3. John Stuart Mill

di Dino Buzzetti

3.1 Vastità di interessi

John Stuart Mill (1806-1873) è stato frequentemente considerato il più influente pensatore britannico del secolo XIX. Già pochi giorni dopo la sua morte Henry Sidgwick scriveva che Mill “dal 1860-1865 all’incirca dominò l’Inghilterra nel campo del pensiero” e l’Enciclopedia Britannica gli riconosce fama “duratura” come logico e filosofo morale. Uno dei motivi di questi giudizi va forse rintracciato nell’ampiezza non comune dei suoi interessi. Il suo pensiero ha effettivamente spaziato in campi diversi, dalla logica alla teoria della conoscenza, dall’economia alle scienze politiche e sociali, dall’etica alla filosofia della mente e della religione, per non parlare del suo impegno nelle discussioni e negli affari politici contemporanei.

Crisi esistenziale e metodo filosofico

Vi è in Mill un singolare e stretto collegamento tra vicende esistenziali e sviluppo della propria posizione filosofica. Nell’inverno tra il 1826 e il 1827 Mill, poco più che ventenne, attraversa un periodo di grande turbamento interiore e di profonda trasformazione delle proprie convinzioni che egli stesso, nell’Autobiografia, definisce la sua giovanile “crisi mentale”. L’educazione rigida e inflessibile del padre James lo conduce ad accettare i dogmi dell’ utilitarismo e del radicalismo filosofico, la teoria politica e sociale ispirata da Bentham e della quale il padre è un ardente propugnatore. Per alcuni anni anche il giovane Mill, accolto da Bentham come suo segretario, identifica il proprio “scopo nella vita” con “l’idea di essere un riformatore del mondo” (Autobiografia, 1873) – la “produzione” della “maggiore felicità possibile” è “il solo scopo adatto a tutti i pensieri e le azioni umane”, poiché, “di fatto”, esse sono governate unicamente dal “piacere” e dal “dolore”, in “qualunque circostanza” si trovi l’individuo, ne sia o non ne sia “consapevole” (Osservazioni sulla filosofia di Bentham, 1833). Ma il rendersi conto che l’operare per il bene dell’umanità non lo rende in nulla più felice lo getta in un profondo sconforto. La massima utilitaristica fondata sull’associazione dell’idea della propria felicità con quella della felicità dell’intero genere umano non resiste alla “forza dissolvente dell’analisi” e, com’egli scrive, “sapere che un sentimento mi avrebbe reso felice se lo avessi sentito, non mi faceva sentire quel sentimento” (Autobiografia). La risoluzione della crisi è determinata, in Mill, dalla consapevolezza di non essere, come sostengono le teorie del padre, uno “schiavo impotente delle circostanze”, ma di avere autonomamente, per quanto le circostanze agiscano sulla formazione del carattere, “un potere effettivo” di “modificare” le proprie “abitudini” e le proprie “capacità di volere”. E più tardi egli scriverà che “noi siamo in grado di formare il nostro carattere, se lo vogliamo, tanto quanto gli altri”, attraverso l’educazione e il disciplinamento, “sono in grado di formarlo per noi”. Il fatto che il nostro carattere sia formato “per noi”, come sostengono utilitaristi e owenisti, non deve essere giudicato incompatibile con il fatto che sia formato anche “da noi”. Questa nuova consapevolezza modifica radicalmente le opinioni che Mill ha fatto proprie negli anni della sua formazione utilitaristica (Sistema di logica, 1843).

