Consalvo giace a terra morente e si oppone sdegnoso al suo destino. Solo una persona gli è vicino, in quel momento ultimo, tremendamente dolente: la donna che ha amato, Elvira. Lei con la sua bellezza, eterea, celeste, divina, con un suo sguardo può essergli di conforto, può restituirgli un po’ della speranza perduta. La passione di Consalvo per Elvira non era solo carnale ma una venerazione vera e propria per la sua bellezza, un rispetto sacro che gli impediva di poter liberamente esternare ciò che provava per lei. Era un sentimento quasi fanciullesco, ammantato di una purezza e di un candore rarissimo, nonostante la violenza del desiderio che nutriva e gelosamente custodiva nel suo cuore.
Nell’istante fatale, quando ormai già le tenebre della morte si stendono davanti al suo sguardo, il nodo antico che gli legava la lingua si scioglie e trova quelle parole che la sua verecondia fino ad allora aveva soffocato in gola. Quel muro di silenzio di un dialogo impossibile, di incomprensioni, di sottaciuti desideri tra lui e la donna si rompe. Viene fuori il suo linguaggio più vero, più profondo, perché sa di essere vicino a un passo definitivo, di non ritorno. Osa allora fare ciò che mai avrebbe fatto: le prende la mano bianchissima e, in un tentativo vano di attirarla a sé, per la prima volta apre a lei il suo cuore. Le dice, mentre lei sta per congedarsi definitivamente da lui, addio. Con accenti nuovi, con parole che non pensava potessero albergare in lui, le chiede un bacio come gesto di compassione ultima per le sue sofferenze. Lei resta davanti a lui pallida, e quel pallore che le colora il volto per il pudore la rende ancora più bella.
Non è più solo una donna ma una creatura pietosa e gentile, pronta ad accogliere il desiderio di un uomo morente, che sa che non incontrerà mai più. Il cuore le si stringe, prova dolore. Anche se non lo ama, non può non avere compassione di un uomo che sa che sta prendendo congedo da lei per sempre e che l’ha amata con tutto se stesso. Vuole convincerlo che si sbaglia, che la morte non lo coglierà, ma lui intuisce i suoi pensieri. La anticipa. Le dice che per lui non c’è speranza di salvezza e che è giunto alla sua ora fatale. Però quel giorno che per lui doveva essere ed è drammatico gli appare lieto, perché lei gli è accanto. Certo, sa che non rivedrà mai più i suoi occhi e non sentirà più la sua voce. Dagli Inferi non si torna e il sonno della morte dura per sempre.
Solo le domanda perciò un bacio, di cui non potrà vantarsi perché tra non molto non ci sarà più. A un moribondo non si nega nulla. Elvira tace. Sospira e pensa. Tra i due si stende un velo di silenzio, immenso, profondo, un lacerante vuoto di parole. Lei tiene lo sguardo fisso in quello dell’infelice, che è rigato dalle lacrime. Un moto di tenerezza le scioglie l’anima. Non ha il coraggio di dirgli di no e di rendere con il rifiuto ancora più acerbo il loro addio. Prova misericordia per lui. Sa quanto l’ha amata e che passione ha bruciato a lungo nelle sue viscere. Avvicina il volto celeste, la bocca, che Consalvo tanto ha desiderato e sospirato e sognato, a quella pallida di lui ormai morente. Sulle sue convulse labbra, trepide, prima che la morte lo rapisca, imprime benigna, come una madre generosa che infine si decide di ricambiare l’amore, dei caldi baci.
Nel bacio dato a Elvira, Consalvo ritrova, prima di esalare l’ultimo respiro, l’armonia con il mondo e con la natura. È finalmente un uomo come gli altri e può, stringendole la mano, congedarsi ormai pacificato dalla vita.
Il componimento è una “novella in versi” ed è stato scritto tra l’autunno del 1832 e la primavera del 1833, a Firenze. Il metro usato è l’endecasillabo sciolto. I personaggi sono tratti dal poema di Girolamo Graziani, Il conquisto di Granata (1650).