9.

Un anno dopo, nostro padre piombò a Stamps senza preavviso. Lo scontro con la realtà fu tremendo per me e Bailey. Ci eravamo costruiti, almeno io, delle fantasie così complesse su di lui e sulla nostra mamma illusoria che vederlo in carne e ossa mandò in pezzi le mie invenzioni come un forte strattone manda in pezzi una collana di carta. Arrivò davanti all’Emporio in una macchina grigia e pulita (doveva essersi fermato a lustrarla appena fuori paese per prepararsi al “grande ingresso”), Bailey, che se ne intendeva di queste cose, disse che era una De Soto. Rimasi colpita dall’imponenza di mio padre. Le spalle erano così larghe che di sicuro avrebbe avuto problemi a passare dalla porta. Era più alto di chiunque avessi mai visto e se non era grasso, sapevo che non lo era, quanto meno lo sembrava. I vestiti, poi, erano troppo piccoli. Più stretti e lanosi di quanto si usasse a Stamps. E lui era di una bellezza abbagliante. Momma gridò: «Bailey, piccolo mio. Buon Dio, Bailey». E zio Willie balbettò: «Ba-Ba-Bai-ley». Mio fratello disse: «Per la miseria, diavolo. È lui. È il nostro papà». E tutto il mio mondo di bambina di sette anni andò in frantumi, per non essere mai più ricomposto.

Nostro padre aveva una voce che risuonava come un mestolo di ferro contro un secchio, e parlava inglese. Inglese corretto, come il preside della scuola, persino meglio. Disseminava le sue frasi di ehm con la stessa profusione con cui distribuiva i sorrisi che gli storcevano la bocca. Le sue labbra non si flettevano all’ingiù, come quelle di zio Willie, ma di lato, e la testa era inclinata da una parte o dall’altra, mai dritta sul collo. Aveva l’aria di un uomo che non credeva a quanto sentiva o a quanto lui stesso diceva. Era il primo cinico che avessi conosciuto. «E così ehm questo è ehm l’ometto di papà? Ragazzino, non ti ha mai detto nessuno ehm che mi ehm somigli?» Stringeva Bailey con un braccio e me con l’altro. «E la piccola di papà. Avete ehm fatto i bravi, ehm vero? Altrimenti ehm immagino che Santa Claus ehm me l’avrebbe ehm detto». Ero così fiera di lui da non riuscire ad aspettare che la notizia del suo arrivo facesse il giro del paese. Non si sarebbero sorpresi gli altri bambini nel vedere quanto era bello nostro padre? E che ci voleva tanto bene da venire fino a Stamps a trovarci? Dal suo modo di parlare, oltre che dall’auto e dai vestiti, era evidente che era ricco e magari aveva un castello in California. (Più tardi venni a sapere che aveva fatto il portiere al lussuoso Breakers’ Hotel di Santa Monica.) Poi mi venne in mente che avrebbero potuto paragonarmi a lui, e allora non volevo che nessuno lo vedesse. Forse non era il mio vero padre. Bailey era suo figlio, senza dubbio, ma io ero un’orfana che avevano raccolto da qualche parte per fare compagnia a Bailey.

Ogni volta che lo sorprendevo a guardarmi avevo paura e avrei voluto diventare piccina piccina come il piccolo Tim. Un giorno, a tavola, infilai la forchetta con la sinistra in un pezzo di pollo fritto. Feci passare il coltello tra il primo e il secondo dente, come ci avevano rigorosamente insegnato, e cominciai a tagliare contro l’osso. Sentii mio padre ridere di gusto e alzai lo sguardo. Mi stava imitando, con i gomiti che andavano su e giù. «La piccola di papà sta per spiccare il volo?» Momma rise, seguita da zio Willie, e persino Bailey ridacchiò sotto i baffi. Nostro padre andava fiero del suo senso dell’umorismo.

Per tre settimane l’Emporio fu pieno di gente che era andata a scuola con lui o ne aveva sentito parlare. Era circondato da curiosi e invidiosi, e lui si pavoneggiava, seminando i suoi ehm dappertutto, anche davanti agli occhi tristi di zio Willie. Poi, un giorno, disse che doveva tornare in California. Mi sentii sollevata. Il mio mondo sarebbe stato più vuoto e più arido, ma l’angoscia di vederlo intromettersi in ogni secondo della mia vita sarebbe scomparsa. Così come sarebbe scomparsa la silenziosa minaccia che aveva aleggiato nell’aria fin dal suo arrivo: prima o poi sarebbe ripartito. Non avrei dovuto chiedermi se gli volevo bene o no, né rispondere alla domanda: «La piccola di papà vuole andare in California con lui?» Bailey gli aveva detto di sì, ma io ero rimasta zitta. Anche Momma era sollevata, sebbene si fosse divertita a cucinargli pietanze speciali e a fare sfoggio del suo figliolo della California in mezzo ai contadini dell’Arkansas. Ma zio Willie soffriva della presenza ingombrante di nostro padre e Momma, come un uccellino con la sua nidiata, era più preoccupata per il piccolino storpio che non per quello capace di spiccare il volo dal nido.

