Per il negazionista l’inesistenza delle camere a gas è un dato posto come inconfutabile, a partire dal quale riscrivere radicalmente la storia della seconda guerra mondiale, rifiutando aprioristicamente qualunque documento o testimonianza che attesti l’esistenza della Shoah.
I negazionisti sono un gruppo di presunti storici, per i quali la Shoah non sarebbe mai avvenuta e le camere a gas naziste sarebbero un’invenzione della propaganda alleata, di matrice sionista, per estorcere riparazioni di guerra alla Germania sconfitta con le quali finanziare lo Stato di Israele.
Spesso ci si riferisce a questi autori con l’etichetta di “revisionisti” (appellativo con cui essi stessi si definiscono), ma la storiografia scientifica preferisce chiamarli “negazionisti”. Il motivo è semplice: mentre ogni storico che si rispetti è revisionista, nel senso che è disposto a rimettere costantemente in gioco le proprie conoscenze acquisite qualora l’evidenza documentaria lo induca a rivedere le sue posizioni, il negazionista è colui che nega l’evidenza storica stessa. Per il negazionista l’inesistenza delle camere a gas è un dato posto come inconfutabile, a partire dal quale riscrivere radicalmente la storia della seconda guerra mondiale, rifiutando aprioristicamente qualunque documento o testimonianza che attesti l’esistenza della Shoah.
Museo di Auschwitz
Fin dall’immediato dopoguerra vi sono stati autori isolati che hanno denunciato le presunte distorsioni alle quali la cosiddetta storiografia dei vincitori avrebbe sottoposto la storia della guerra. Ad esempio in Francia Maurice Bardèche è un autore dichiaratamente fascista che già nel 1948 sostiene come la responsabilità del conflitto non vada accollata ai tedeschi, i quali non avrebbero commesso quelle atrocità di cui comunemente li si accusa, bensì agli alleati e agli ebrei stessi. Un altro negazionista della prima ora è Paul Rassinier, anziano deportato politico a Dora e Buchenwald, affetto da una curiosa forma di sindrome di Stoccolma: nel suo Passaggio della linea (1948), Rassinier parte dalla sua esperienza nei campi di concentramento (ma non di sterminio) per denunciare la “menzogna storica” che costituisce ai suoi occhi l’evocazione della Shoah.
Mentre per decenni il negazionismo resta un fenomeno socialmente marginale, a partire dalla fine degli anni Settanta si conquista un’udienza più allargata. I motivi sono molteplici. Uno di questi è l’elaborazione, da parte dei negazionisti, di nuove e più efficaci strategie comunicative. Nel 1978 viene fondato a Torrance, in California, l’Institute for Historical Review, un istituto pseudoaccademico verso cui confluiscono i negazionisti di tutto il mondo. L’IHR organizza convegni e cura una rivista, “The Journal of Historical Review”, nella quale scrivono vari autori negazionisti. L’IHR ha divulgato gli otto assiomi del negazionismo che tutti i negatori della Shoah sono tenuti a rispettare. Gli otto assiomi sono:
1. la Soluzione Finale consisteva nell’emigrazione e non nello sterminio
2. non ci furono gassazioni
3. la maggior parte degli ebrei scomparsi emigrarono in America e in URSS facendo sparire le proprie tracce
4. i pochi ebrei giustiziati erano criminali sovversivi
5. la comunità ebraica mondiale perseguita chiunque voglia svolgere un lavoro di ricerca storica onesta attorno alla seconda guerra mondiale
6. non vi sono prove del genocidio
7. l’onere della prova sta dalla parte degli “sterminazionisti”
8. le contraddizioni presenti nei calcoli demografici della storiografia ufficiale dimostrano con certezza il carattere menzognero della loro tesi.
Gli assiomi forniscono una serie di risposte-standard alle obiezioni più ovvie che si possono rivolgere ai negazionisti. Ad esempio: ma che fine hanno fatto gli ebrei scomparsi? Hanno approfittato del caos del dopoguerra per rifarsi una vita altrove. Come spiegare il significato dell’espressione in codice “azione speciale” che troviamo così spesso nei documenti nazisti? Risposta: le azioni speciali non erano altro che selezioni per separare i detenuti infetti da quelli sani nei lager. E che dire delle testimonianze del dopoguerra? Le testimonianze non sono prove, perché sono state estorte o falsificate dagli alleati. E il materiale fotografico? È tutto truccato, frutto di un abile lavoro di montaggio.
Il “caso Faurisson” (scoppiato in Francia nel 1978) funge da catalizzatore di quest’opera di ripulitura dell’immagine dei negazionisti. Ex-critico letterario, dal 1976-77 Faurisson comincia a bombardare le principali testate francesi con lettere in cui chiede che venga aperto un dibattito sul “problema delle camere a gas”. Abboccano alla provocazione “Le Matin” e “Le Monde” che pubblicano un paio delle sue missive. Segue un’accesa polemica e Faurisson viene sospeso dal suo incarico di docente di letteratura francese a Lione, ma non demorde e lamenta le persecuzioni che ritiene di avere subito, atteggiandosi a vittima perseguitata e ottenendo il supporto “a scatola chiusa” di diversi intellettuali di sinistra (tra cui Noam Chomsky).
Man mano che il negazionismo si ammanta di scientificità, l’attacco del paradigma storiografico accettato avviene su due fronti: da un lato il tentativo di smantellare la rete di testimonianze che attestano l’esistenza della Shoah, dall’altro l’arruolamento di presunti esperti a cui è affidato il compito di dimostrare l’impossibilità tecnica delle gassazioni.
