ištu GN1 attumuš ana GN2 aqtirib assakan bēdāk
(«mossi da GN1, mi diressi a GN2, feci tappa e pernottai»)
Come certi imperi coloniali moderni, sorti sulla base di un monopolio commerciale (penso alla East India Company britannica, o alla analoga compagnia olandese), anche l’impero assiro ebbe un precedente nel fiorente commercio paleo-assiro (XIX-XVIII secolo), a noi noto dai testi di Kültepe (antica Kaneš, in Anatolia centrale) ma ovviamente inclusivo anche di altre direttrici. Si tratta del commercio più abbondantemente e analiticamente documentato per tutta l’età antica, almeno fino al commercio mediterraneo medievale, ricostruito dallo scarico di documenti della Genizah del Cairo. Quello paleo-assiro1 era un commercio gestito da ditte private (familiari), con intento di profitto e meccanismo di esportazione (tessuti e stagno) in cambio di argento, cioè a dire di «denaro sonante», subito reinvestito in altri tessuti e altro stagno. Era dunque un commercio del tutto diverso da quello palatino, di importazione, di acquisizione di materiali non disponibili nel paese, come viene celebrato dalle iscrizioni reali nel corso di tutta la storia mesopotamica.
Lo iato temporale, la profonda crisi intercorsa tra la fine del commercio paleo-assiro e l’inizio dell’espansione imperiale medio-assira, e anche il diverso orizzonte geografico (commercio direzionale a lunga distanza, contro espansione territoriale a macchia d’olio), portano a escludere una connessione diretta, e le vecchie idee su un impero paleo-assiro a base commerciale sono ormai respinte, e neanche più ritenute degne di nota2. E però una qualche eredità dell’esperienza mercantile può ravvisarsi almeno nella fase esplorativa.
Mi riferisco in particolare agli itinerari, specchio di una concezione dello spazio geografico come un reticolo di percorsi3. Esistono già itinerari paleo-assiri, ricostruibili dalle lettere commerciali4. Poi esistono itinerari medio-assiri, ricavabili da lettere di carattere politico-amministrativo5. Infine esistono itinerari neo-assiri, in particolare quello di Zamua6, con distanze misurate in «leghe» (bēru, ca. 11 km), «lati» (šiddu, 360 m.) e «corde» (nindan, 6 m.), e strutturato come nel passo qui riportato:
«(Tot leghe, tot lati, tot corde) da Baqarru ad Arzuḫina: prima tappa, giorno 6. (Tot leghe, tot lati, tot corde) da Arzuḫina a Dur-Atanate, giorno 7, seconda tappa. (Tot leghe, tot lati, tot corde) da Dur-Atanate e Maturaba e da Maturaba e Dur-talite, giorno 8, terza tappa, ecc.».
Questi itinerari (oltre a quello di Zamua abbiamo anche quello di SAA 5, n. 136: 4-9) forniscono la struttura di base ai racconti delle campagne militari del periodo della «riconquista» fino ad Assurnasirpal II e a Salmanassar III7:
«Lasciai Anat, e feci tappa e pernottai a Mašqite. Lasciai Mašqite e feci tappa e pernottati a Ḫaradu, che sta sulla riva opposta dell’Eufrate. Lasciai Ḫaradu e feci tappa e pernottati a Kailetu. Lasciai Kailetu e mi diressi a Ḫindanu, ove ricevetti il tributo di PN di Ḫindanu [segue dettaglio del tributo]... Feci tappa e pernottai a Ḫindanu, che sta sulla riva opposta dell’Eufrate...». (Tukulti-Ninurta II, RIMA 2, n. 100.5: 73-80)
«Lasciai Tabitu, marciai lungo la riva del Ḫarmiš, faci tappa e pernottai a Magarisu. Lasciai Magarisu e marciai lungo la riva del Ḫabur, feci tappa e pernottai a Šadikanni. Ricevetti il tributo di Šadikanni, in argento, oro, stagno calderoni di bronzo, bovini e ovini. Lasciai Šadikanni e feci tappa e pernottai a Qatna. Ricevetti il tributo di Qatna. Lasciai Qatna e feci tappa e pernottai a Dur-Katlimmu...». (Assurnasirpal II, RIMA 2, n. 101.1: iii 2-6)
