Nato ad Ales (Cagliari) nel 1891 da famiglia della piccola borghesia, Antonio Gramsci studia alla facoltà di lettere dell’università di Torino. Già manifesta una forte passione politica orientata al socialismo. Nonostante la malferma salute lo costringa a interrompere più volte gli studi, frequenta con passione i corsi di letteratura italiana, filosofia teoretica e glottologia. Si iscrive al Partito Socialista (1913) e ben presto intraprende un’intensa attività giornalistica (dal 1914 collabora con il “Grido del Popolo”, del quale diviene nel 1917 direttore, quindi con “l’Avanti!”; nel 1919 fonda “L’Ordine Nuovo” e cinque anni dopo “l’Unità”), che caratterizza – insieme alla militanza e all’attività di dirigente politico – la prima fase della sua produzione, sino all’arresto e alla detenzione.
Gli articoli (perlopiù anonimi e “scritti alla giornata”) sono spesso rilevanti testi politici, come nel caso di Neutralità attiva ed operante (31 ottobre 1914), nel quale alla parola d’ordine della direzione del PSI (“neutralità assoluta”) è contrapposta l’idea che, ribadita l’opzione neutralista, il partito debba farsi carico anche della “questione nazionale” (cioè sociale), “ridando alla vita nazionale il suo genuino e schietto carattere di lotta di classe”.
All’indomani della prima guerra mondiale, Torino è la capitale della lotta operaia di cui il gruppo dell’Ordine Nuovo, diretto da Gramsci, è protagonista. L’omonimo settimanale guida l’esperienza dei consigli di fabbrica, ispirati al modello dei soviet e concepiti come embrioni di un nuovo Stato operaio. Tra la primavera e l’estate del 1920 il conflitto precipita, ma tanto il primo sciopero generale (dichiarato contro il tentativo padronale di sciogliere i consigli), quanto l’occupazione delle fabbriche si concludono con la vittoria del padronato, avvisaglia dell’imminente offensiva reazionaria.
Convinto che la sconfitta operaia consegua alla carenza di direzione politica e sindacale, il gruppo ordinovista apre la battaglia per il “rinnovamento” del Partito Socialista, ottenendo il sostegno dello stesso Lenin. Il PSI appare a Gramsci “un conglomerato di partiti”, incapace di assumersi la responsabilità “delle azioni rivoluzionarie che gli avvenimenti incalzanti incessantemente gli pongono”, “un povero notaio che registra le operazioni compiute spontaneamente dalle masse”. È l’avvio della scissione della componente comunista, che si consuma a Livorno, sotto la guida di Amadeo Bordiga, nel gennaio del 1921, durante il XVII congresso del PSI.
Per due anni (tra il maggio 1922 e l’aprile 1924) Gramsci è all’estero. Sino al novembre del 1923 è a Mosca, quale rappresentante del nuovo Partito Comunista d’Italia nel comitato esecutivo dell’Internazionale comunista. Qui le sue condizioni di salute si aggravano. Ricoverato in un sanatorio alla periferia della capitale, conosce Giulia Schucht, che diventerà la sua compagna. Dal 3 dicembre 1923 è a Vienna, con l’incarico di seguire da vicino le vicende del PCd’I e le relazioni con gli altri partiti comunisti europei.
La sua leadership si afferma incontrastata anche per l’incalzare dell’offensiva reazionaria del regime fascista contro i dirigenti socialisti e comunisti. Ormai è in carcere l’intero comitato esecutivo del PCd’I. Ma decisiva è soprattutto la sua consapevolezza del rischio che, a seguito dell’orientamento settario della direzione bordighiana, il partito si trasformi in un “morboso movimento minoritario”, proprio in un momento in cui è vitale evitarne l’isolamento sul piano interno e internazionale.
Il 12 febbraio 1924 esce il primo numero de “L’Unità”, organo del PCd’I, fondato da Gramsci, che, due mesi più tardi, eletto deputato alla camera, fa rientro in Italia. Il titolo del giornale riassume il cuore della sua linea politica: unità tra la classe operaia del Nord e le masse rurali del Sud, e costruzione di un partito di massa. È la linea che di lì a poco ispira le Tesi di Lione, redatte, in collaborazione con Togliatti, in vista delcongresso del partito (gennaio 1926). Si avverte, in queste pagine, un salto di qualità per respiro e profondità della riflessione. Centrale è l’analisi del ruolo dei “grandi intellettuali” nella “centralizzazione” ideologica di un “mostruoso blocco agrario”, alleato “del capitalismo settentrionale e delle grandi banche”. La grave responsabilità di Benedetto Croce risalta a fronte della figura di Piero Gobetti, esempio di intellettuale borghese non comunista, capace di rompere con la propria classe e di interpretare un ruolo progressivo grazie al riconoscimento della “posizione sociale e storica del proletariato” e della conseguente impossibilità di “pensare astraendo da questo elemento”.
