urḫē pašqūte šadē dannūte
ša ina šarrāni abbēya manman lā ētiqu
(«vie difficili, montagne impervie,
che nessuno dei re miei padri aveva mai attraversato»)
Ottenuto l’assenso divino, il re si lancia alla conquista del mondo. Ma prima di conquistare, per estendere alla periferia i benefici della civiltà, occorre conoscere la fascia esterna del mondo, occorre esplorarla, occorre aprire le vie per raggiungere la meta. Le grandi «scoperte geografiche» dell’Europa quattro-cinquecentesca offrono l’esempio maggiore di come l’esplorazione preluda alla conquista imperiale. La connessione è stata già notata anche per altre fasi storiche, ad esempio a proposito dell’impero romano1; ma l’Assiria già presenta lo stesso paradigma. Applicato alla conoscenza geografica, il vanto della priorità eroica (il vanto del protos euretès, direbbero i Greci), si concretizza in tre espressioni ricorrenti nell’annalistica assira: il vanto di aver aperto una nuova via, il vanto di aver raggiunto regioni o popoli precedentemente ignoti, il vanto di aver sottomesso regni o regioni mai sottomesse prima.
Dei tre vanti, il primo è di gran lunga il più ricorrente, ed è anche quello che più strettamente si riferisce alla fase dell’esplorazione, della «scoperta». Data la «mappa mentale» mesopotamica (il bassopiano alluvionale di Tigri ed Eufrate, circondato da alte-terre montane o desertiche)2, risulta ovvio che la maggior parte delle nuove vie aperte e percorse dal re assiro siano vie di montagna, impervie per loro stessa natura – a prescindere dalla loro maggiore o minore lontananza dalla capitale assira. Come sempre nel caso delle «scoperte geografiche», si dà per scontato che la conoscenza che di quelle vie o di quei posti avevano, avevano sempre avuta, gli abitanti locali («indigeni», «selvaggi» o «barbari» che fossero) è da considerarsi ideologicamente irrilevante. Nelle iscrizioni assire, il vanto della priorità è a volte riferito ad un generico «Nessuno aveva mai ecc.», a volte più correttamente ai precedenti re assiri: «Nessuno dei re miei predecessori», o simile.
Il motivo può riassumersi così: il re assiro, facendo seguito al mandato divino, e grazie alle sue capacità eroiche (e anche alla sua superiorità tecnologica), riesce ad attraversare vie così ardue da apparire impercorribili, ed effettivamente mai percorse dai re precedenti. Ovviamente nel paese centrale, già civilizzato e densamente abitato, sottomesso da tempo all’autorità regia assira, le vie sono conosciute (cfr. cap. 20), facili e ben attrezzate, e il paesaggio è pianeggiante e sistemato dall’azione umana. Ma nella periferia le condizioni sono opposte: il terreno è impervio, il passaggio è difficoltoso, salite e discese sono ripide, la popolazione locale benché rarefatta è però ostile, gli animali sono selvatici e feroci, la vegetazione è densa al punto di oscurare la luce del sole. Il mandato divino sarà ottemperato quando anche lo spazio esterno potrà assumere la configurazione di quello interno, ma per conseguire questo risultato il primo atto necessario è l’esplorazione, l’apertura della via attraverso le montagne inaccessibili, fino ad arrivare alla fine del mondo, alle sponde dell’Oceano.
Arrivato alla sua meta ultima, oltre la quale non c’è più spazio da percorrere, arrivato dunque alla riva del mare esterno (o anche a sue presunte derivazioni, i grandi laghi al di là delle montagne), o anche ad altri elementi di carattere «liminare» (un’alta montagna, la sorgente di un grande fiume), il re procede a due azioni simboliche: lava nel mare le armi, che ormai possono essere riposte, ma che vanno ripulite del sangue dei nemici uccisi, e offre sacrifici agli dèi, in ringraziamento per l’aiuto che ha consentito la grande impresa di arrivare alla fine del mondo3.
Nelle iscrizioni celebrative, il motivo della «via difficile» trova una collocazione funzionale nella sequenza narrativa della campagna-tipo4: dopo l’assicurazione divina, la raccolta delle truppe e delle attrezzature, il re deve attraversare lo spazio esterno, aprire la via difficile, per giungere al luogo del combattimento o della resa del nemico. L’attestazione del motivo è perciò frequentissima, e non manca qualche raffigurazione iconica.