È in particolare la lettura di un libro di memorie in cui si racconta della morte del padre a provocare in Mill una grande emozione e a fargli scoprire l’importanza della “coltivazione dei sentimenti” (cultivation of feelings) per l’autonoma formazione del proprio carattere. È nella “cura di sé” che egli riconoscel’elemento decisivo della formazione della personalità. Mill si apre così alla lettura della poesia, di Wordsworth in particolare, e negli autori romantici, Goethe e soprattutto Coleridge, scopre le radici teoriche per il superamento della limitatezza e dell’unilateralità della dottrina utilitaristica. Spesso si è voluto insistere su un supposto ritorno di Mill maturo alle giovanili posizioni utilitaristiche, ma la trasformazione delle opinioni prodotta dalla crisi mentale era stata profonda e duratura e soprattutto ne aveva modificato le convinzioni teoriche in maniera radicale e decisiva. Importante per questi temi è un saggio, spesso ignorato, sulla poesia e la funzione del poeta (Che cos’è la poesia?, 1833). A suo giudizio, la poesia ha una funzione fondamentale nella coltivazione dei sentimenti e nella formazione di associazioni di idee indissolubili e capaci di agire sulla volontà. Non basta conoscere la verità perché essa riesca a determinare il volere: sapere non è fare, se sapere non è sentire; e se certe verità hanno mai la possibilità di muovere all’azione, ciò è dovuto soprattutto all’opera del poeta. Egli considera la trattazione della mente del poeta come una sorta di lavoro preliminare per la costruzione di una vera e propria “scienza della formazione del carattere”: la vagheggiata “etologia,” un progetto costantemente perseguito per l’intero corso della sua vita e tuttavia mai realizzato.

Uno dei cardini principali della “trasformazione” prodotta dalla crisi “nelle opinioni e nel carattere” di Mill è costituito, inoltre, dal principio della multilateralità. L’applicazione di questo principio lo porta a considerare tutti i punti di vista per trovare quella parte di verità che è presente in modi di pensare diversi e perfino incompatibili tra loro. Ciò significa concretamente per lui superare la “visione incompleta” dei problemi e l’“unilateralità” che ora riesce a scorgere nel pensiero di Bentham.

ESERCIZIO

E12: John Stuart Mill

Ma per dare buoni frutti, lo studio delle idee altrui deve fondarsi sullo “studio scientifico della mente umana”. La trasformazione delle opinioni e dei “modi di pensare” esige, per Mill, un sicuro fondamento teorico e “l’unico arbitro comune a cui tutti possono appellarsi” per superare la frammentazione delle opinioni provocata dall’unilateralità dei sistemi e favorire la capacità di comprensione reciproca di punti di vista diversi e apparentemente inconciliabili è, a suo giudizio, la “filosofia della mente”, ovvero, più in generale e per usare i suoi stessi termini, una “metafisica” scientificamente fondata: “È principalmente attraverso lo studio della metafisica che gli uomini possono infatti essere portati a comprendere e ad ammettere, nella pratica, che sentimenti di cui essi stessi sono incapaci sono ciò nonostante sentimenti legittimi; e a correggere le loro vedute parziali per mezzo delle vedute parziali di altre persone” (Smart’s Outline of Sematology, Recensione a Smart, 1832).

D.B.

3.2 Il problema del metodo e la logica

A questa ampiezza di interessi Mill cerca di dare un fondamento solido, così da non cadere nell’eclettismo totale, collegandola a un problema di metodo. Prende così corpo il grande progetto della logica e della fondazione delle scienze morali (Sistema di Logica, 1843, vol. VI). Infatti, per trovare fondamenti davvero sufficienti a fare delle questioni etiche e politiche “una materia di precisa e filosofica considerazione” (Osservazioni sulla filosofia di Bentham, 1833) occorre “fare luce il più possibile in materia di metodo”, rinnovando la scienza della scienza stessa, l’unica che Mill si senta mai “capace di fare progredire” (Prime lettere, 1812-1848).

Anche nel campo della logica, il problema è quello di fare coesistere la logica della coerenza e del puro raziocinio, in cui eccellono i seguaci di Bentham, con una “logica della verità” e dell’inferenza reale necessaria alla fondazione multilaterale delle scienze politiche e sociali (Sistema di logica). Certamente spetta al metafisico “la percezione delle Realtà più alte per intuizione diretta”, ma è compito del logico far comprendere dimostrativamente la verità a coloro che stentano a riconoscerla. È vero che “la logica non prova nulla”, ma è la logica che “fa chiaramente vedere se e come tutte le cose sono provate” (Prime lettere). Occorre dunque conciliare la pura deduzione con la prova di fatto, superando la difficoltà della scoperta di nuove verità per mezzo del sillogismo: la soluzione proposta da Mill costituisce la chiave di volta di tutta la sua costruzione intellettuale (Autobiografia, 1873).

