I

Il Settecento si chiude come il palcoscenico di un’opera tragica ed epocale. In un borgo della Marca di Ancona, nello Stato della Chiesa, a conclusione di un grande secolo, nasce un fanciullo prodigio: Giacomo Leopardi. Il padre, Monaldo, viene da una famiglia nobile di gente di antica pietà cristiana. Trascorre una gioventù irrequieta e mina con spese allegre il patrimonio familiare. Ha idee antifrancesi e, dopo il matrimonio, tempera i bollori del passato dedicandosi allo studio e ai libri, che compra a carrette. La madre invece è una donna alta, forte e sobria. Calza scarponi da contadino, indossa una zimarra. Considera gli svaghi e la vita dei sentimenti cose inutili. In un quaderno segna la data di morte dei parenti. Sono anni orribili per l’Italia. Straripa l’invasione napoleonica. Le milizie francesi e austriache si contendono la Romagna e la Marca di Ancona. Recanati subisce l’urto di quelle ondate, che incendiano antichi palazzi, mettono taglie alla nobiltà, alzano in piazza alberi della libertà, organizzano processioni.

Con l’arrivo del nuovo secolo però l’euforia svapora e lascia un sentimento di inquietudine e di noia della vita. Giacomo respira quest’aria già in tenera età. È dotato di un’eccezionale memoria e qualunque cosa legge gli si imprime nella mente. Passa l’infanzia e l’adolescenza nel palazzo degli antenati, dove studia giorno e notte e si rovina la salute. La Marca nel frattempo è in agitazione ed è divisa tra l’imperatore e il papa. Poi Napoleone viene sconfitto a Lipsia e a Waterloo, e il Congresso di Vienna ricostituisce lo Stato della Chiesa. Murat resiste in Italia, ma muore fucilato in Calabria. L’idea liberale si diffonde nella Marca. Scoppia un’insurrezione a Macerata nel 1817 che viene repressa con condanne a morte. La notizia presto giunge a Recanati e arriva alle orecchie di Giacomo, che osserva quanto accade intorno a lui, e pensa che l’italiano debba essere governato dai sovrani legittimi. Nel giro di pochi anni però cambia idea. Entra in contatto con Pietro Giordani. Si appassiona al dibattito civile e si apre alle idee liberali. Fa sua la tensione patriottica e alla libertà, ma non il sentimento filofrancese, e capisce che i mali dell’Italia sono dovuti all’assenza di ideali civili che uniscano gli intellettuali e il popolo.

Scrive nel 1818 una canzone patriottica e si rivolge con versi pieni di passione all’Italia, a una patria che è finita da secoli e che vive unicamente nelle rovine che ha lasciato il tramonto dell’impero romano. Quel grande spirito che l’aveva resa grande si è spento del tutto e al suo posto ci sono macerie materiali e immaginarie: la madre, che gli ha dato la luce, è stata spogliata della virtù e della gloria, di cui un’eco resta negli archi e nelle mura, e gli italiani che la abitano sono dei figli ingrati e degeneri. Da regina è diventata un’ancella che giace incatenata e nasconde la testa tra le ginocchia: dai suoi occhi, se li avesse, scorrerebbero per la vergogna lacrime a fiumi.

Giacomo soffre a vederla ridotta in tanta miseria. Lui è un figlio pietoso e nella corruzione generale dei costumi si fa voce nel deserto e canta le età antiche. Lì ci sono le vestigia dell’identità nazionale e la chiave per ritrovare la rotta nella crisi del presente. I giovani devono fare come i Greci delle Termopili: devono morire per la patria e non devono servire gli stranieri, che rubano le sue ricchezze e si servono dei suoi uomini per le loro guerre di potere. Gli scrittori a loro volta devono seguire l’esempio di Dante e Petrarca e devono costruire con le loro opere la nazione che non c’è. Se faranno rinascere quel cemento di ideali e passione, l’Italia risorgerà dalle sue ceneri.

Giacomo è pronto a mettere a disposizione della comunità la propria penna per rendere grande con il suo esempio e i suoi versi la patria. Se non può morire per lei, spera almeno di ottenere la gloria cantando le età antiche e quei valori che l’hanno fatta illustre per la gloria delle armi e delle arti.

Composta nel 1818 a Recanati, è una canzone di 7 strofe di 20 versi ognuna. Lo schema delle strofe dispari è ABcdABCeFGeFHGIhIMiM, mentre quello delle strofe pari segue l’andamento AbCDaBDEFgEfHgIHLMiM.