Verso le scienze umane

Le scienze umane costituiscono una novità che si presenta come la delineazione di un’autentica fenomenologia dell’umano, resa possibile da una distinzione concettuale [...] tra scienze della natura e scienze dello spirito.

Il concetto di scienze umane è immediatamente sovrapponibile a quello di scienze dell’uomo? Se è così, esse sono sempre esistite: a monte, già nel Corpus di Ippocrate possiamo leggere che per praticare la medicina occorre anzitutto sapere che cosa sia l’uomo; la medicina altro non sarebbe che l’applicazione di una parte di quel sapere che verte sull’uomo in quanto tale. A valle, lo stesso Hegel, nella Fenomenologia dello spirito, rintraccerà la genesi di quelle scienze (psicologia, antropologia, frenologia) in cui la ragione umana osserva se stessa nel mondo reale. Tuttavia l’aggettivo “umano” non si limita a designare l’uomo, ma si accompagna a una forte connotazione valutativa e si collega al sostantivo “umanità”, che include valori morali come la “dignità”, o produzioni come la “cultura” ecc.

Allora, l’aggettivo “umano” che troviamo nell’espressione “scienze umane” in parte nasconde un complemento di argomento – scienze che trattano dell’uomo, che hanno l’uomo come loro oggetto – e in parte, ma altrettanto, se non più essenzialmente, nasconde un implicito: si tratta di scienze in cui l’uomo parla di sé, esibisce se stesso “da par suo”, nel modo più adeguato e degno di ciò che egli è, in quanto essere che pensa, parla, produce simboli ed elabora valori culturali.

Le scienze umane costituiscono pertanto, nel periodo che stiamo considerando, una novità che si presenta come la delineazione di un’autentica fenomenologia dell’umano, resa possibile da una distinzione concettuale che, anche se ben presto accantonata, non ha però cessato di produrre i suoi effetti: si tratta della distinzione tra scienze della natura e scienze dello spirito, oggettive le prime, interpretative le seconde, perché nelle scienze umane il soggetto studia, pensa, infine dice ciò che lui stesso è in quanto uomo.

Contemporaneamente, in una sorta di doppio movimento circolare, la situazione si capovolge: come ha mostrato nel Novecento il filosofo francese Michel Foucault nel suo scavo archeologico delle scienze umane, ci troviamo di fronte a una griglia in cui il soggetto della scienza diventa oggetto di un esame permanente che dovrà misurarne, appunto, l’umanità o addirittura produrla se ancora latente: educare (dal latino e-ducere “trarre fuori”) l’uomo che è in noi, avvicinare il più possibile all’umanità coloro che vi partecipano solo in parte.

La prospettiva evoluzionista è il paradigma che sta alle spalle delle prime ricerche di antropologia comparata. Il contatto diretto con le popolazioni “primitive” è garantito dall’apporto di missionari, militari e amministratori delle colonie, i quali forniscono quella materia prima su cui poi studiosi di professione potranno costruire teorie ed elaborare leggi generali dello sviluppo dell’uomo. Ma anche la linguistica nel XIX secolo troverà uno sviluppo prodigioso volto a ricostruire, a partire dall’analisi comparativa di lingue quali greco, latino e sanscrito, un ceppo comune: l’“indoeuropeo”.

L’uomo in quanto vive e produce oggetti e simboli, e l’uomo in quanto essere parlante, costituiscono i due lati di un approccio delle scienze umane, ai quali vanno aggiunti l’uomo in quanto essere pensante e l’uomo in quanto perfettibile, cioè come soggetto e oggetto dell’educazione. Metodo sperimentale – attento alle dinamiche introspettive almeno quanto alle determinanti neurologiche dell’attività mentale –, attenzione e preoccupazione per la scolarizzazione di soggetti svantaggiati o precedentemente esclusi, passaggio dal concetto di “educazione” a quello più ampio e duraturo di “formazione” (processo destinato sempre di più ad accompagnare l’uomo in tutte le tappe della sua vita): ecco gli ultimi due lati di quello che, parafrasando Foucault, potremmo definire il “tetraedro delle scienze umane”, in cui l’uomo appare o meglio si produce e si attiva come soggetto problematizzante e allo stesso tempo problematizzato.