La superstizione è un buon pretesto per l’inerzia e tutta la vita di Cosimo potrebbe illustrare quest’affermazione. Come un’erbaccia in un orto negletto, le certezze illusorie della superstizione chiromantica sono cresciute rigogliose nella sua vita là dove altri coltivano con cura i pochi arbusti fruttiferi di una attività che fidi soltanto in se stessa. Fu la superstizione? Difficile a dirsi. Certo, il giorno che il primo di una lunga serie di indovini lesse la mano a Cosimo, la pigrizia di costui cessò d’un tratto d’essere peccato e si trovò di colpo perdonata e giustificata. Perché, come taluni hanno ricevuto in dono dalla natura una forza fisica straordinaria o una bellezza sovrana, così Cosimo, al dire dei chiromanti, è nato con la mano più fortunata e più completa che sia dato di immaginare. Ma sulla palma le linee, come in cielo le stelle di don Ferrante, non ci stanno per caso; stanno, al contrario, a significare il carattere, i talenti, la sorte, il temperamento dell’uomo. Ora il meno che si possa dire di Cosimo è che con una mano simile, il più è fatto. A Cosimo, non resta che aspettare tranquillamente che il destino scritto a così chiare lettere dia uno per uno tutti i suoi frutti.
In particolare la linea di Saturno o della fortuna è segnata così profondamente e chiaramente nella palma di Cosimo che, anche se non ci fossero le altre linee, basterebbe quella da sola a rendere il suo possessore perfettamente tranquillo circa il proprio avvenire. Una linea della fortuna siffatta significa ricchezza grande e duratura. Ma, poiché Cosimo non lavora e non guadagna, si tratterà sempre di una ricchezza dovuta appunto alla fortuna, ossia al caso: una eredità ingente (sebbene tutti i parenti di Cosimo siano più poveri di lui); una vincita strepitosa al gioco (ma Cosimo è troppo pigro anche per giocare); un terno al lotto (Cosimo non è mai entrato in un botteghino); oppure addirittura il tesoro nella buca del giardino o il gioiello rinvenuto in terra.
Quanto alla linea dell’intelligenza o della testa, essa attraversa tutta la mano di Cosimo, allo stesso modo che il Po attraversa tutta la valle che da esso prende il nome. Un fiume di intelligenza scorre nella palma di Cosimo e par che voglia fare il giro. I chiromanti quando vedono questa linea non possono trattenere un "oh!" di ammirazione e a conferma la confrontano con la stessa linea di mani celebri: quella di Goethe o di Victor Hugo o di Churchill. Cosimo sarebbe un Aristotele in fieri, un Pico della Mirandola in erba (non tanto in erba, però, dal momento che ha oltrepassato i quarant’anni), un Bacone in bocciolo. I chiromanti definiscono l’intelligenza di Cosimo in questo modo: chiara, logica, sistematica, speculativa, profonda, completa. Ad ognuno di questi aggettivi, Cosimo tentenna il capo: non c’è che dire, la natura l’ha servito bene. Ignorante, incolto, incapace di varcare i limiti del comune buonsenso, Cosimo guarda spesso a quella magnifica linea di testa, domandandosi quali sorprese gli riserbi. Cosimo pensa vagamente che un bel giorno la forza che gli ha tracciato la linea nella palma, lo spingerà al tavolino e gli guiderà la mano per le pagine di un gran libro; oppure gli farà scaturire dalla profondità del cervello, come un getto di petrolio da quella della terra, l’Idea: cioè qualsiasi cosa, dalla formula scientifica per un brevetto di applicazione universale ad un nuovo concetto religioso. Intanto, però, è inutile affaticarsi la mente intorno problemi e cognizioni come fanno la maggior parte degli uomini che non possono vantare una linea della testa come la sua. Intelligenti si nasce, non si diventa.
Cosimo, frigido ed egoista, per non durare troppa fatica, ha finito per sedurre la cuoca. Ma i chiromanti, davanti alla linea del cuore di Cosimo, diventano maliziosi: lei è un Don Giovanni, gli dicono, un libertino come ce ne sono pochi, male malissimo, che gli fa lei alle donne? Cosimo, questa volta, è veramente incuriosito se non sorpreso; guarda la palma, interroga la memoria; finalmente è costretto a confessare, con modestia, che non è vero. I chiromanti non gli credono.
Ma ciò che ringalluzzisce di più Cosimo è pur sempre la linea della vita, confermata del resto dai tre braccialetti del polso, trent’anni per ogni braccialetto. Questa vita che durerà novant’anni e oltre (lei è eterno, gli disse un giorno un chiromante), senza malattie, senza incidenti violenti, proprio la vita che ci vuole per un uomo come lui cui le linee della mano assicurano nell’avvenire innumerevoli cose che nel passato non avvennero.
Intanto la vita vera di Cosimo, non quella della linea, è molto simile a certi paesi di oriente: poveri, spopolati, aridi, retrogradi, ma pieni di superstizioni mirabolanti. Cosimo è l’arabo che per pochi soldi si fa predire meraviglie dall’indovino; e poi va a dormire, il volto coperto di mosche. E l’avvenire, per lui, è pieno di miraggi irraggiungibili, come il deserto dell’arabo; templi, odalische, giardini e, perfino, la buona semplice acqua che disseta.