Momma aveva avuto tre mariti: Mr. Johnson, mio nonno, che la lasciò all’inizio del secolo con due figli piccoli; Mr. Henderson, di cui non so assolutamente nulla (Momma non rispondeva mai a domande dirette su qualsiasi argomento al di fuori della religione); e infine Mr. Murphy. Una volta lo vidi di sfuggita. Passò da Stamps un sabato sera, e nonna mi incaricò di preparargli il pagliericcio sul pavimento. Era un uomo scuro e tarchiato, con un cappello a tesa larga come George Raft. La mattina dopo ciondolò per l’Emporio finché tornammo dalla chiesa. Fu la prima domenica in cui vidi zio Willie perdere la funzione. Bailey disse che era rimasto a casa per evitare che Mr. Murphy ci ripulisse di tutto quanto. Questi se ne andò a metà pomeriggio dopo uno degli abbondanti pranzi domenicali di Momma. Il cappello spinto all’indietro, si avviò in strada fischiettando. Gli fissai la schiena robusta finché girò l’angolo della grande chiesa bianca.
La gente diceva che Momma era una bella donna e chi la ricordava da giovane sosteneva che una volta era molto carina. Io ne vedevo solo la potenza e la forza. Era più alta di qualsiasi altra donna che conoscessi, e le mani erano così grandi da contenere la mia testa da orecchio a orecchio. La voce era sommessa solo perché lei voleva così. Quando in chiesa la invitavano a cantare, sembrava che togliesse dei tappi da dietro la mandibola e il suono possente, quasi ruvido, si riversava sull’assemblea vibrando nell’aria.
Ogni domenica, dopo che Momma aveva preso posto, il pastore annunciava: «Ora sorella Henderson intonerà per noi l’inno». E ogni domenica lei alzava lo sguardo stupita verso il predicatore e domandava in silenzio: «Io?» Dopo essersi assicurata di aver capito bene, posava la borsetta e ripiegava adagio il fazzoletto. Lo poneva con cura sulla borsa, appoggiandosi sul banco davanti si tirava su, poi apriva la bocca e il canto balzava fuori come se avesse solo aspettato il momento giusto per fare la sua comparsa. Di settimana in settimana e di anno in anno la scena era sempre la stessa, eppure non ricordo di aver mai sentito nessuno fare commenti sulla sincerità di mia nonna o sulla sua prontezza nel cantare.
Momma voleva che io e Bailey imparassimo a percorrere i sentieri della vita che lei, la sua generazione e tutti i neri venuti prima avevano scoperto e trovato sicuri. Non si capacitava del fatto che si potesse rivolgere la parola ai bianchi senza rischiare la vita. Di sicuro non si poteva essere insolenti. Anzi, persino in loro assenza non se ne poteva parlare con troppa durezza a meno di usare l’appellativo “loro”. Qualora le avessero domandato se non fosse vigliacca, e lei avesse deciso di rispondere, avrebbe detto di essere realista. Non continuava forse a tener “loro” testa anno dopo anno? Non era forse l’unica donna nera di Stamps che una volta avevano chiamato “signora”?
Quell’episodio era diventato una delle piccole leggende di Stamps. Era successo qualche anno prima che io e Bailey arrivassimo in paese. Un uomo, ricercato per aver aggredito una donna bianca, nel tentativo di fuggire era corso all’Emporio. Momma e zio Willie lo avevano tenuto nascosto dietro l’armadio fino a notte e gli avevano dato provviste per il viaggio lasciandolo poi al suo destino. Ma lo avevano arrestato, e in tribunale, quando lo avevano interrogato sui suoi movimenti il giorno del crimine, aveva risposto che, dopo aver saputo di essere ricercato, era andato a rifugiarsi nell’Emporio di Mrs. Henderson.
Il giudice chiese che Mrs. Henderson fosse citata in giudizio, e quando Momma arrivò e disse che Mrs. Henderson era lei, il giudice, il messo del tribunale e altri bianchi tra il pubblico si misero a ridere. Il giudice aveva proprio fatto una gaffe chiamando signora una donna nera, ma dopotutto era di Pine Bluff e non poteva sapere che la proprietaria dell’emporio in quel paese era una persona di colore. I bianchi andarono avanti per molto tempo a piegarsi in due dalle risate ogni volta che ripensavano a quell’episodio, e i neri lo considerarono la prova del valore e della maestà di mia nonna.