Il sole comincia a calare. Settembre sta per finire e le giornate sono ancora calde, ma non come nella calura estiva. Nella luce preserale, al centro del borgo arriva una giovane ragazza, che porta con sé un mazzolino di rose e viole, con cui si adornerà il giorno dopo, la domenica, nel «dì di festa», il petto e i capelli. Sul viso fiorisce un’adesione totale e incondizionata alla vita, tipica della gente semplice. Quella leggerezza di cuore e quel vivere senza interrogarsi troppo sul futuro attirano l’attenzione di Giacomo. Anche lui vorrebbe far parte di quel mondo e dimenticare per qualche istante la sua tendenza alla riflessione. La guarda mentre va nel centro del paese. La ragazza si avvicina a una vecchia, che siede sulle scale a filare con le amiche, rivolta verso quella parte del cielo dove il giorno si dilegua: sembra che lei voglia godere fino alla fine di ogni stilla di quella luce e fermarla prima che svanisca per sempre. La donna, nella sua semplicità di contadina, racconta ai giovani del «buon tempo», di quella gioventù che è trascorsa e di quando anche lei la domenica si faceva bella per la festa. Allora era in salute, snella e anche lei era avvenente. La sera amava ballare con i giovani, con i compagni «dell’età più bella».
Quel che resta del giorno, però, trascorre in un baleno. Subito l’aria comincia a farsi bruna e il cielo del tramonto si colora di un azzurro più intenso. Quel sereno è così leggero e limpido che schiude davanti a Giacomo il miracolo di un firmamento nuovo. Poi le ombre cominciano a scendere dai colli e dalle case, e si fanno più dense e profonde. L’oscurità cala su tutto ma, dopo poco, sorge in cielo la luna, che diffonde un bianco splendore su tutto il borgo e lo illumina. Però nel paese c’è ancora vita: la campana annuncia la festa che viene e l’arrivo della domenica, e i fanciulli nella piazzuola gridano a frotte saltando qua e là e fanno un piacevole chiacchiericcio, che riconforta il cuore e gli infonde quella pace di cui ha bisogno. Lì a modo loro tutti sono un po’ felici. Ogni persona è serena e in armonia con la natura. Lo è anche lo zappatore, che si appresta a tornare alla sua «parca mensa» e che, nel farlo, fischia per la gioia pensando già nella sua semplicità al giorno che sta per venire, in cui potrà finalmente riposarsi dopo una settimana di lavoro. Anche quando intorno a lui ogni lume è spento, c’è ancora un pullulare di vita.
Nel buio pesto della notte, Giacomo sente picchiare il martello e la sega del legnaiolo, che lavora nella bottega con la lucerna accesa, e si dà da fare per finire il lavoro che gli è stato commissionato prima che l’alba inondi il mondo con il suo chiarore. Ascolta i rumori notturni e forse si aggira per le vie del paese. Tutti dormono e il silenzio si è steso su tutte le cose. Quella quiete lo spinge a meditare ancora una volta sull’esistenza. Il sabato è il giorno dell’uomo, è il momento della speranza e della gioia. È un tempo d’attesa ma anche di compimento della pienezza che, però, è destinato a svanire troppo presto. L’arrivo della domenica porterà invece «tristezza e noia». Coloro che erano trepidanti per l’arrivo del «dì di festa» penseranno invece in cuor loro che dal giorno dopo dovranno ritornare al lavoro e alle rituali occupazioni. La felicità è tutta nell’attesa del domani: quando questo giunge, porta delusione e sconforto. Da qui l’invito al «garzoncello scherzoso» a non avere fretta che la festa della sua vita e la maturità vera e propria arrivino: nessuno può fermare il corso del tempo, e anche per lui verranno la maturità e la fine delle illusioni. Ora si goda le gioie della gioventù, che è come un giorno pieno, gioioso, luminoso e sereno, l’unico in cui l’uomo può assaporare un’autentica e vera felicità.
La canzone è stata scritta nel 1829, a Recanati. Presenta una struttura libera, con 4 strofe di endecasillabi e settenari.