Il Novecento. Discipline filosofiche e scientifiche

È ormai accettata comunemente la pluralità, se non delle verità, dei modi di accesso a esse; il che, calato nella storicità del sapere filosofico, si traduce nella rinuncia a ogni pretesa di un coordinamento forte dei saperi.

La lontananza nel tempo agisce da filtro, e cioè stabilisce quali fenomeni debbano essere considerati rilevanti e caratterizzanti e quali invece possano venire – se non dimenticati – riposti negli archivi del passato, dai quali gli studiosi di volta in volta attingono scegliendo di rimettere in luce autori e teorie e lasciandone altri nell’ombra. Assai più difficile risulta storicizzare, descrivere e quindi interpretare alcuni punti fondamentali della ricerca filosofica del secolo appena trascorso, se non, addirittura, di quella contemporanea. Il proliferare delle discipline (filosofiche, scientifiche, letterarie e artistiche), la pluralità dei metodi di indagine, i linguaggi specialistici, la profondità e la complessità degli intrecci sono innumerevoli, e pertanto è inutile cercare di classificarle o ridurle a unità. La varietà della ricerca storica e lo studio del passato ci hanno mostrato che è sempre stato così. Ma oggi tali e tante sono le scelte da compiere e i nodi da sciogliere, o da lasciare intrecciati, che la messa in prospettiva rischia di appiattirsi sempre più sul dato presente, sulla moda o, infine, su modelli precostituiti frutto di pregiudizi. Così, sia in relazione alla connessione tra filosofia, scienze umane, letteratura, arti, sia in rapporto a quella tra filosofia e scienze naturali sia, infine, in merito alle categorie e ai principi etici e normativi che orientano la ricerca, è davvero molto difficile non cadere nella tentazione di sintesi approssimative che facciano del termine “filosofia” una sorta di calderone dove si perdono il valore e il senso della responsabilità di chi fa ricerca, e tutto si mescola e si scolorisce. Correremmo il rischio di quel personaggio di Borges, Funes el memorioso, che, proprio perché tutto ricordava, poco o nulla capiva.

Rivolgendosi all’oggi, il problema della salvaguardia e della trasmissione di un sapere comune e condiviso pare più affidato al senso comune e alla capacità di saper negoziare un’arte ragionata dell’oblio, prima che a quella di una memoria, che, nel rumore informativo, assume sempre più le forme della perdita della capacità di trattenere teorie, tradizioni, concetti, norme e valori.

In assenza del “filtro della lontananza”, negli intrecci di questa sezione abbiamo cercato di delineare confini e prospettive di un modello di tolleranza intellettuale, il quale, senza rinunciare all’identità e autonomia del sapere filosofico, non si risolva tuttavia né in contrapposizioni drastiche né in iperspecializzazioni, derive linguistiche prive di senso e facili analogie. Ben vengano le categorie che ogni disciplina costruisce per avere accesso al mondo, l’incommensurabilità tra le teorie, l’indeterminatezza delle traduzioni tra un sapere e l’altro, ma a patto di non cadere mai in una sorta di “sopraffazione da teoria” che impedisca di guardare con la dovuta attenzione al mondo che è attorno a noi: i problemi filosofici provengono dal mondo e per questo continuano a sorgere nuovamente, di generazione in generazione, nella testa della gente. Come ha scritto la poetessa Wisława Szymborska, “ogni volta che provo a tradurre le cifre in un’immagine concreta, mi compare davanti agli occhi un uomo tutt’intero cui spetta una donna tutta intera”.

È ormai accettata comunemente la pluralità, se non delle verità, dei modi di accesso a esse; il che, calato nella storicità del sapere filosofico, si traduce nella rinuncia a ogni pretesa di un coordinamento forte dei saperi. Proprio per questo, la struttura di quest’ultima sezione assume un carattere più impegnativo: attraverso un confronto tra discipline, infatti, essa si apre a un’appassionata difesa della ragione anche nelle sue forme più critiche. L’affiancarsi di filosofia e fisica, filosofia e matematica, filosofia e diritti ecc. non diventa un semplice elenco o una “filastrocca di opinioni”, ma assume una forma etica nella consapevolezza delle crescenti responsabilità del pensiero filosofico all’interno degli ambiti della scienza come della vita quotidiana. Senza dimenticarsi mai che, se la filosofia può ancora vantare una certa forma di supremazia, essa risiede nel fatto che « “gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia (…). Ora, chi prova un senso di dubbio e di meraviglia riconosce di non sapere” (Aristotele, Metafisica). E se, come ha scritto Wittgenstein, la filosofia è una scala che una volta usata può essere poi abbandonata, questa sezione vuole testimoniare la speranza che tale scala non sia mai del tutto abbandonata, ma possa venir percorsa e ripercorsa, per trasportarci in campi del sapere dove coltivare un sano buon senso sotto il continuo pungolo del dubbio. Insomma, dovendo assumere un’insegna a futura memoria, nessuna citazione è migliore di quella ripresa da Boscoe Pertwee, un fantomatico autore del XVIII secolo: “Tempo fa ero indeciso, ma ora non ne sono più così sicuro”.