Il motivo ha i suoi modelli letterari, soprattutto nelle figure del mitico Gilgameš e dell’eroico Sargon. Di Gilgameš si dice che «aprì passi montani, scavò pozzi alla base delle montagne, attraversò (persino) l’Oceano immenso, fin là dove sorge il sole» (Gilgameš, Tav. I: i 36-38), ed egli stesso dice: «Ho vagato e percorso tutte le terre, ho valicato montagne difficili, ho attraversato tutti i mari» (Gilgameš, Tav. X: v 25-27). Ancora il cosiddetto «mappamondo babilonese» (del VII secolo) allude ai distretti al di là dell’Oceano, popolati da animali strani, come a terre «che nessuno conosce» (Horowitz 1998, pp. 23-25, Rev. 26’-27’).
Quanto alle leggende su Sargon di Akkad, il motivo della via difficile, delle montagne invalicabili, è presente soprattutto nel Re della battaglia (di età paleo-babilonese, ma ben noto in ambiente neo-assiro), riferito al percorso dalla Mesopotamia all’Anatolia centrale. Lo si ritrova anche in testi neo-babilonesi, come la Leggenda di Sargon, dove la funzione di modello, da essere imitato dai re futuri, è esplicita:
«Con picconi di bronzo mi aprii la strada attraverso montagne difficili. Salii sulle montagne alte, attraversai le montagne basse... Qualunque re sorgerà dopo di me... che si apra la strada con picconi di bronzo attraverso montagne difficili! Che salga sulle montagne alte! Che attraversi le montagne basse!». (Sargon Legend: 15-17 in Goodnick Westenholz 1997, pp. 40-43)
Oltre ai testi letterari, c’è anche in proposito una tradizione assai risalente nelle iscrizioni reali mesopotamiche, si pensi ad esempi famosi, come il vanto di Yaḫdun-Lim di essere stato il primo re di Mari a raggiungere il Mediterraneo (RIME 4, n. 6.8.2: 34-40), o a quello di Naram-Sîn di Akkad, di essere stato il primo a raggiungere e distruggere Ebla (RIME 2, n. 1.4.26) o Talḫat (ibid., n. 1.4.25).
Nelle iscrizioni reali assire il motivo dell’apertura della «via difficile», di norma associato al vanto della «priorità eroica», è di attestazione molto frequente5, e conviene qui darne solo una scelta esemplificativa. Il motivo inizia ad essere attestato già in età medio-assira, con Tukulti-Ninurta I:
«Poderose montagne e difficilissime catene montane, le cui vie nessun altro re aveva conosciuto, io frequentemente attraversai per la mia eccezionale potenza. Praticai passaggi attraverso le montagne con picconi di bronzo, ed allargai i loro impraticabili sentieri». (RIMA 1, p. 272: 40-45)
Allo stesso Tukulti-Ninurta I si riferisce con ogni probabilità la lettera di Tudḫaliya IV al visir assiro Babu-aḫa-iddina6 al momento dell’intronizzazione del nuovo re, che aveva manifestato la volontà di compiere una spedizione «eroica» contro un paese straniero, per farsi un nome. Il re hittita consiglia di deviare l’ardore del giovane re verso altra direzione che non sia al di là dell’Eufrate, in territorio se non hittita però troppo vicino ad esso. Il bello è che poi il giovane e ardimentoso Tukulti-Ninurta effettuerà la sua prima campagna proprio in quella direzione, vantandosi poi di aver catturato «28.800 Hittiti»7. Il timore di Tudḫaliya era dunque fondato ma il suo intervento diplomatico non ebbe effetto.
Il motivo della via difficile è poi attestato con Tiglath-pileser I:
«Vie difficili, passaggi pericolosi, il cui interno nessun re in precedenza aveva mai conosciuto, sentieri bloccati e regioni inaccessibili, io feci attraversare. I monti GN1-16, sedici forti montagne, quando il terreno era buono io li aprii (procedendo) sui carri, quando era troppo difficile (li aprii) con picconi di bronzo. Abbattei alberi di montagna, sistemai ponti per il transito dei carri, e attraversai l’Eufrate». (RIMA 2, p. 21: iv 53-71)
Con Aššur-bel-kala, che anche ripete analoghi vanti (RIMA 2, p. 91: i 11’-18’), abbiamo anche la prima esplicita raffigurazione del motivo, nell’Obelisco Bianco (Fig. 1)8.
