IX

Il tempo felice è quello dell’incoscienza, quando non si ha consapevolezza del proprio dolore. La conoscenza porta con sé la tragedia della verità. Anche per Saffo e per Giacomo c’è stato un momento in cui entrambi non hanno avuto coscienza del proprio sé. È stato un istante aurorale della loro esistenza che illuminava ogni cosa circostante: la placida notte, il raggio puro della luna cadente, la stella Venere che spuntava al mattino e annunciava tra le selve il giorno. Il mondo allora aveva una sembianza di felicità e una luce che la maturità ha per sempre dissolto.

Saffo ha aperto gli occhi sulla propria condizione e tutto il mondo intorno a lei è mutato. Le Erinni, cioè le Furie, l’hanno invasa e non ha più pace. Si è resa conto che il destino le è avverso ed è disperata. La natura con la sua bellezza non può più dare ristoro e serenità al suo animo, che è invece provato da un estenuante stato di sofferenza. Non sa quando e come è avvenuto, ma la gioia della prima giovinezza è solo un ricordo. Solitaria nel cuore della notte si ferma a meditare sui suoi mali. La sua figura si perde tra le ombre. Si muove in uno spazio senza tempo. È esiliata dal mondo e dalla vita. Il dolore l’ha resa una creatura estranea a se stessa e agli altri, e solo nei venti che sollevano le onde del mare o nelle profonde valli o nell’aria scura riesce a trovare un sollievo all’angoscia.

La natura con lei è stata ingiusta. L’ha condannata a essere brutta, e così matura un odio contro se stessa e il mondo empio, che ha voluto che fosse diversa da tutti gli altri esseri umani. La madre, che le ha donato la vita e che lei ama profondamente, non ha corrisposto il suo affetto, l’ha esclusa da quell’amore che invece è stato dato ad altri. Il bello e la natura non sono stati fatti per lei, ma per gli altri. Nel suo corpo brutto alberga però un’anima sensibilissima, di un’eccezionale capacità di sentimento. È come un’amante disprezzata e a lei non sorride più il balcone assolato del giorno o l’albore del mattino. Il canto degli uccelli e il mormorio dei faggi non commuove più il suo animo. Le acque dei fiumi la fuggono e così le «odorate spiagge».

Saffo non sa le ragioni della sua infelicità e non si dà pace. L’inquietudine la fa smaniare, la spinge a scagliarsi con angoscia contro la vita stessa e a desiderare la morte. Ha commesso qualche colpa? C’è un motivo particolare per cui lei deve essere diversa dagli altri? Le sue domande, come pietre lanciate nel vuoto della notte, non trovano alcuna risposta. L’uomo non può comprendere le cause ultime dell’universo e della vita. Queste gli sfuggono e gli sfuggiranno per sempre. Si perdono nella notte dei tempi e sono avvolte dal mistero. Solo il dolore non è arcano ma è cosa ben nota, e lei ne ha fatto esperienza in quella età della vita, cioè la giovinezza, che avrebbe dovuto dedicare agli svaghi e ai piaceri. Nulla le resta se non un grido disperato e un grande desiderio, come gesto ultimo di protesta, di annullare se stessa. Tutti l’hanno rifiutata, anche Faone, l’uomo che aveva amato, al quale in un impeto di furore augura di essere felice, se nel mondo per alcuni esseri viventi è possibile la felicità. Dinanzi a lei non ci sono che le porte del nulla. Sono sfiorite anche le illusioni della giovinezza, che passa in un lampo e porta via con sé tutti i giorni lieti e ridenti. La condizione dell’uomo è fragile, passeggera. Rapidamente arrivano la malattia, la vecchiaia e poi la gelida morte con le sue terribili fauci.

Saffo invoca la silente riva del regno dei morti, la notte scura del Tartaro e l’ombra nera di Proserpina, la dea degli Inferi. Solo rinunciando alla stessa esistenza che le è stata data, può sanare il senso di colpa e la ferita del rifiuto e può così riconciliarsi con la madre, che l’ha privata della gioia della bellezza. Soltanto nell’abbraccio della morte può essere finalmente soddisfatto l’inesausto bisogno di essere amata che le è stato negato in vita.

La canzone è stata scritta nel 1822, probabilmente a Recanati. Dal punto di vista metrico la poesia è formata da 4 strofe di 18 versi ognuna, che ripetono lo schema ABCDEFGHILMNOPQRsS.