Il sillogismo, o il ragionamento deduttivo in genere, ci pone di fronte a un paradosso. Indubbiamente “si deve ammettere”, osserva Mill, “che in ogni sillogismo c’è una petitio principii” – ovvero una “petizione di principio” consistente nel presupporre implicitamente dimostrata la stessa tesi che si pretende di dimostrare –, poiché “da un principio generale non possiamo inferire nessun fatto particolare, al di fuori di quelli che il principio stesso assume come noti”. Eppure l’esperienza quotidiana ci dice che “si arriva a verità non precedentemente pensate, a fatti che non sono stati e non possono essere direttamente osservati, per mezzo del ragionamento generale”, o del sillogismo, che è appunto la forma di ragionamento dal generale al particolare (Sistema di logica). Come si possono allora trovare, ragionando, nuove verità che non siano già contenute nelle premesse?

Mill risolve “il grande paradosso della scoperta di nuove verità attraverso il ragionamento generale” sostenendo che l’asserzione generale che costituisce la premessa maggiore del sillogismo non è una vera e propria premessa usata nella deduzione, è piuttosto una regola che utilizziamo per inferire dall’asserzione particolare che costituisce la premessa minore del sillogismo, l’asserzione altrettanto particolare che ne costituisce la conclusione. Che anche l’invincibile duca di Wellington, ancora vivente, sia mortale è una conclusione a cui non si può giungere “per osservazione diretta”, ma solo assumendo la regola che tutti gli uomini lo siano e “per mezzo di un ragionamento” che poteva essere esposto in forma sillogistica: “Tutti gli uomini sono mortali, il duca di Wellington è un uomo, quindi il duca di Wellington è mortale” (Sistema di logica). Dunque, secondo Mill, solo un’inferenza reale, ossia un’inferenza dal particolare al particolare può costituire un ragionamento valido; ma tutti i ragionamenti validi possono allo stesso tempo essere generalizzati e debbono essere presentati in forma generale, perché ne sia verificata la legittimità (Sistema di logica).

I principi intermedi

Allo stesso modo, la scelta delle istituzioni utili al governo della società non può essere determinata a priori, ma dipende da circostanze di fatto, che tuttavia possono essere considerate valide, perché deducibili dalle leggi generali della storia. Solo la soluzione logica del paradosso del sillogismo può quindi indicare a Mill il modo di determinare la funzione di quei “principi intermedi”, che è possibile ricavare superando ogni forma di unilateralità e ponendosi nell’ottica della multilateralità. Su tali principi gli uomini “possono essere portati a convenire più facilmente che non sui loro principi primi e su di essi si può ragionevolmente ricercare l’accordo tra persone che manifestino una divergenza diametrale sulle questioni di metafisica morale” (Sistema di logica).

Questo atteggiamento di Mill viene definito l’“eclettismo pratico”. Un approccio che non rinuncia a difendere la “scuola dell’esperienza” contro la “scuola dell’intuizione” e a distinguere la conoscenza ricavata dai fatti dal pregiudizio, rifiutando ogni sentimento che sia manifestamente artificiale, ogni generalità assunta come ideale di virtù, dietro la quale si celino soltanto interessi di classe, manifestamente parziali e sinistri. L’obiettivo della logica è dichiaratamente quello di riuscire a fondare la morale e la filosofia della mente su basi empiriche, contro la filosofia dell’intuizione. Mill è convinto “che quasi tutte le differenze di opinione sono, se analizzate, differenze di metodo” (Prime lettere). Diventa allora possibile, a partire da principi secondari comunemente riconosciuti, verificare la compatibilità tra ciò che tutti accettano e i rispettivi principi primi. La logica può così essere considerata come un vero e proprio “libro di testo della dottrina che si oppone a quella concezione aprioristica della conoscenza umana che si erge come il grande sostegno intellettuale delle false dottrine e delle cattive istituzioni (Autobiografia). Si tratta quindi semplicemente di concordare sul metodo, i cui principi non sono in coscienza stati affermati allo scopo di stabilire opinioni preconcette, e di accogliere come principi intermedi della scienza sociale e politica principi accettati comunemente da scuole diverse e riconosciuti come veri in un’ottica multilaterale.