Dopo l’intermezzo dei secoli XI-X, l’esplorazione della periferia riprende – durante la cosiddetta Reconquista – con Adad-nirari II:
«Raccolsi carri e soldati e marciai attraverso vie difficili e aspre montagne, impraticabili per il passaggio di carri e truppe, nelle quali nessuno dei re miei predecessori era mai penetrato, e dove non volavano neppure gli uccelli alati del cielo». (RIMA 2, n. 99.2: 82-84)
e poi con Tukulti-Ninurta II:
«Mossi dal passo di Kirriuri, entrai nei monti Urrubnu e Išrun, poderose montagne nelle quali nessuno dei re miei predecessori aveva combattuto... Marciai su terreno difficile e impervio, dove nessuno dei re miei predecessori era mai passato, io passai e penetrai». (RIMA 2, n. 100.5: 30-34)
sempre con la stessa fraseologia di eredità medio-assira. Con Assurnasirpal II la riconquista culmina e si completa, e il motivo viene più raramente impiegato:
«Marciai fino al monte Etinu, su terreno impervio, impraticabile per carri e truppe, al quale nessuno dei re miei predecessori si era mai avvicinato». (RIMA 2, n. 101.1: ii 62-63)
È solo con Salmanassar III che l’esercito assiro si avventura in una periferia montana che davvero non era mai stata controllata dai re medio-assiri9 – anche se lo stile del resoconto resta ancora succinto e ripetitivo:
«(Il re) che ha visto regioni interne e difficili, che ha percorso cime montane in tutte le alte-terre ... che apre vie (nuove) in alto e in basso ... che costantemente avanza in strade difficili attraverso monti e mari...». (RIMA 3, n. 101.2: i 6-10)
«Strade difficili e montagne impervie, che si ergono verticalmente contro il cielo come lame di spada, che nessuno dei re miei padri aveva mai attraversato, smantellai con picconi di bronzo, e feci procedere carreria a fanteria». (RIMA 3, n. 101.1: 19-22)
Ed è solo con il racconto dell’ottava campagna di Sargon II, descritta con grande dettaglio nella sua Lettera ad Aššur, che il motivo si arricchisce di maggiori dettagli, specie nell’attraversamento delle montagne armene:
«Tra i monti GN1-4, alte montagne, imponenti catene, difficoltosi pendii, dove non c’è passaggio per carri e fanterie, dove sono inserite poderose cascate il cui rombo si sente a un miglio di distanza, come fosse un tuono, (montagne) ricoperte di ogni genere di alberi, fitti come canne, il meglio degli alberi da frutta e vigneti, l’avvicinarsi ai cui valichi genera terrore, dove nessun re era mai entrato, il cui interno nessun principe mio predecessore aveva mai visto. I loro grandi tronchi io abbattei, scavai i loro penosi pendii con picconi di bronzo, e una stretta via, una sorta di passaggio, dove i fanti dovevano passare in fila indiana, io sistemai tra di essi (monti) per il transito del mio esercito. Il mio carro lo caricai sulle spalle (dei soldati), mentre io, a cavallo, presi la testa delle truppe, e i cavalieri del mio seguito si misero in fila indiana per passare attraverso quel valico». (TCL III: 324-332)
Con Sargon II, l’espansione dell’impero, rispetto all’ecumene allora nota, è praticamente completa: va dal mare inferiore (il Golfo Persico) al mare superiore (il Mediterraneo), e anzi la conquista, seppur effimera, di Dilmun (Bahrein) e di Cipro viene vantata come segno di aver non solo raggiunto ma addirittura varcato l’Oceano. I «lati lunghi» della mappa mentale sono costituiti dalle montagne degli Zagros a nord-est e dal deserto siro-arabico a sud-ovest, terre di popolamento abbastanza rarefatto da potersi ignorare. Ci si aspetterebbe dunque che il motivo dell’esplorazione di terre nuove e l’apertura di vie impraticabili venga a cessare. Invece con Sennacherib il motivo è ben vivo, anche se applicato a regioni a stretta contiguità rispetto all’Assiria, dagli Zagros centrali al Judi Dagh sul Tigri a monte dell’Assiria:
