, gli piace tantissimo il mare. Dopo l’iniziale stupore per la mossa di Ingrid, nessuno eccetto Alison si interessa più di tanto a Jan. Quasi tutti hanno altri pensieri per la testa.
In un piccolo anfratto erboso sulla scogliera, ben riparato dal sentiero da una fila di arbusti, Sandra perde la verginità. L’evento è un po’ deludente: frettoloso, pasticciato e vagamente imbarazzante. Spera non significhi che il sesso non è tutta questa gran cosa di cui si parla, ma sospetta che lui sia inesperto quanto lei, benché sostenga il contrario. Probabilmente miglioreranno.
Gina legge, scrive e aspetta. Aspetta i risultati degli esami di fine liceo, da cui dipende la possibilità di iscriversi a York, e nel frattempo legge Guerra e pace perché questa è la sua ultima occasione – sarà troppo impegnata da ottobre in avanti, e forse per il resto della vita –, e scrive un diario. Non è una raccolta di pensieri intimi, bensì un archivio delle sue reazioni agli avvenimenti attuali. Ultimamente sta pensando che potrebbe darsi alla politica, nel qual caso deve mettere in chiaro la sua posizione riguardo a una serie di problemi contemporanei. Soffre molto la mancanza di informazione, quaggiù; ha la sua radio, ma è difficile procurarsi i giornali a Crackington Haven, e lei ha bisogno di storie stampate su carta. Il negozietto del paese non tiene il «Guardian», le poche copie del «Telegraph» alle nove e cinque sono già sparite, e in ogni caso Gina non si farebbe vedere nemmeno morta con in mano il «Telegraph». Chiede a Paul di portarle un giornale quando torna dalle sue incursioni a Bude, ma lui di solito se ne dimentica.
Di notte, prima di spegnere la luce, lei assiste alla battaglia di Borodino, mentre Sandra è immersa in «Cosmopolitan», trincerata dietro il suo walkman. Vanno d’accordissimo se non si prendono la briga di parlare troppo. Il silenzio può essere davvero piuttosto confortevole. E Sandra è di ottimo umore. Gina sa perché. Sa del ragazzo di Sandra. Sarebbe quasi impossibile ignorarli, sono inseparabili, a sbaciucchiarsi dietro le rocce o a ciondolare su e giù per il sentiero della scogliera. Sono stati a Bude insieme: lui ha la patente e ha avuto il permesso di prendere la macchina di casa. A Bude sì che c’è vita, dice Sandra... nella misura in cui la si può definire tale, in Cornovaglia.
Gina si ritrova a pensare che questa probabilmente è l’ultima vacanza di famiglia, o almeno l’ultima a cui lei prende parte. L’anno prossimo a quest’ora sarà all’università, e quando si è all’università le vacanze si passano in giro per l’Europa con lo zaino, no? È quello che dovrebbe fare Paul, a essere giusti, se non fosse relegato qui per via del casino a scuola, senza un soldo, con l’unica opzione di rimanere incollato alla famiglia. A Gina dispiace, ma è anche preoccupata per lui. Si è fatto di droga, non si discute, e forse se ne fa ancora, alla minima occasione. L’idea era di trovargli un lavoro estivo, e in effetti aveva passato una settimana a riempire gli scaffali del supermercato vicino a casa finché non aveva risposto male al direttore e l’avevano licenziato.
«Hai fatto una cretinata» gli aveva detto lei. «Avresti dovuto tenere duro.»
Lui aveva scrollato le spalle. «Era un lavoro di merda. A che pro?»
«Soldi» aveva risposto Gina. «Un lavoro retribuito. Dobbiamo arrivarci tutti.»
Paul aveva alzato gli occhi al cielo. «Non ancora, Cristo.» Poi le aveva fatto un gran sorriso. «Che ne dici di portarmi al pub dopo cena? Possiamo dire a mamma che ce ne andiamo a fare una passeggiata.»
Gina ritiene che bisognerà trovare una soluzione per Paul, prima o poi, ma lei non è il custode del fratello, e comunque ha già abbastanza a cui pensare, tra i risultati degli esami che stanno per arrivare, la prospettiva di York – incrociando le dita – e la consapevolezza, che inebria anche se fa riflettere, di trovarsi di fronte a una svolta, di essere sulla soglia di un nuovo mondo, una nuova vita, in cui non ci saranno più agosti in Cornovaglia, né l’opprimente abbraccio di Allersmead.