ESERCIZIO

E11: John Stuart Mill

3.3 Individuo e società

Sulla base di questi principi di metodo e di questo nuovo modo di pensare Mill procede ad ampliare l’ambito delle opinioni accettabili e accettate sul piano delle dottrine morali e delle teorie politiche e sociali. L’adeguatezza del metodo ne garantisce la corretta fondazione scientifica.

Così l’immaginazione poetica viene a costituire il nucleo della sua progettata scienza della formazione del carattere, e la filosofia della cultura, mutuata dal poeta inglese Samuel Taylor Coleridge e dalla sua scuola, costituisce la base per una teoria scientifica dello sviluppo sociale, combinata con la filosofia della storia ripresa dalle teorie di Saint-Simon.

La struttura teorica della “scienza dell’uomo individuale” e della “scienza dell’uomo in società” risultano alla fine molto simili. Infatti, Mill introduce tra le motivazioni dell’agire, accanto all’interesse personale, i sentimenti morali colti dall’immaginazione; questi sono costituiti da abiti che si consolidano per gli effetti prodotti sul nostro io dalle azioni compiute consciamente; in questo modo egli riesce a spiegare come, attraverso l’educazione interiore, l’individuo guidato dall’immaginazione contribuisca autonomamente alla formazione del proprio carattere. In modo del tutto analogo, Mill comprende tra le ragioni dell’obbedienza all’autorità costituita non solo il desiderio dei singoli di tutelare i propri interessi materiali, ma anche le credenze e i sentimenti che sono oggetto dell’immaginazione collettiva, ossia quegli abiti sociali che si formano per gli effetti prodotti sulla società dalle stesse istituzioni, scelte, rispettate e dirette dalla mentalità collettiva; diventa così possibile spiegare, a suo giudizio, come il corpo sociale riesca a orientare autonomamente, attraverso un adeguato sistema di istruzione, lo sviluppo del proprio carattere nazionale.

Impegno civile

ESERCIZIO

E10: John Stuart Mill

Questo insieme di concetti costituisce la base per lo sviluppo delle sue più mature teorie politiche e sociali e del suo impegno culturale e civile nelle discussioni e nelle battaglie politiche del tempo. Lo dimostrano il saggio Sulla libertà (1859), che propugna un’idea di libertà individuale, di azione e di opinione, radicale, il cui unico limite è dato dalla eventuale minaccia alla libertà degli altri individui, e Sull’asservimento delle donne (1869), frutto del comune lavoro con sua moglie, la suffragetta Harriet Taylor; in quest’ultimo testo, alle rivendicazioni di carattere economico (come la parità di retribuzione) si affiancano quelle di natura giuridica (come la piena uguaglianza nell’ambito dei diritti civili) e politica (diritto di voto e di eleggibilità a tutte le cariche pubbliche).

TESTO

T5: John Stuart Mill, L'individuo e il suo valore

Le suffragette e il diritto di voto alle donne

Tra la seconda metà dell’Ottocento e gli anni che precedono lo scoppio della prima guerra mondiale si assiste a una costante espansione dei movimenti per i diritti delle donne dall’Inghilterra verso l’intera Europa, sino a raggiungere anche il continente nordamericano. Le donne inglesi sono tra le prime a sostenere la causa del suffragio femminile (da cui la parola “suffragette”), cioè dell'estensione del diritto di voto alle donne. Anche John Stuart Mill (marito della suffragetta Harriet Taylor), con Sull'asservimento delle donne (1869), sostiene la causa dei diritti politici delle donne: ad esse va riconosciuta la parità dei diritti civili e politici nei confronti del sesso maschile, e di conseguenza il libero accesso a tutte le professioni e le funzioni pubbliche; il riconoscimento o meno di tali diritti, per il filosofo inglese, costituiva l'indice del livello di civiltà di una nazione.