«Entrai nel passo di Simesi e mi diressi ad Aridu, città fortificata di PN [segue la presa di Aridu]... Lasciai Aridu... e mi diressi a Ḫubuškia [segue la presa di Ḫubuškia]... Lasciai Ḫubuškia e mi diressi a Sagunia, città fortificata di PN l’urarteo [segue la presa di Sugunia]... Lasciai Sugunia e scesi al Mare di Nairi (il lago Van), lavai le mie armi nel mare, feci sacrifici agli dèi ed eressi la mia immagine... di fronte al mare». (Salmanassar III, RIMA 3, n. 102.2: i 15-27)
Tutta l’Alta Mesopotamia, già attraversata dalla direttrice commerciale paleo-assira fino al guado dell’Eufrate e alle montagne del Tauro, e anzi tutto il territorio già conquistato in fase medio-assira, è amministrativamente noto e strutturato mediante collegamenti viari tra siti (piccole città) scaglionati a distanza di circa 30/35 km, la distanza che una carovana (su asini) o un esercito in marcia coprono in un giorno. Ovviamente i messaggeri – su carro prima, a cavallo poi – coprono distanze maggiori, e hanno minor bisogno di luoghi di sosta attrezzati; ma una carovana o un esercito devono spostarsi giornalmente da un luogo attrezzato ad un altro luogo attrezzato. Non esistono ancora grandi caravanserragli, appositamente costruiti (ma la bīt mardīti, cfr. più avanti, ne è il nucleo originario), però è da presumere che la carovana trovi in ogni luogo di sosta delle infrastrutture di accoglienza sia pur leggere e informali. Per lunghi percorsi, emergerà più tardi anche la necessità di individuare blocchi di «dieci» tappe giornaliere8, dunque blocchi di circa 350 km, al termine dei quali la carovana sosta non solo per una notte, ma per qualche giorno, per riposare, rifornirsi di provviste, riparare i danni, cambiare le cavalcature.
Ovviamente questa struttura «a rete» (network empire), che è tipica della fase formativa dell’impero assiro, lascia la sua eredità anche nella fase successiva, di impero propriamente territoriale. Nessun impero antico (e in parte ancora moderno) è in grado di diffondere il suo controllo omogeneamente su tutto il territorio, e deve perciò privilegiare il controllo su insediamenti di valenza amministrativa e vie di collegamento, per sfumare poi la sua presenza nelle zone di interesse secondario. Sostenere però9 che il network empire assiro sia paragonabile a quello americano attuale mi pare esagerato e fuorviante: l’impero assiro è pienamente territoriale e la componente commerciale vi è del tutto secondaria.
Un sistema di comunicazione mediante itinerari e luoghi di sosta esisteva già in epoca precedente: abbiamo un famoso itinerario paleo-babilonese che percorre tutta la Mesopotamia10, e abbiamo un frammento di itinerario già in età accadica11. Abbiamo poi soprattutto i vanti dei sovrani della terza dinastia di Ur, sulla formale organizzazione di una rete di luoghi di sosta per carovane, estesa a tutto il regno. Cito soltanto un passo di un inno di Šulgi:
«Determinai le distanze, costruii le case, vi piantai accanto degli orti, stabilii i luoghi di accoglienza, vi istallai persone esperte. Chi arriva da sopra, chi arriva da sotto, può rinfrescarsi alla loro fresca ombra. Il viaggiatore, che deve pernottare per strada, può trovarvi riparo come in una città ben costruita». (Inno A: 29-35, in Klein 1981, pp. 190-193)
Lo stesso Šulgi si pone come modello dei suoi «corrieri rapidi», vantandosi di aver coperto di corsa, tra due ali di folla plaudente, tutto il tragitto da Ur a Nippur (circa 100 km) in un solo giorno (Inno A, in Klein 1981, pp. 188-203); e il suo vanto sarà ripreso un secolo dopo da Išme-Dagan, avvantaggiato – diremmo noi maligni – dal fatto di partire da Isin che è già più vicina a Nippur (RIME 4, n. 1.4.8).