Katie è preoccupata. La preoccupano i brufoli che le spuntano, la matematica – è sicura che sarà bocciata in matematica agli esami delle medie –, il fatto che mamma quest’estate sia così ansiosa, anche se nessuno degli altri sembra notarlo. La preoccupano anche queste sue preoccupazioni: le ingigantisce, dovrebbe rilassarsi di più, come Gina e Sandra, anzi come Paul, che è praticamente sempre in posizione orizzontale, e neanche quello è un gran bene.
Mamma è nervosa per Paul. Continua a squagliarsela a Bude e lei non è in grado di impedirglielo. In teoria lui è senza soldi, ma chissà come ne ha; dice che va a fare surf, ma Paul non ha mai mostrato il benché minimo interesse per il surf prima d’ora. Così ogni volta mamma è in agitazione finché non torna. In più, per qualche motivo è seccata dal fatto che Ingrid abbia fatto venire in casa quell’uomo. È eccessivamente carina con Jan, e anche con Ingrid, ma è abbastanza evidente che non è contenta di come vanno le cose. Le dà fastidio che loro abbiano, be’, è chiaro, una relazione? Di certo no. Ingrid è una persona adulta dopotutto, molto adulta, in un certo senso. Forse mamma pensa che Ingrid se ne andrà? Come quella volta (di cui Katie ha soltanto un ricordo piuttosto vago), e comunque alla fine è tornata, no?
E mamma è inquieta anche per Sandra e quel ragazzo. Tutto il tempo che passano insieme, quello che potrebbero combinare... il che è abbastanza chiaro, francamente. Lo fanno; Katie ne è quasi sicura. Quindi è naturale che mamma stia sulle spine per paura che Sandra rimanga incinta. Katie è un po’ in ansia anche per questo. Sarebbe un problema serio. Se non che, nel momento in cui ci fosse un bambino in carne e ossa, mamma non farebbe che prenderlo e inglobarlo nella famiglia, o no? Ma non succederà, perché Sandra troverà il modo per evitarlo. Le ragazze come Sandra non rimangono incinte.
Ma papà starà almeno notando qualcosa? Sembra essersi accorto di Jan, ma solo perché è una persona nuova con cui parlare a tavola, salvo che Jan non replica. Papà espone il suo punto di vista su un argomento qualsiasi e Jan annuisce e fa: «Ah, davvero, sì». Mamma è riuscita a coinvolgere papà nella prima litigata con Paul su Bude, ma c’è da dire che non è lui quello che chiede in continuazione dov’è Paul e se qualcuno ha visto Paul. E il ragazzo di Sandra non rientra nemmeno nel suo panorama.
Papà non è come gli altri padri... non è una novità. Meglio così. Chi lo vorrebbe un padre in serie? Non ha mai fatto le cose da padre tipo giocare a calcio con i ragazzi. Ripensando al passato, lui c’era ma al contempo non c’era; per un qualche motivo, non si andava a dire i problemi a papà, anche se a onor del vero lui si faceva parecchio sentire quando si trattava di questioni che riguardavano la scuola. Gli altri padri escono per andare al lavoro; papà va nel suo studio. E dal suo studio, a tempo debito, spunta un libro.
Katie ha provato a leggere un paio dei libri di papà. Trova che sia il tipo di lettura in cui segui le parole, con scrupolo, riga dopo riga e pagina dopo pagina, e all’improvviso ti rendi conto che non ti è rimasto nulla che tu possa riassumere. E la colpa è tua, ovviamente: non sei abbastanza sveglio, o abbastanza grande.
Non siamo una famiglia comune, pensa Katie. Siamo così tanti, ed è quasi sempre mamma a occuparsi di noi, ma capita perché lo vuole lei e papà è una specie di figura accessoria, o è papà a chiamarsene fuori? E abbiamo quella che dovrebbe essere la ragazza alla pari, ma al tempo stesso non lo è perché c’è da sempre, e immagino che la cosa appaia bizzarra, dall’esterno.
Ma sono le altre famiglie a essere strane. Due figli, e genitori sincronizzati. La normalità ognuno la vede a modo proprio.
Charles mal sopporta la prossimità. La prossimità della famiglia, che qui è molto più intensa rispetto ad Allersmead con i suoi spazi relativamente ampi; la prossimità del mare, che dovrebbe prestarsi di per sé alla ricerca del romanticismo ma non lo fa. Si ritrova a pensare, con irritazione, che i romantici per lo più hanno vissuto in estrema prossimità con la famiglia, e a quanto pare ci sono riusciti. Quindi è lui ad avere un problema?
