Giacomo ha diciannove anni e il caso vuole che in casa sua per pochi giorni arrivi, una sera, una sua cugina pesarese, sua parente, con il marito. Lei è giovanissima, ha ventisei anni, è alta e nerboruta ma ha il volto tutt’altro che grossolano, con i lineamenti tra il forte e il delicato, con un bell’incarnato, gli occhi e i capelli nerissimi. A fare colpo su di lui sono principalmente le maniere della donna, che non sono affettate, ma neanche prive di eleganza. Sono tipiche delle donne della Romagna e molto diverse da quelle marchigiane, sono in un certo qual modo inesprimibili. La prima sera però scambia con lei poche parole, e così anche il venerdì successivo, in attesa del pranzo. Pranza con lei e il marito, ma lui è chiuso e taciturno. Non è abituato alle conversazioni mondane e quella è una situazione inedita. Però non le toglie gli occhi di dosso, per il gusto, come se guardasse il quadro di un pittore, di contemplare un volto molto bello.
La sera del venerdì la signora gioca a carte con i suoi fratelli e lui li invidia. Per fare colpo su di lei si mette a giocare a scacchi con un altro e fa di tutto per vincere, ma la partita finisce alla pari. La signora continua a non degnarlo di attenzioni, fino a quando gli domanda di insegnarle a giocare a scacchi. Lui accetta volentieri, le insegna le regole, che lei subito apprende. Questa sua capacità di imparare velocemente gli fa capire che, oltre ad avere un bel viso, è anche una donna d’ingegno, e ciò lo stupisce molto. Nasce in lui il desiderio di cimentarsi con lei in una partita. A cena sprofonda nel mutismo e per tutto il tempo si immerge nella fredda contemplazione della giovane. Così, anche il giorno successivo attende trepidante che giunga di nuovo la sera per poter giocare con la donna. Finalmente l’ora arriva e gioca con lei, ma subito dopo la partita viene richiamato dalla madre, e si dispiace di non potersi trattenere di più. Si allontana con una certa scontentezza e una inquietudine nell’animo, con un turbinio nuovo di sensazioni, che fatica a definire con chiarezza. Nel congedarsi capisce che il giorno dopo lei partirà.
Se ne va a letto e, al pensiero che non la rivedrà più, una fitta gli stringe l’anima. Per tutta la notte lo invade una inquietudine indistinta, uno scontento, una malinconia una dolcezza, un affetto, un desiderio che nulla può appagare. Gli ritornano in mente l’immagine della donna e i suoi discorsi. Poi riesce a prendere sonno, ma si risveglia sul far dell’alba. Quell’affanno occupa di nuovo la sua mente e il suo animo. Per la prima volta si è innamorato. Sente dei rumori nella casa. La sua donna sta per partire. Non la rivedrà più. Vaga per tutta la casa, senza una meta, sconvolto dal dolore e dalla passione. Invoca il cielo che mandi la pioggia, una tempesta di vento e acqua che le impedisca di partire.
È per lui un giorno drammatico. Si guarda intorno: il vento mugghia nella foresta, tra le nubi sibila il tuono errante, prima che sorga l’aurora. La natura gli appare indifferente alla sua sorte. Grida. Si volge alle nubi, al cielo, alla terra e alle piante. È solo con la sua pena. Pensa che la natura ascolterà un infelice amante, ma non è così. Tra non molto lei partirà. Tutte le speranze in un baleno si dissolvono e vede che l’aria si fa serena, senza vento, l’erba nei prati riposa immota e così anche i rami degli alberi. Spunta il sole. È una luce cruda quella che lo abbaglia, che brucia sulle sue lacrime. Il primo amore della sua vita è partito. È andato via per sempre. È la prima grande delusione che lo segnerà per sempre, che porterà con sé per tutti i giorni dell’esistenza.
Composto nel 1818 a Recanati, è un breve frammento in terza rima.