VIII

La rinascita della primavera non è bastata a sanare la ferita che si è aperta nell’animo di Giacomo. I colori e le belle immagini hanno alleviato solo per poco la sua pena. Il dolore riesplode con accenti più acuti e con più angoscia. È infelice, e con lui lo è il genere umano a causa della civiltà, che sta raggiungendo per colpa degli europei anche i popoli della California, finora vissuti immersi nei beati regni della saggia natura. Non crede più in alcuna possibilità di redenzione. Però pensa che un tempo felice ci sia stato. È avvolto in età lontane, in quella stagione aurorale in cui l’umanità è comparsa sulla terra, e ne è rimasta un’eco nel Genesi e nei libri antichi.

La storia umana è cominciata con il peccato originale di Adamo e con la perdita dell’Eden. Prima che mangiasse il frutto proibito l’esistenza degli uomini scorreva serena: non maledicevano il giorno in cui erano nati e non preferivano la morte alla vita. Il primo uomo, però, ha ascoltato la donna, ha voluto essere come Dio, ha violato l’ordine cosmico e a causa del peccato originale è stato cacciato dal paradiso. Ha perso così la condizione di beatitudine primordiale e da felice è diventato infelice. Il suo però era ancora uno stato di relativa infelicità ed era migliore di quello degli uomini che sono venuti dopo. Viveva a contatto con la natura e udiva le rupi e le valli deserte, attraversate dalla «precipite onda» dei fiumi con un fragore inaudito. Dio era stato clemente e non lo aveva privato del senso positivo della vita e di quell’accordo con il creato che dà una ragione d’essere alla sua esistenza.

Con i discendenti di Adamo la situazione peggiorerà. Caino osa fare qualcosa di inaudito. Alza la mano contro Abele e lo uccide. Macchia la terra del suo sangue. Inventa l’odio dell’uomo contro l’altro uomo e nasce la guerra. Subito dopo fugge trepido, errante, fra ombre solitarie e nelle profondità delle selve si nasconde all’ira dei venti. Ma ormai è troppo tardi. Il dado è tratto. Ha dato origine alla civiltà e la morte entra nel mondo.

La civiltà inventata da Caino è contro la natura. È il rinnegamento della madre, è un atto di ribellione contro di lei che porta alla rottura dell’ordine naturale. La protervia dell’uomo si spinge ancora oltre e di generazione in generazione non rispetta i divieti imposti dalla natura, che lo punisce e gli manda il diluvio. Noè però riesce a salvare il «germe iniquo» preparando un’arca e navigando sul «mugghiante» mare. Naviga per giorni e poi finalmente vede una colomba bianca e il sole che esce naufrago dalle nubi e che gli annuncia l’arrivo in una nuova terra. La salvezza non cancella il segno dell’antica colpa che è scritto nella loro carne. Dopo il diluvio la civiltà si rinnova, riprendono gli studi e altre ambasce. Gli esseri umani osano sfidare di nuovo la natura, violano le sue leggi, cominciano a navigare e a profanare anche il mare recandosi verso nuovi lidi. Ogni nuova scoperta (o credenza) diventa fonte di altre sciagure e pianto. Il loro è un progressivo e inesorabile allontanamento dalla beatitudine e dalla perfezione in cui vivevano prima della cacciata dal paradiso che li porta a odiare la natura, la madre che li ha generati. Passo dopo passo tutti i dolori, che credevano fossero nel regno degli Inferi, si riversano sulla terra e così, al posto della vita, regna la morte.

Il giardino felice, in cui Adamo viveva con la donna, non c’è più. Per la cieca ostinazione di voler andare contro le leggi imposte dalla natura-Dio, l’uomo si è «dannato» per sua stessa volontà. Non può più tornare indietro in quell’Eden in cui sono vissuti i suoi padri (i Patriarchi): vive in una società lacerata dal dolore e dal germe malefico del progresso. Solo per mezzo del canto e della poesia, l’uomo può ridestare un’eco della perduta felicità e di quell’età di beatitudine in cui vivevano i progenitori del genere umano.

L’inno è stato scritto nel 1822, a Recanati. Il metro utilizzato è l’endecasillabo sciolto.