Oh, sì, ce l’ha. Lo sa. È un uomo al quale la famiglia è capitata, in modo ineluttabile, o così era parso, e sì, certo che ha la sua responsabilità; ha generato questa tribù, cui a suo modo vuole bene. Se capitasse qualcosa... La volta che Paul non riusciva più a scendere dalla scogliera aveva completamente perso la testa. Ma è un uomo che ha anche bisogno di solitudine, di silenziosa comunione con la lingua, le idee. Ora, però, la silenziosa comunione non è a portata di mano. Due giorni fa ha comprato mezza bottiglia di whisky all’hotel e se l’è portata con sé in una passeggiata serale. È tornato anestetizzato e pieno di disgusto per se stesso. No, non ci deve ricadere. Quella via conduce al disastro, come ben sa.
Roger trova una bavosa occhiuta. O giorno pien di gribola! Chiòchiò! Chiàchià!
Sandra e il suo ragazzo fanno un altro tentativo; c’è un deciso miglioramento.
Paul riesce a procurarsi una dose, all’angolo di una strada a Bude.
Clare perfeziona la capriola all’indietro, molla Emma e fa amicizia con Lucy.
La vacanza è entrata nella terza settimana, ma per quanto concerne Charles è in un presente continuo, senza cronologia. Poiché acquista raramente un quotidiano, raramente sa che giorno è. La cosa non ha una grande importanza, benché l’assenza di un giornale ne abbia. Quel che importa davvero è che non sta producendo molto. Ciò in parte è dovuto al fatto che non ha uno studio vero e proprio, ma sembra che la colpa sia anche di un’improvvisa inerzia mentale. Il romanticismo lo annoia. Il lavoro su cui è impegnato fa parte di una serie di libriccini tematici, per lettori onnivori; probabilmente non avrebbe mai dovuto accettare di scriverlo, oppure doveva scegliere un tema diverso. Il fascismo avrebbe avuto maggiore presa.
Sta di fatto che legge svogliatamente, ritrovandosi presto impantanato in Coleridge, esasperato da Wordsworth, fin troppo desideroso di mettere via tutti gli altri dopo cinque minuti. Che succede? Lui non è uno che legge svogliatamente; è uno che legge con dedizione, con intuizione, con uno zelo assoluto. Il progetto è stato studiato male, non si discute, ma ormai lui è dentro. È un libro breve, inutile, a essere onesti; l’unica cosa da fare è andare avanti e finirlo in fretta.
Ma sembra incapace di farlo. Durante il giorno, quando il tempo è bello e tutti gli altri sono in giro, la casa è relativamente tranquilla, ma lui non riesce comunque ad applicarsi. Va a fare una passeggiata per schiarirsi la mente, o per lo meno quella è l’intenzione, e invece la testa gli si intorbida di futili osservazioni su gabbiani, piante, il mare volubile che offre un umore diverso ogni giorno, violento e sferzato dalle onde, calmo e contemplativo. Sentimentalismo sofistico: il mare non è volubile, è e basta. Ecco cosa succede a immergersi nei romantici.
Charles è irritabile: questo è il suo stato d’animo attuale. Non è insolito in lui, ne è consapevole, e sfiderebbe qualunque uomo in circostanze famigliari simili a sostenere il contrario. Ma le condizioni della vacanza inaspriscono in qualche modo le cose; ad Allersmead riesce a contenere l’irritazione, anzi il più delle volte non è per niente irritato. È ampiamente in grado di ignorare le vicissitudini della vita famigliare e di mostrare un gioviale interesse quando gli sembra opportuno. Ma quaggiù, in questa casa sferzata dal vento con il suo mostruoso mobilio, dove ci sono granelli di sabbia su tutti i pavimenti (perché qualcuno non la raccoglie?) e palpitante vita marina in secchi fuori della porta sul retro (ha inciampato in uno di essi), il fastidio cresce fino a raggiungere picchi inediti. Alison è preoccupatissima per Paul e perennemente distratta. Gina ha una netta tendenza alla polemica, il che di per sé non è un difetto e Charles è più che incline alla discussione, ma in un modo o nell’altro pare che lei abbia sempre la meglio. Si è reso conto di perdere la faccia, talvolta. Poi è sbucato quel taciturno scandinavo; con lui di perdere la faccia non c’è pericolo, ma non ha molto senso esporre le proprie idee a qualcuno la cui risposta si limita a un accondiscendente sorriso. Ingrid è fastidiosamente compiaciuta.
