XXXI

Eterna è solo la materia. La natura invece crea e distrugge corpi. È una legge della vita, alla quale non si sfugge. La morte in un lampo si disfa di ciò che non è più nel vigore degli anni, di ciò che non è più avvenente come prima. Giacomo guarda il ritratto di una fanciulla e medita sulla morte. Vede il suo dolce viso, le forme armoniche del suo corpo, quella bellezza che tante volte ha incantato gli uomini che continua a esistere grazie all’opera dell’arte. La donna, che è chiusa nel freddo marmo di un monumento sepolcrale, fu bella. Appartiene al non essere e giace sottoterra, dove le sue sembianze umane sono state mutate dalla natura in polvere e scheletro. Nelle fredde ossa custodite nella tomba non c’è più lo sguardo che faceva tremare di passione gli amanti, né quelle labbra che come un’«urna piena» traboccante invitavano alla pienezza del piacere. Non c’è più quel collo che era ben tornito ed era contemplato con desiderio, né quella mano che sapeva destare un turbamento amoroso in chi la stringeva. Non resta più nulla di lei: neanche il bel seno che faceva arrossire gli uomini. È ridotta per l’eternità a ossa e fango, e la vista di uno spettacolo misero e ripugnante è nascosta dalla tomba e dal monumento funebre.

Chiunque ha conosciuto la donna, l’avrebbe paragonata a una figura celestiale. Quella bellezza però non è sfuggita alla legge che regola l’universo e affatica ogni cosa che nasce alla vita, e che nell’attimo in cui comincia a esistere inizia anche a morire. La bellezza è in fondo un’illusione, e anche chi ha ricevuto un corpo avvenente è destinato un giorno a corrompersi. Ciò che all’uomo appare eccelso, fonte di immensi pensieri e indefinibili sentimenti, in un lampo si dilegua. Diventa abominevole, sozzo a vedere, abietto. Tutto ciò che ha sembianze angeliche si dissolve e lascia il posto alla realtà orrenda e tremenda della morte.

Giacomo davanti al monumento funebre della fanciulla prova un forte sgomento. Lo turba non tanto il disfacimento delle cose umane e la loro caducità, ma il pensiero che da esseri così fragili possano sorgere pensieri sublimi. Non crede più nella possibilità, dopo la triste esperienza d’amore per Fanny, che lo spirito abbia dentro di sé la sorgente di immagini poetiche e di gentili affetti. Prova poi piacere a indugiare in una cupa visione di morte. Non è più proiettato come da giovane in una dimensione interiore ma è tutto immerso nel flusso della vita. La fisicità è per lui tutto. L’attaccamento alla materia si è così radicato in lui che non riesce a percepire più la bellezza con stupore, ma lo turba al contrario quel processo che la porta alla sua naturale alterazione. Non è più un amante della natura e del suo immenso spettacolo, ma della morte e degli oscuri processi che la regolano. I desideri infiniti e le immagini che elevano ed esaltano l’animo sono frutto della mente umana, che è avida di dolci immaginazioni.

Una musica, che è stata orchestrata con sapienza, può far errare l’arcano spirito umano in un mare di piacere e lasciarlo vagare addirittura in un oceano di accordi e sensazioni, facendo di lui un ardito nuotatore; ma basta una nota discorde, che ferisca l’orecchio, e in un attimo l’incanto di quel mistero paradisiaco finisce e sembra che non sia mai esistito. La natura umana è fragile e vile, cioè è fatta di materia. È polvere e ombra, le impressioni e le belle immagini non nascono dalla sorgente intima dello spirito ma da processi fisici e di natura meccanica. L’uomo però si illude di essere qualcosa in più. Crede di avere una natura in parte nobile. Ma se è così, perché i sentimenti e i pensieri dell’uomo sono spenti da ragioni molto basse, quali ad esempio il fiorire o lo sfiorire della bellezza femminile?

È una lirica scritta presumibilmente nel 1835, a Napoli. Dal punto di vista metrico si tratta di una canzone libera composta da 4 strofe di endecasillabi e settenari.