Per prima cosa, i negazionisti isolano le testimonianze dal loro contesto immediato, rendendole così più vulnerabili agli attacchi che verranno successivamente sferrati.
Contemporaneamente, il negazionista comincia a gettare dubbi sulla credibilità del testimone. Per screditarlo, lo può accusare di non essere un teste affidabile (facendolo apparire come psicolabile, alcolizzato, depravato ecc.), di agire a scopi di lucro o di fama personale (Elie Wiesel), o addirittura di essere a sua volta un’invenzione della propaganda alleata e sionista (Anne Frank).
Una volta isolata la testimonianza, il negazionista legge il documento “a contropelo”, andando alla ricerca spasmodica di tutte le increspature esegetiche, le minime inesattezze fattuali e le piccole contraddizioni. I negazionisti si appigliano ai minimi errori commessi dai testimoni per saltare precipitosamente alla conclusione che, se il testimone si è sbagliato su un dettaglio, nulla garantisce che egli non si sia sbagliato anche su tutto il resto.
Il lettore, che solitamente non è sufficientemente informato per rispondere a ciascuna di queste obiezioni locali, viene gettato in uno stato di disorientamento e di paralisi interpretativa. La prima fase dell’operazione negazionista, dunque, è la rottura del consenso, lo sgretolamento dell’accordo sociale su cui si basa la nostra ricezione collettiva della Shoah. A questo punto, la situazione è matura per sferrare l’attacco finale: attraverso la tecnica dell’insinuazione, si fa intendere al lettore che le “sbavature” appena riscontrate nei documenti non sono casuali, ma fanno capo a una precisa volontà di manipolazione a opera di “certi ambienti del sionismo internazionale”. Di lì alla logora trama della cospirazione giudaica per la conquista del mondo il passo è breve. Infatti, il negazionismo non si regge in piedi senza una qualche versione della teoria del complotto, ovvero della convinzione che da qualche parte vi sia una regia occulta che manipola l’intero corso della storia.
Il filone del negazionismo “tecnico”, volto a dimostrare l’impossibilità materiale dello sterminio, è stato invece inaugurato da Fred Leuchter, un presunto ingegnere (in realtà non è laureato), specializzato nella costruzione e nell’installazione di dispositivi per la pena di morte. Nel 1988 Leuchter si è recato ad Auschwitz dove ha raccolto illegalmente campioni materiali delle rovine del lager. Tornato a casa ha fatto analizzare la composizione chimica dei campioni e stilato il suo rapporto.
Il compito di Leuchter è di dare un fondamento scientifico al vecchio adagio negazionista secondo cui “ad Auschwitz sono state gassate solo le pulci”. È noto che nei lager lo Zyklon B (un potente pesticida) veniva impiegato per la disinfestazione dai parassiti, oltre che per l’uccisione di esseri umani. La presunta anomalia su cui si basa Leuchter è la seguente: mentre sui muri delle costruzioni in cui venivano effettuate le disinfestazioni rimangono visibili tracce blu di acido cianidrico (la sostanza tossica rilasciata dallo Zyklon B), nei resti delle strutture che oggi vengono indicate ai visitatori dei lager come le ex-camere a gas tali tracce sono molto meno visibili. Sulla base di questi dati Leuchter balza alla conclusione che le strutture che oggi vengono presentate ai visitatori come ex-camere a gas in realtà non avessero quella funzione.
La tesi di Leuchter viene confutata nel corso del processo Zündel e, più minuziosamente, in uno studio di Jean-Claude Pressac. Ciò che Leuchter sembra ignorare è che gli insetti sono molto più resistenti degli esseri umani ai veleni dello Zyklon B. Di conseguenza, la concentrazione di Zyklon B necessaria per uccidere i parassiti è di gran lunga superiore a quella necessaria per uccidere le persone. Inoltre, mentre le gassazioni duravano all’incirca dieci minuti (dopo i quali le camere a gas venivano sgomberate, aerate e lavate), le disinfestazioni dai parassiti duravano diverse ore, dando molto più tempo allo Zyklon B di impregnare i muri dei locali.
LETTURE
Cinema e fotografia di fronte alla Shoah
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La forma della memoria: arte e architettura di fronte alla Shoah
LETTURE
Scritture e Shoah
Negli ultimi anni, i negazionisti hanno cominciato a usare internet come strumento di proselitismo. Il canale informatico, aperto a tutti, si rivela un’ottima soluzione contro la censura che, in alcuni paesi europei, colpisce gli scritti dei negazionisti.
L’estrema facilità con cui i negazionisti accedono all’autostrada informatica ha importanti conseguenze sulle strategie con cui i sostenitori della storiografia scientifica cercano di combattere il fenomeno della negazione della Shoah. Se con le vecchie tecnologie comunicative (carta stampata e video) era ancora possibile pensare di reprimere il movimento, con l’avvento e la diffusione di internet questo obiettivo è divenuto impossibile da realizzare. Al di là del complesso dibattito sull’opportunità o meno di censurare i testi degli autori in questione, è innegabile che un simile proposito si rivela oramai anacronistico. È da queste premesse che muove il progetto Nizkor (in ebraico “noi ricorderemo”) che dal 1992 si è assunto il compito di smascherare gli obiettivi dei negazionisti attraverso un meticoloso monitoraggio dei loro siti, in base al motto per cui “le idee perniciose si combattono attraverso altre idee”.