Tutto considerato, Charles vorrebbe tornare a casa. Ma bisogna reggere fino in fondo. A tratti si chiede se non stia attraversando un qualcosa di simile alla crisi di mezza età (ha imparato quest’espressione leggiucchiando uno di quegli articoli scritti da giornaliste che di solito non considera nemmeno). Gli piacerebbe ritenersi superiore a una simile debolezza, ma siamo tutti esseri umani, e lui è cosciente di aver sofferto un breve momento di squilibrio qualche anno fa, che non verrà mai dimenticato.
Quindi ora vagabonda per i sentieri della scogliera, scambiando educati cenni di saluto con altri camminatori; in un’occasione si imbatte in una coppia di adolescenti che si sbaciucchiano dietro un cespuglio di ginestra spinosa e li supera in fretta. La nuca della ragazza ha un qualcosa che gli suscita una vaga emozione, ma Charles è tutto preso dal suo intimo malumore.
Jan parte. Dopo che se n’è andato, Katie dice a Roger: «Chiedi a Ingrid se sposerà Jan». «Chiediglielo tu» replica Roger. «Non me lo direbbe» ribatte Katie. «È più probabile che lo dica a te perché capirebbe che non ti interessa più di tanto.» Roger fa spallucce: «Okay, allora». E, quando gli capita di imbattersi in Ingrid da sola, distesa in spiaggia ad abbronzarsi, le butta lì quella domanda casuale. Ingrid ride. «Jan non è una persona da sposare» dice. Roger non approfondisce la questione, e per questo viene in seguito rimproverato da Katie.
Jan non è una persona da sposare perché si dà il caso che sia sposato con un’altra. Per Ingrid non è affatto un problema, e presumibilmente non lo è nemmeno per Jan. Nessuno dei due vuole cambiare la propria situazione attuale: a Ingrid piace avere un amico a Londra, ed è bello che Jan possa trovare un po’ di conforto mentre porta avanti i suoi studi, tutto qui. Non c’è bisogno di dare spiegazioni, a nessuno.
Il ragazzo di Sandra sta diventando piuttosto possessivo. Vuole continuare la storia anche dopo le vacanze e ha un sacco di progetti per incontri futuri. Sandra si tiene sul vago. Ora si è fatta un’idea del sesso, e quella era l’unica finalità. Se le sue cose arriveranno come dovrebbero alla fine della settimana, pensa che potrebbe, be’... dire basta, molto carinamente e gentilmente. È tutto un po’ un azzardo, non ha voglia di tenere d’occhio il calendario all’infinito, lui le piace ma non abbastanza da mettere tutto in gioco. Gli dovrà dire che è stata un’avventura estiva e niente più, è stato fantastico, perciò nessun rancore, d’accordo?
Caso vuole che sia Roger a rispondere quando arriva la telefonata dalla stazione di polizia di Bude. Tutti gli altri – tranne Paul – sono davanti al televisore perché la serata è umidissima, persino Charles, che ha individuato un documentario interessante dopo il programma che stanno guardando e intende far valere i propri diritti. Roger è fuori sul retro, con i suoi secchi, e quindi è l’unico a sentire lo squillo del telefono nell’ingresso e va a rispondere. È troppo assorto nelle sue ricerche per comprendere la portata di quanto gli arriva dall’altro capo della linea, e così si limita a sporgere la testa dalla porta del salotto e ad annunciare: «È la polizia di Bude, per mamma o papà».
Alison geme. Un gemito orribile, un guaito. Charles si alza ed esce dalla stanza per raggiungere il telefono. Qualcuno spegne il televisore. Lo sentono dire: «Sì... sì... no... sì». Quindi rientra nella stanza e guarda Alison. «Dobbiamo andare a Bude» dice.
Alison è ammutolita. Si è alzata e rimane immobile, lo sguardo fisso. Infine riesce ad articolare: «Si è fatto male?»
«Paul sta bene» risponde Charles asciutto. «È alla stazione di polizia.»
Inizia la caccia alle chiavi dell’auto, alla giacca di Alison. Charles è silenzioso; Alison è sconclusionata. Gli altri li guardano salire in macchina, Charles alla guida. Guardano la Volkswagen che oltrepassa il cancello e risale la collina.
«Oddio!» esclama Sandra.