Con l’arresto, avvenuto l’8 novembre 1926, ha inizio il calvario decennale di Gramsci, destinato a concludersi con la morte. Imprigionato a Regina Coeli, è dapprima inviato al confino a Ustica, quindi (gennaio 1927) tradotto nel carcere milanese di San Vittore. Gramsci è condannato a vent’anni, quattro mesi e cinque giorni con l’accusa di “insurrezione, cospirazione, incitamento all’odio di classe e alla guerra civile”, e rinchiuso nella casa penale speciale di Turi (Bari), dove rimarrà sino al novembre del 1933.
L’impatto col nuovo carcere è subito durissimo. In questo clima nascono i trentatré Quaderni del carcere, composti tra il febbraio 1929 e l’agosto 1935. Della sua estrema sofferenza fisica e morale fanno fede le Lettere dal carcere scritte ai familiari. Sul piano letterario e biografico, e anche sul terreno teorico e storico (le lettere sono anche un mezzo di comunicazione col partito, più o meno in codice), l’epistolario è un documento fondamentale.
I Quaderni sono indiscutibilmente l’opera che ha fatto di Gramsci una tra le massime figure della cultura del Novecento, uno degli autori più tradotti, citati e studiati in tutto il mondo. Ma leggerli non è cosa agevole. Non si tratta soltanto di un’opera postuma, che in quanto tale esige (per usare parole dello stesso Gramsci) “molta discrezione e cautela”, e la consapevolezza che il suo contenuto è “ancora provvisorio”. Composti in condizioni estreme, essi offrono un testo frammentato e labirintico, nonostante lo sforzo che Gramsci compie di conferire loro unità.
Per ovviare a questo inconveniente Togliatti, nel varare la prima edizione dell’opera (1948-1951), opta per la sua organizzazione in sei saggi organici: Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce; Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura; Il Risorgimento; Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo Stato moderno; Letteratura e vita nazionale; Passato e presente (una nuova e importante edizione critica è uscita in seguito, nel 1975, a cura di Valentino Gerratana).
La massa dei temi trattati in oltre duemila pagine a stampa è pressoché sconfinata. L’interesse si concentra in primo luogo sul problema dell’intreccio tra politica e cultura, quindi sul ruolo politico dell’intellettualità. Ciò non perché Gramsci si disinteressi degli aspetti “materiali” della dinamica sociale, ma perché coglie l’importanza che il lavoro intellettuale riveste nella società contemporanea, in ragione della sua “complessità”. Da questo, che è il suo fulcro originario, la ricerca si dirama in diverse direzioni, tra loro connesse.
La discussione sul senso comune conduce all’analisi della funzione ideologica della cultura dominante e si organizza intorno alla critica della filosofia crociana. La riflessione intorno alle condizioni della possibile autonomia intellettuale e politica del proletariato conduce allo studio delle forme di organizzazione dei partiti politici di massa e, in specie, del partito operaio (il “moderno Principe”). La contesa teorica con Croce si salda, a sua volta, all’approfondimento della posizione filosofica dei classici del materialismo storico e delle sue fonti, mentre l’analisi della società contemporanea spinge, da un lato, alla disamina delle caratteristiche della modernità (rilette alla luce del processo di formazione degli Stati nazionali europei, con particolare riferimento alla Rivoluzione francese e al Risorgimento), dall’altro alla discussione sulle due forme (fascismo e fordismo) di “rivoluzione passiva” e di “stabilizzazione” nella fase attuale della “crisi organica” del capitalismo. In questo contesto prende forma un’originale teoria politica, tuttora considerata fondamentale nella discussione contemporanea, incentrata sulla consapevolezza del ruolo decisivo della soggettività e incardinata su un insieme di concetti (“rapporti di forza”, “blocco storico”, “economico-corporativo”, “previsione”, “società regolata”) e polarità dialettiche (“struttura-sovrastrutture”, “società civile-Stato”, “guerra di posizione” e “di movimento”) che i Quaderni riformulano in termini nuovi.
Questo poderoso sforzo intellettuale è compiuto mentre le condizioni psichiche e fisiche di Gramsci peggiorano costantemente. Nella primavera del 1933 a Gramsci viene diagnosticato, insieme a gravi patologie vascolari (ipertensione e arteriosclerosi), il morbo di Pott (una forma di tubercolosi ossea che distrugge la colonna vertebrale). Consapevole delle ricadute che la morte di Gramsci in carcere avrebbe anche sul piano internazionale, il regime dispone il suo trasferimento prima a Formia e poi a Roma. Riacquistata il 21 aprile del 1937 la piena libertà, Gramsci si spegne sei giorni dopo, il 27, a seguito di un’emorragia cerebrale. Le sue ceneri sono tumulate nel cimitero acattolico romano del Testaccio. I manoscritti dei Quaderni vengono inviati in Unione Sovietica in un baule di posta diplomatica, insieme alle lettere, ai libri e a pochi oggetti personali appartenuti a Gramsci negli anni del carcere. Giungono a Mosca nel luglio del 1938, e da lì torneranno, dopo la guerra, in Italia, per divenire uno strumento fondamentale della lotta democratica.