In età ormai neo-assira (VIII secolo) è notevole il vanto di un governatore di Suḫu (la valle del medio Eufrate) per aver costruito un luogo di sosta e di controllo, ai margini del deserto e in posizione strategica (là dove la carovaniera nord-arabica si dirama in tre direzioni):
«Presso il pozzo di Bukrê, luogo (prima) non buono e mai edificato, scoprii un pozzo e lo aprii, l’acqua era abbondante. (In quel punto) tre strade si dividono, andando al paese di Laqû, al paese di Ḫindanu e al paese di Suḫu, ma al tempo dei governatori miei predecessori, nessuno vi aveva mai messo una guarnigione. In futuro, chiunque arriva e chiede: ‘Come mai ogni straniero che passa può bere acqua?’. (La risposta è): ‘Può bere dal pozzo che noi abbiamo allestito’. Prima del mio tempo nessuno vi aveva costruito una città, io concepii l’idea di costruirvi una città... la chiamai Dur-Ninurta-kudur-uṣur, vi insediai degli abitanti e una guarnigione a cavallo...». (RIMB 2, n. 1002.2: iii 3’-17’)
Tornando all’impero assiro, è chiaro come tutto il sistema provinciale fosse attraversato da una rete viaria ufficiale (la «via regia», ḫarrān šarri), e come i re assiri dedicassero le loro cure alla costruzione e manutenzione di ponti (SAA 1, 47) e guadi e valichi, allestissero anche luoghi di tappa (bīt mardīti, cfr. SAA 1, n. 177; 19 n. 194) e utilizzassero un servizio di corrieri rapidi (kallû, cfr. SAA 5, nn. 74 e 227; SAA 13, n. 33)12. Il concetto di una «via regia», nel senso di un percorso viario del quale il regno si prende cura, è dunque già ben presente in età medio-assira13 e poi soprattutto neo-assira, e sarà ereditato dal sistema neo-babilonese14, e poi dalla famosa «via regia» dell’impero achemenide che Erodoto (V, 52-53) descrive limitatamente al tratto Susa-Sardi. L’importanza del sistema viario come infrastruttura essenziale degli imperi è stata sottolineata già da Maurice Duverger15 mentre Alcock et al. (2012) hanno tentato, con alterno successo, un’analisi comparativa dei sistemi stradali pre-moderni16. Per la modernità, si pensi anche all’importanza che gli imperi ottocenteschi attribuivano alle grandi linee ferroviarie: la transiberiana per l’impero russo, la ferrovia per Baghdad e per La Mecca per quello ottomano, la ferrovia del Pacifico per l’espansione degli Stati Uniti verso il Far West; per non dire di quelle soltanto vagheggiate come la francese Algeri-Timbuctu o la britannica Cairo-Capetown.
Quando poi le conquiste assire oltrepassarono i limiti del vecchio «paese di Aššur» (cioè il territorio già annesso in fase medio-assira), ma ancora espandendosi in regioni abitate e almeno parzialmente urbanizzate, i re continuarono ad usare lo schema dell’itinerario, come si vede dagli annali di Salmanassar III. La vera svolta si ebbe con gli ultimi due sovrani, Esarhaddon e Assurbanipal, che si avventurarono in terre desertiche, o del tutto prive di centri abitati o comunque – giacché le oasi esistevano già – collocate al di fuori della frequentazione commerciale e dunque della «mappa mentale» mesopotamica. Per scandire il percorso dei loro eserciti, Esarhaddon e Assurbanipal fecero registrare le distanze in termini spazio-temporali astratti, usando la misura del bēru (o «doppia ora») corrispondente a circa 11 km:
«La terra di Bazu, un distretto di collocazione remota, una terra arida dimenticata, un terreno salino, un luogo assetato, per 120 leghe (doppie-ore) di terreno sabbioso, di rovi e di sassi, più 20 leghe di serpenti e scorpioni che riempiono il terreno come formiche...». (Esarhaddon, RINAP 4, n. 1: iv 53-57 e passi paralleli)
Anni fa, commentando il testo della cosiddetta «Sargon Geography»17, ho avanzato l’ipotesi che Esarhaddon avesse in mente di misurare l’estensione del mondo, data la ricorrenza dei 120 bēru per arrivare alle mete più lontane: progetto poi rimasto incompiuto. La mappa risultante (Fig. 7) è ovviamente moderna, non c’è nulla del genere nel mondo cuneiforme. La famosa mappa del mondo neo-babilonese (Fig. 8), del VII secolo18, è estremamente sommaria, molto ideologizzata, ma rispecchia fedelmente quella che doveva essere la visione del mondo – dei suoi limiti, della sua struttura – in ambito babilonese e mesopotamico in genere19.
Quella stretta connessione tra cartografia e imperialismo20, che caratterizza gli imperi moderni, non esisteva ancora all’epoca neo-assira e neo-babilonese, caratterizzate da una cartografia poverissima, sostanzialmente limitata (per ovvie necessità legali) alla dimensione dei singoli campi e case, ma in seria difficoltà nel mettere in pianta un’intera città, per non dire un’intera regione. Mentre le piante neo-babilonesi dei campi21 continuano una tradizione già neo-sumerica22, invece un paio di mappe un po’ più estese, la pianta urbana di Nippur e quella regionale di Nuzi23, non hanno avuto né eredi né tanto meno sviluppi.