Ci portava con lui! La notizia continuò a ronzarmi nelle orecchie facendomi saltare inaspettatamente qua e là come il pupazzo di una scatola a sorpresa. Ogni giorno trovavo un po’ di tempo per fare una passeggiata fino allo stagno dove si pescavano perche dorate e pesce persico. Ci andavo quando era troppo presto o troppo tardi per i pescatori, così l’avevo tutto per me. Mi fermavo sulla riva dell’acqua verde scuro, mentre i pensieri guizzavano come ragni d’acqua. Ora di qua, ora di là, ora da un’altra parte. Dovevo andare con mio padre? Dovevo buttarmi nello stagno e, dato che non sapevo nuotare, raggiungere il corpo di L.C., il ragazzo annegato l’estate prima? Dovevo pregare Momma di farmi rimanere con lei? Potevo dirle che mi sarei incaricata delle mansioni di Bailey oltre che delle mie. Avrei avuto il coraggio di affrontare la vita senza Bailey? Non riuscivo a prendere una decisione, così recitavo qualche versetto della Bibbia e tornavo a casa.

Momma rimaneggiò dei vestiti che qualche cameriera aveva avuto in regalo dalla sua padrona bianca e aveva scambiato all’Emporio, e trascorse lunghe notti nel tinello a cucire scamiciati e gonne per me. Sembrava piuttosto triste, ma ogni volta che la sorprendevo a guardarmi, come se avessi già disobbedito, diceva: «Fa’ la brava, adesso. Capito? Non far credere alla gente che ti ho tirato su male. Capito?» Sarebbe rimasta più sorpresa di me se mi avesse preso tra le braccia piangendo all’idea di perdermi. Il suo mondo era circoscritto dal lavoro, il dovere, la religione e “casa sua”. Non credo si sia mai resa conto che un amore caldo e protettivo aleggiava su qualsiasi cosa toccasse. Anni dopo le chiesi se mi amava e lei mi liquidò dicendo: «Dio è amore. Pensa solo a fare la brava, e Lui ti amerà».

Mi sistemai sul sedile posteriore dell’auto, con le valigie di cuoio di papà e le nostre scatole di cartone. Nonostante i finestrini abbassati, l’odore di pollo fritto e torta di patate dolci ristagnava, e non c’era abbastanza spazio per allungarsi. Ogni volta che gli veniva in mente, mio padre domandava: «Stai comoda lì dietro, piccola di papà?» Non aspettava mai la risposta, «Sì, signore», prima di riprendere la conversazione con Bailey. Raccontavano barzellette e Bailey continuava a ridere, spegneva le sigarette di papà e teneva una mano sul volante quando lui diceva: «Avanti, ragazzino, aiutami a guidare quest’affare».

Quando mi stancai di attraversare sempre gli stessi paesi e vedere case piccole e inospitali che sembravano vuote, mi isolai da tutto tranne che dal suono carezzevole delle gomme sull’asfalto e dal lamento incessante del motore. Ero molto seccata con Bailey. Senza dubbio cercava di lisciare papà; cominciava persino a ridere come lui, un Santa Claus Junior, con i suoi «Oh, oh, oh».

«Come ti senti al pensiero di vedere tua madre? Sei contento?» stava chiedendo a Bailey, ma la domanda penetrò attraverso la schiuma in cui avevo avvolto i miei sensi. L’avremmo dunque vista? Credevo andassimo in California. Provai un terrore improvviso. Metti che ridesse di noi come aveva fatto lui? E se adesso aveva altri bambini che vivevano con lei? Dissi: «Voglio tornare a Stamps». Nostro padre replicò ridendo: «Vuoi dire che la piccola di papà non vuole andare a St. Louis a trovare sua madre? Non ti mangerà mica, sai».