Se in Inghilterra, dove nel 1903 Emmeline Pankhurst fonda a Manchester la Women’s Social and Political Union, il diritto al voto sarà riconosciuto alle donne nel 1918 (con il Representation of the People Act), a lungo persisteranno diversità tra i sistemi giuridici europei in merito: mentre la capacità politica e di conseguenza il diritto di accedere al voto saranno riconosciuti alle donne in Norvegia nel 1913, in Spagna ciò accadrà soltanto nel 1931, in Italia bisognerà aspettare il secondo dopoguerra (1946), in Svizzera il 1971 e in Portogallo, addirittura, il 1976.

La libertà civile di Mill

Il pensiero politico di John Stuart Mill è condensato nel saggio Sulla libertà, concepito come breve saggio nel 1854 e successivamente accresciuto di considerazioni e giudizi, grazie anche alla collaborazione della moglie Harriet, fino a raggiungere la forma con cui viene pubblicato nel 1859. Il testo è un classico del pensiero liberale ottocentesco, perché condensa quell’idea di democrazia su cui diversi intellettuali europei si erano interrogati, a partire da Benjamin Constant e Alexis de Tocqueville, dopo l’esperienza della Rivoluzione francese. Con varie sfumature, essi avevano rafforzato l’idea che la sola forma di democrazia compatibile con lo Stato liberale, cioè con lo Stato che riconosce e garantisce alcuni diritti fondamentali – quali le libertà di pensiero, di religione, di stampa, di riunione –, fosse la democrazia rappresentativa o parlamentare, intesa come filtro tra corpo elettorale e direzione politica dello Stato. La partecipazione al potere politico, considerata l’elemento caratterizzante della democrazia, viene risolta anch’essa come una delle tante libertà individuali che il cittadino ha rivendicato e conquistato contro lo Stato assoluto. La partecipazione tramite rappresentanti non è altro che uno degli elementi della più generale libertà che si articola, oltre che nel diritto di esprimere la propria opinione, di riunirsi o di associarsi per influire sulla politica del paese, anche nel diritto di eleggere rappresentanti al parlamento e di essere eletti.

Storia delle libertà

Il libro di Mill forniva lo sfondo storico delle libertà; esso è inteso come un lungo e conflittuale processo, le cui origini risalgono all’Europa del Cinquecento, della crisi religiosa e delle battaglie per la libertà di coscienza. Scrive Mill che proprio sul “campo di battaglia” della lotta per la tolleranza e per la libertà religiosa in età moderna “i diritti dell’individuo sono stati rivendicati su un’ampia base di principio”, e che tale rivendicazione è all’origine di buona parte delle discussioni sulla misura e sulla natura delle libertà in merito alla nascita e alla morte, alla procreazione, alle propensioni sessuali, alla ricerca scientifica, all’espressione di pensieri e opinioni, all’informazione, all’attività politica, alle pratiche religiose, ai diritti sociali. L’accento si sposta quindi dallo Stato all’individuo, dal potere ai diritti, dall’autorità astratta e generale alla sovranità individuale. Passaggio decisivo era stata la Rivoluzione francese che aveva spezzato l’antico regime, inteso da Mill come tirannide assoluta, sistema oppressivo in cui ogni uomo era alla mercé di altri uomini, in cui le ingiustizie erano reali e radicate nella stessa struttura sociale e politica.