Forse l’impero assiro aveva scarso bisogno di mappe regionali o mondiali: la sua ecumene era limitata, tutta a portata di mano, gestibile mediante la rete degli itinerari. Solo alla fine, quando cercò di superare i limiti del tradizionale mondo mesopotamo-centrico, dovette cercare altre soluzioni. E si noti che una città commerciale come la fenicia Tiro, all’epoca di Ezechiele (Ez 27, 9-25)24 aveva una mappa mentale estesa attraverso il Mediterraneo e il Mar Rosso, dalle colonne d’Ercole (il paese di Taršiš, attuale Andalusia) allo Yemen (il regno di Saba), anche se il grosso dei suoi contatti si limitava all’area levantina. Sarà solo l’impero achemenide ad ampliare notevolmente (di 4 o 5 volte) l’ecumene assiro-babilonese, e dunque le sue ambizioni di controllo imperiale. Lo farà mettendo insieme le varie ecumeni con cui era entrato in contatto: quella egiziana, quella fenicia e greca, quella arabica, quella centro-asiatica, quella indiana. Non a caso è all’epoca dell’impero persiano che sentiamo parlare per la prima volta di una carta del mondo (Erodoto, V, 49): non più solo un’idea mentale, strettamente mesopotamo-centrica (come il già citato «mappamondo» babilonese del VII secolo), ma una rappresentazione grafica estesa a regioni diverse. L’impero achemenide erediterà direttamente dalla tradizione assira la cura della «via regia», le stazioni di sosta, il servizio dei corrieri rapidi25. Analoghi sistemi, al di fuori della trasmissione di origine antico-orientale, sono presenti in Cina (già col «Primo Imperatore»)26 e nell’impero Inca27.
L’assenza o l’estrema scarsezza di mappe di dimensione almeno corografica è comune a tutta l’antichità pre-classica, una vera «cartografia imperiale» si avrà solo col III secolo a.C. parallelamente a Roma28 e in Cina29. Peraltro è stato correttamente osservato30 che ancora in età classica si privilegia lo «spazio odologico» degli itinerari (come in Assiria) e dei peripli (ovviamente estranei all’Assiria). Mi limito infine a rinviare al volume di Brotton (2012) per una storia della tecnica cartografica connessa con la storia politica e culturale dell’idea imperiale.
1 Larsen 1967 e 1976; Veenhof 1972; Dercksen 2004.
2 Stranamente Anderson e Chase-Dunn 2005, p. 77, parlano ancora di un «Old Assyrian Empire» (mentre minimizzano il ruolo di quello medio-assiro).
3 Si vedano i lavori di Janni 1973 e 1984 sullo «spazio odologico». Sugli itinerari mesopotamici riassuntivamente Edzard 1976-80; Limet 1994.
4 Nashef 1987.
5 Röllig 1983; invece Faist 2001 non approfondisce questo aspetto.
6 Weidner 1966; Levine 1989; ora in SAA 11, n. 14.
7 Kühne 1980; Liverani 1988 e 1992.
8 Liverani 2000.
9 Come fa Bernbeck 2010.
10 Goetze 1954; Hallo 1964.
11 Foster 1992.
12 Garelli 1958; Malbran-Labat 1982, pp. 19-29; Kessler 1980, pp. 183-236; Id. 1997; Levine 1989; Parpola in SAA 1, p. xiv fn. 1; Favaro 2007, pp. 23-31, 57-61 e 67-72; Altaweel 2008, pp. 48-50; da ultimo Radner 2014b, pp. 71-77.
13 Röllig 1983.
14 Jursa 1995.
15 Duverger 1980, p. 9 su Roma, Persia, Cina, e cita anche l’Assiria.
16 Alcock et al. 2012.
17 Liverani 1999-2001. Per una diversa valutazione cfr. van de Mieroop 1999, che data il testo a Sargon II.
18 Cfr. Horowitz 1998, pp. 20-42; Zaccagnini 2012; Pongratz-Leisten 2015, pp. 191-197.
19 Un’analoga «mappa del mondo» è attestata già nel terzo millennio (età di Fara), secondo la proposta di Wiggerman 2011, Fig. 31.4 a p. 673.
20 Brotton 2012.
21 Nemet-Nejat 1982.
22 Liverani 1990c.
23 Spesso riprodotte, ad esempio in North 1979, Fig. 1-2. Sulla cartografia mesopotamica si vedano Unger 1935 e Millard 1987.
24 Liverani 1991.
25 Graf 1994; Briant 1991; Id. 1996, pp. 369-384 e 952; Id. 2012; Kuhrt 2007, pp. 733-762.
26 Lewis 2007, pp. 55-57; anche Hsu 2010.
27 Conrad e Demarest 1984, pp. 128-129.
28 Cfr. di recente Clarke 2008 e Talbert 2010 sulla mappa di Agrippa, la Tabula imperii e la più tarda Tabula Peutingeriana.
29 Schmidt-Glintzer 2008; Hsu 2010.
30 Janni 1984, pp. 15-78.