Paul è stato preso. Possesso di droga. Doveva succedere, pensa Gina. Forse così si rimetterà in riga. Alison piagnucola; Charles sembra più rassegnato che furioso. Paul è scuro in volto, ma non particolarmente contrito. «Non andrò in prigione» dice a Gina. «È un ammonimento, tutto lì. Poteva succedere a chiunque. Sì, succede a chiunque.»
Gina gli fa notare che gli converrà marciare dritto, in futuro. Paul replica in tono allegro che lo farà, certo che lo farà. È solo che quaggiù doveva pur combinare qualcosa, no? Non poteva starsene tutto il giorno senza far niente in quel posto abbandonato da Dio. Aveva conosciuto un bel po’ di gente a Bude, e una cosa tira l’altra.
Gina sospira. Una cosa ha sempre tirato l’altra per Paul. Il progresso, per lui, è tutto un susseguirsi di curve brusche anziché una traiettoria piana; si lancia d’impulso in una direzione, poi cambia di nuovo strada. Dipende da chi gli capita di incontrare, da quel che sente, da cosa cattura la sua attenzione. È trascinato da una sorta di inattaccabile corrente di ottimismo: alla fine tutto si risolverà, qualcosa salterà fuori, non lo scoprirà nessuno, vero?
Purtroppo qualcuno lo scopre, qualche volta. L’impassibile e guastafeste polizia della Cornovaglia, per esempio. Così Paul ora non è soltanto in punizione, ma agli arresti domiciliari. Per il resto della vacanza rimarrà a Crackington Haven ventiquattr’ore al giorno. Sorprendentemente, la prende abbastanza bene. Fa volare l’aquilone di Roger insieme a lui, ammira le ruote di Clare. Si offre di aiutare Alison in cucina e passa un pomeriggio a sporcarsi le mani preparando le focaccine per il tè. Alison ha le lacrime agli occhi per la gratitudine e il sollievo. Dice a Gina che è così ingiusto, salta sempre fuori qualcuno che travia Paul, se fosse per lui andrebbe avanti tranquillo per la sua strada, senza problemi, sono gli altri la sua rovina.
E così quella fu l’estate a Crackington Haven. Katie e Roger, in cima alla CN Tower a Toronto, ci ripensano a distanza di anni. Ognuno dei due vede soltanto il proprio lato, e comunque ora sono persone diverse: quelle loro versioni di sé, lontane e giovani, possono essere rievocate, è ancora possibile vedere quel che i loro occhi hanno visto, ma sono anche irraggiungibili. Katie guarda il fratello dall’altra parte del tavolo e vede un uomo, che in qualche modo è il prodotto di quel ragazzo in pantaloncini e maglietta che pescava dalle pozze tra gli scogli. Vede un uomo dal viso aperto, una zazzera di capelli rossicci, questo tizio belloccio (perché una qualche ragazza non se l’è accaparrato?) che ogni giorno ha a che fare con questioni di vita e di morte, una persona utile, una persona necessaria. Roger vede una donna con un visino delicato e attraente (Al si rende conto della fortuna che ha?) e un’espressione lievemente preoccupata... ma l’ha sempre avuta, ricorda Roger.
«Come va il lavoro?» le chiede.
«Oh, bene. Sono caporedattore ora, un gradino più su.»
Silenzio.
«Sai» continua Roger, «persino ora ho un fremito se penso alla bavosa occhiuta.»
Katie sorride. «Quei secchi brulicanti. Li ho ancora davanti agli occhi. E anche te. Pantaloncini azzurri e pelle bruciata dal sole.»
«Attenta. Questa si chiama nostalgia.»
«Ne parla uno dei libri di papà. L’ho letto. Ci ho provato.»
«Si dice che sia una brutta cosa, la nostalgia. Ho dei pazienti, degli immigrati, che ne soffrono, che si struggono per essere altrove.»
«Nemmeno per sogno mi struggo per Crackington Haven» replica Katie. «Confusione e scocciature e una casa scomoda, ecco cosa ricordo. Ci siamo andati più di una volta.»
«Allersmead?»
«Allersmead cosa?»
«Nostalgia.»
Katie riflette. «No» conclude. «Non se per nostalgia si intende quel che penso. Come ricoprire le cose di un’aura speciale. Allersmead semplicemente è. Era.»
«Inevitabile.»
Si scambiano un sorrisino ironico.
«Caffè?» chiede Roger. «Perché poi devo tornare dai miei immigrati nostalgici.»