In tale contesto Marx leggerà i sintomi inequivocabili del declino della borghesia e l’approssimarsi di una nuova e rivoluzionaria classe, il proletariato.
La filosofia dell’Ottocento sembra rappresentare una delle smagliature più curiose tra le tendenze di un’epoca (in politica, scienza, tecnologia, economia) e il pensiero dei filosofi. Più che in ogni altra epoca precedente, l’uomo sembra sottomettere la natura trasformando questo secolo in un trionfo della tecnologia, popolando la terra di macchine a vapore, edifici di metallo e di cristallo, illuminandola coi prodigi del gas e dell’elettricità, solcando il mare con navi corazzate e il cielo con aerostati, scoprendo nuove leggi del mondo fisico, signoreggiando dunque il mondo della materia e arricchendo la natura di infiniti nuovi oggetti creati dalla tecnologia.
Le grandi costruzioni filosofiche come quelle dell’idealismo, invece, sembrano celebrare lo spirito, il sentimento, l’arte, la storia, elaborando un’idea di sapere che appare quanto mai lontana dalla conoscenza quale la praticano gli uomini di scienza. Per Hegel, la propria filosofia rappresenta il culmine e la sintesi del pensiero occidentale, il sistema in cui si inverano le discipline filosofiche e le posizioni teoriche dei pensatori precedenti, nonché tutti gli altri campi del sapere. In questo contesto, il compito essenziale della filosofia consiste nel ripercorrere tutte le tappe compiute dalla coscienza verso la comprensione di se stessa, sollevando l’esperienza immediata al piano della riflessione. Al cammino della coscienza corrisponde quello della storia, e alla fenomenologia dello spirito individuale si affiancano le figure del diritto, dell’eticità, dello Stato, della religione. In questo senso molta della filosofia del secolo, che sembra separarsi dalla scienza, non è lontana dalla politica e dai grandi problemi dell’etica individuale e collettiva, del diritto, dell’organizzazione sociale.
Con Hegel entra sulla scena filosofica, e lascerà una traccia profonda, l’idea di una processualità del reale che si attua attraverso la contraddizione di posizioni progressivamente superate e collocate su un piano più completo. Ogni fenomeno singolo, ogni realtà individuale, trova un senso solo nell’appartenere a questo quadro processuale e nel connettersi con altri fenomeni, quindi nella sua irrilevanza come singolarità e nel continuo trasformarsi in altro. È un quadro teorico completamente nuovo rispetto alle filosofie precedenti e sarà a partire da questa idea che Marx costruirà gli strumenti storici e concettuali per comprendere il capitalismo come realtà destinata a essere superata.
L’appropriazione da parte di Marx di questo nucleo fondamentale di verità del pensiero di Hegel passa attraverso le critiche di Feuerbach, che a loro volta nascono nell’alveo delle opposte interpretazioni storiche del sistema hegeliano (la “destra” e la “sinistra”, secondo la terminologia comunemente adottata). La critica a Hegel rappresenta, per Feuerbach, la premessa di una critica globale alla religione; essa svela il meccanismo fondamentale che la sostiene, simile a quello hegeliano, e la considera come un prodotto del pensiero che trasfigura in realtà infinite ed eterne le caratteristiche proprie dell’uomo. Al centro della filosofia è posto dunque l’individuo nelle sue qualità concrete e nei suoi bisogni, e non più l’uomo come mera manifestazione dell’idea.
Le osservazioni di Feuerbach influenzano in modo determinante Engels e Marx, i quali, tuttavia, non liquidano affrettatamente Hegel, comprendendo la profondità e l’utilità teorica di due sue grandi intuizioni: la realtà come divenire incessante e il darsi di questo movimento attraverso contraddizioni e conflitti. Vediamo così che il pensiero hegeliano non è poi lontano da quello del suo grande critico, Marx. Questo schema doveva però essere “dislocato” dal regno astratto dell’idea al mondo reale. Se è quindi vero che le intuizioni fondamentali del pensiero hegeliano devono essere mantenute benché “rimesse sui piedi”, occorre tuttavia che la filosofia ceda il passo allo studio dei rapporti reali all’interno dei quali gli individui si muovono, cioè i rapporti di produzione, a loro volta strettamente connessi con lo sviluppo delle forze produttive, cioè della tecnologia. Per questo anche la tradizione dell’utopia, fiorente nell’Ottocento, si fa concreto progetto sociale, dove l’utopista che prefigura una società di eguali è mosso dalla stessa energia progressista che anima lo scienziato.
Per Marx, il sapere che meglio aiuta a comprendere i rapporti concreti che caratterizzano la società è la teoria economica, ed è proprio dallo studio degli economisti – in particolare da teorici come Smith e Ricardo – che Marx trarrà le categorie chiave della sua analisi. Questo quadro teorico globale permette allora di comprendere la realtà, e in particolare la società, come un insieme di forze concrete in conflitto: in tale contesto dinamico Marx leggerà i sintomi inequivocabili del declino della borghesia e l’approssimarsi di una nuova e rivoluzionaria classe, il proletariato.