L’individuo al contrario doveva essere sovrano nei diritti e questi caratteri di sovranità si esprimevano “in direzioni innumerevoli e contrastanti”. L’evoluzione dall’originario credo utilitarista a una posizione sensibile al desiderio di uguaglianza politica delle donne e alla condizione della classe lavoratrice pongono Mill al crocevia tra liberalismo, pensiero democratico e socialismo. La lezione che aveva appreso dal padre James, esponente di punta del radicalismo inglese, e da Jeremy Bentham, secondo cui le istituzioni si potevano riordinare secondo un piano razionale, doveva misurarsi con le tensioni e i problemi del suo tempo, quando la Francia dopo le rivoluzioni del 1848 aveva imboccato la strada del Secondo Impero di Napoleone III, un regime autoritario, antiparlamentare, populistico, seppure basato su una sanzione altamente democratica (almeno nella forma), come il referendum sotto forma di plebiscito. L’Inghilterra governata dalla regina Vittoria era a sua volta attraversata dalle agitazioni della classe operaia, con il parallelo sviluppo delle organizzazioni sindacali, con il movimento cartista che aveva organizzato agitazioni volte a ottenere una carta del popolo fondata sul riconoscimento del suffragio universale a scrutinio segreto e sull’eleggibilità dei non proprietari. L’ottimismo astratto del liberalismo classico doveva fare i conti con queste nuove dimensioni della politica e con l’idea, affermata in particolare da Tocqueville, che la democrazia potesse essere il veicolo di una nuova tirannide, la “tirannide dell’opinione prevalente”, esercitata in campo sociale e politico.

Individuo e Stato

Nel Saggio sulla libertà Mill afferma che nell’originalità di ciascun individuo risiede il fondamento del benessere della società, distinguendo tra “azioni che riguardano se stessi” e “azioni che riguardano gli altri”. L’azione dello Stato è circoscritta alla sfera pubblica, con l’unico scopo di prevenire minacce alle libertà dell’individuo. Convinto del carattere dialettico, storico e conflittuale delle verità, Mill difende i diritti delle minoranze dissenzienti anche contro il parere delle maggioranze e vede in questa dimensione della politica il fondamento delle libertà e dello sviluppo.

Le sue riserve verso una democrazia totale, allargata indistintamente a tutti, che teme potrebbe degenerare nella tirannia della maggioranza e del conformismo massificato, non gli impediscono di caldeggiare l’allargamento del suffragio a tutti i cittadini (a esclusione di soggetti manipolabili dalla maggioranza e privi di coscienza civile come gli analfabeti e gli indigenti che vivono di elemosina o lavorano nelle work-houses, istituzioni fondate dalle parrocchie per fornire lavoro e assistenza ai poveri e agli infermi). Il suffragio da lui preconizzato si coniuga con un voto plurimo, di differente peso elettorale, che sia la trasposizione dei livelli intellettuali ed educativi, e controbilanci, così, “il peso numerico delle classi meno colte”.

La libertà richiede a suo avviso di essere bilanciata da un sistema che impedisca l’instaurarsi di una democrazia autoritaria, come quella della Francia di Napoleone III, in cui un governo potrebbe esercitare un potere arbitrario e lesivo delle libertà individuali grazie a un ampio consenso popolare. Nel Saggio afferma la centralità della sfera privata di ogni individuo, che è signore assoluto della sua vita e del suo pensiero, e il carattere illegittimo di qualsiasi interferenza nella sfera privata da parte di altri individui o di gruppi sociali o di organismi di potere o di opinioni prevalenti nella società. La libertà di cui parla Mill si articola nello specifico in tre differenti ambiti. Il primo consiste nella libertà di pensiero, di coscienza, di opinione, di sentimento. Il secondo nella libertà di seguire uno stile di vita che corrisponda alle inclinazioni individuali, senza che alcuno frapponga ostacoli. La terza sfera riguarda gli aspetti politici e sociali, in quanto postula la libertà di associazione. L’unico limite, presidiato dalla legge, consiste nell’impedire che qualcuno possa recare danno ad altri nell’esercizio dei propri diritti di libertà.