Una ragazza sta per recarsi a un convegno amoroso. È nel fiore della gioventù, in un’età della vita ricca di attese e speranze. È l’ora del tramonto e il sole sta calando, l’aria si fa bruna, la voce dei cani si è spenta, i tetti delle case non fumano più e il silenzio notturno avvolge ogni cosa. In quella pace, spinta dal richiamo d’amore, si mette in viaggio e si dirige verso una pianura ridente e bella. Per compagna nel suo cammino ha la luna, che in cielo spande la sua luce e tinge d’argento gli alberi che inghirlandano quel luogo, proiettando ombre e vaghe apparenze. Al suo passaggio i rami degli alberi emettono, al soffio della brezza notturna, un canto, mentre gli usignoli spandono un dolce lamento. Una forza benigna la muove, un impulso di vita si propaga in tutto ciò che è intorno a lei: nel mare lontano che splende limpido, nelle campagne e nelle foreste che attraversa, nelle montagne che scoprono le loro verdeggianti cime. Cammina e arriva in una valle bruna, che giace nell’ombra. La luna piena di rugiada veste di pallida luce i piccoli colli che la circondano. Ma anche lì la ragazza non si ferma. Va avanti, mossa da un demone, che la trascina, non sa neanche lei dove. Il vento spande nell’aria odori di fiori e le sfiora il viso. Nel suo animo coltiva la speranza di un ridente avvenire, e la natura le dona a ogni suo passo uno spettacolo di piacere promettendole una grande felicità e beni di ogni tipo.
Quelle ombre splendenti e portatrici di serenità inaspettatamente vengono messe in fuga. La notte si turba e l’aspetto del cielo si fa oscuro, da bello e luminoso che prima era. Una nuvola torbida, foriera di tempesta, sorge da dietro i monti e cresce a tal punto da oscurare la luna e le stelle. Quella forza benigna, che fino a quel momento aveva benedetto il suo cammino, diventa negativa e assume l’aspetto di una divinità del male che la insegue e le fa mancare il respiro. Una nuvolaglia copre ogni angolo e sale su nel cielo stendendo sopra la sua testa un manto scuro. La luce si fa sempre più fioca, e nel bosco, che doveva essere il luogo del convegno amoroso e in cui doveva finalmente avverarsi quella felicità promessa, si alza un vento che cresce e soffia con sempre più forza e violenza, destando gli uccelli che dormono tra le fronde degli alberi per farli svolazzare dallo spavento.
La nube cala giù verso la marina: con un lembo sfiora i monti e con l’altro il mare. L’oscurità ricopre ogni cosa come un gigantesco grembo, nel quale freme il triste presagio di una pioggia di morte che sta per abbattersi sulla terra e su di lei. Comincia a piovere. La pioggia si riversa sulla terra e l’aria si fa rossa. L’infelice ragazza si sente venire meno mentre il tuono mugghia simile al rumore sempre uguale e cadenzato di un torrente. La pioggia diventa sempre più battente e cresce la bufera.
Il paradiso tanto atteso si tramuta in un inferno. La vita mantiene le sue promesse e tutte le sue illusioni vengono travolte da una bufera orribile, in cui vorticano nell’aria polvere, fronde, rami, sassi: un’accozzaglia di suoni terrificanti che la stordiscono e rendono la sua anima, ancora viva, impassibile a tutto. La ragazza cerca di coprirsi gli occhi affaticati e stanchi per il bagliore accecante dei lampi. Si stringe le vesti al seno e, nonostante la pioggia, corre sempre più veloce. Ma negli occhi la luce del lampo le arde a tal punto che alla fine per lo spavento è costretta a fermarsi, venendole meno il cuore. Si volge allora indietro. In quel momento si spegne il lampo, il cielo si oscura, si acquieta il tuono e si placa il vento. Tutto tace e la ragazza viene mutata in pietra, in una creatura non viva e non morta, disillusa e pietrificata dalla malvagità della natura, che invece della felicità le ha donato un dolore che le ha spezzato il cuore e l’ha resa indifferente a tutto.
La prima stesura di questo frammento è stata fatta nel 1816 a Recanati.
Il metro utilizzato è la terza rima.