Si girò verso Bailey, e io guardai la sua faccia di lato; era così irreale che mi sembrava di veder parlare un bambolotto. «Bailey Junior, domanda a tua sorella per quale motivo vuole tornare a Stamps». Da come si esprimeva pareva più un bianco che un nero. Forse era l’unico bianco al mondo con la pelle scura. Una bella fortuna se fosse saltato fuori che quell’eccezione era mio padre. Ma, per la prima volta da quando avevamo lasciato Stamps, Bailey rimase zitto. Credo che anche lui stesse immaginando l’incontro con mamma. Come fa un bambino di otto anni a contenere tutta quella paura? Inghiottisce e la tiene dietro le tonsille, stringe i piedi e la chiude tra le dita, contrae i glutei e la spinge su dietro la prostata.

«Junior, che c’è, il gatto ti ha mangiato la lingua? Cosa dirà vostra madre quando le racconterò che i suoi figli non volevano vederla?» Il pensiero che gliel’avrebbe riferito ci scosse entrambi. Mio fratello si sporse dallo schienale. «My, è mammina. Lo sai che vuoi vedere mammina. Non piangere». Papà rise e sprofondò nel sedile, probabilmente domandandosi: «Che dirà mai?»

Smisi di piangere, visto che non c’era modo di tornare a Stamps da Momma. Era evidente che Bailey non mi avrebbe aiutato, così decisi di cucirmi la bocca e vedere che cosa sarebbe venuto fuori dall’incontro con mammina.

St. Louis rappresentava un nuovo tipo di caldo e un nuovo tipo di sporco. Nella mia memoria non esistevano immagini di edifici ammassati e ricoperti di fuliggine. Per quanto ne sapevo, eravamo diretti all’inferno e nostro padre era il diavolo incaricato di portarci a destinazione.

Bailey mi permetteva di parlargli in pig latin davanti agli adulti solo in situazioni di grave emergenza, ma quel pomeriggio dovevo cogliere l’occasione. Avevamo svoltato allo stesso angolo una cinquantina di volte, ne ero sicura. Domandai a Bailey: «Condose te, è verodav strono drepa o mosia lista pitira?» Bailey rispose: My, siamo a St. Louis, stiamo andando da mammina. Non ti preoccupare». Papà rise sotto i baffi e disse: «Chi levuo pirvira? Detecre di serees i glifi di berghlind?» Pensavo che il pig latin l’avessero inventato mio fratello e i suoi amici. Sentendolo parlare da mio padre, più che sbigottimento provai rabbia. Era solo un altro esempio della furbizia degli adulti quando c’erano di mezzo i bambini. Un altro esempio del “tradimento” dei grandi.

Descrivere mamma vorrebbe dire parlare di un uragano all’apice della sua forza. O dei colori di un arcobaleno, che si arrampicano su per poi precipitare. Eravamo stati ricevuti da sua madre e aspettavamo seduti sul bordo della sedia nel soggiorno zeppo di mobili (papà parlava a nonna con disinvoltura, come fanno i bianchi con i neri, senza alcun imbarazzo né in tono di scusa). Avevamo paura dell’arrivo di mamma e al tempo stesso eravamo impazienti perché era in ritardo. È incredibile quanto ci sia di vero nelle due espressioni: “folgorata” e “amore a prima vista”. Fui letteralmente sopraffatta dalla bellezza di mia madre. Le labbra rosse (Momma diceva che mettere il rossetto era peccato) si schiudevano per mostrare denti bianchi e regolari, e il suo colore di burro fresco sembrava trasparente. Il sorriso le allargava la bocca fin oltre le guance, oltre le orecchie, e sembrava attraversare il muro per raggiungere la strada. Rimasi folgorata. Capii subito perché mi aveva mandato via. Era troppo bella per avere figli. Non avevo mai sentito chiamare “mamma” una donna tanto carina. Da parte sua, Bailey si innamorò all’istante e per sempre. Vidi i suoi occhi splendere come quelli di lei; aveva dimenticato la solitudine e le notti passate a piangere insieme perché eravamo “bambini indesiderati”. Era sempre rimasto al suo fianco, al caldo, e non aveva mai condiviso con me il vento gelido della solitudine. Era la sua mammina e io mi rassegnai alla sua condizione. Erano più simili di quanto lo fossimo io e lei, o io e mio fratello. Avevano entrambi bellezza fisica e personalità, così conclusi che la reazione di Bailey fosse logica.

Nostro padre partì da St. Louis qualche giorno dopo diretto in California, senza che questo mi facesse sentire contenta né dispiaciuta. Era un estraneo e, se decideva di lasciarci con un’estranea, per me era del tutto indifferente.