«Vie mai percorse (prima), strade faticose a motivo delle montagne impervie: prima di me nessuno dei re miei predecessori c’era mai entrato. Ai piedi dei monti Anara e Uppa, montagne poderose, posi il campo (s’intende: lì fece sosta il grosso dell’esercito). Io stesso, su un seggio portatile, con le mie valorose truppe scelte, entrai nei loro stretti valichi con molta difficoltà e faticosamente scalai le cime di quelle difficili montagne». (RINAP 3/1, n. 22: iv 15-23)
Con Sennacherib abbiamo anche una ripresa delle raffigurazioni iconografiche dell’attraversamento della periferia montana10. Un tocco di umanità, caratteristico di Sennacherib, è la stanchezza che assale il re al termine della salita, con frasi che riecheggiano il modello letterario del già citato Re della battaglia, dove però a stancarsi sono solo i soldati, mentre il re è infaticabile. Ecco il passo di Sennacherib:
«Con le mie implacabili truppe scelte, io, come un toro selvaggio, ne presi la fronte. Nel mio seggio portatile avanzai attraverso i burroni e i canaloni di quelle difficili montagne. Dove era troppo difficile (procedere) sul seggio, avanzai a piedi come uno stambecco. E quando le mie ginocchia cedettero e diventarono stanche, sedetti su un roccione di montagna e bevetti acqua fresca dal mio otre, per placare la sete». (RINAP 3/2, n. 46: 39-41; cfr. anche n. 149: 1-9)
Ed ecco il passo del Re della battaglia:
«Signore, la via che vuoi percorrere è una via molto difficile, un percorso penoso! La via per Purušḫanda, che tu vuoi percorrere, è una via che sconsiglio, è un affare di sette doppie-ore! Quando mai potremo metterci a sedere? Potremo mai sostare un momento, quando le nostre gambe non avranno più forza, le nostre ginocchia non ne potranno più di camminare su quei sentieri?». (Goodnick Westenholz 1997, pp. 110-115: 8-12)
La contrapposizione tra le truppe, umanamente suscettibili di stancarsi, e il re instancabile è ben espressa da un passo di Tiglath-pileser III:
«Marciai per sette leghe, giorno e notte, non permisi alle truppe assire di aver sosta, non diedi loro acqua da bere, non posi campo né bivacco per la stanchezza dei miei soldati. Io combattei contro di loro (i nemici), li sconfissi, ne depredai il campo». (RINAP 1, n. 35: i 27-31)
Infine, è con Esarhaddon e Assurbanipal che l’orizzonte delle periferie da esplorare si amplia davvero, e alle catene montane si affiancano i deserti pietrosi o sabbiosi dell’Arabia. Esarhaddon avanza lungo la costa desertica del Golfo Persico, fin quasi all’odierno Qatar:
«La terra di Bazu, un distretto di collocazione remota, una terra arida dimenticata, un terreno salino, un luogo assetato, per 120 leghe (doppie-ore) di terreno sabbioso, di rovi e di sassi, più 20 leghe di serpenti e scorpioni che riempiono il terreno come formiche, superai il Monte Ḫasû, una montagna di pietra saggilmud, superai e procedetti oltre. Questo distretto, dove sin da giorni remoti nessuno dei re miei predecessori era mai andato, per ordine di Aššur io vi entrai vittorioso». (RINAP 4, n. 1: iv 53-61; n. 2: iii 9-20; n. 3: iii 13’-21’; n. 4: ii 25’-35’)
Ed ecco Assurbanipal che insegue gli Arabi nel deserto della Siria sud-orientale:
«(Le mie truppe) percorsero vie remote, scalarono alte montagne, penetrarono entro fitte foreste, tra grossi alberi e rovi, in una strada di boscaglia, fin dentro ad un deserto, luogo di sete e di fame, dove non ci sono né uccelli del cielo né onagri o gazzelle. Per una distanza di 100 doppie-ore da Ninive... io proseguii il mio inseguimento». (Prism A: viii 81-91 in BIWA, pp. 64-65 e 247; cfr. anche Lettera ad Aššur: iii 19-34 in BIWA, p. 79)
Ho insistito sul motivo della «via difficile» perché è il più caratteristico delle iscrizioni reali assire, e anche perché è quello che privilegia l’aspetto geografico, l’accesso, la scoperta. Ma ovviamente il motivo della priorità si applica anche ad episodi in cui l’accento è posto sull’aspetto militare (la conquista) o politico (la sottomissione) e non su quello geografico. La conquista di paesi che in precedenza non erano mai stati raggiunti è motivo frequente, ne cito solo qualche caso:
«Da Zamru presi con me (solo) cavalleria e truppe leggere, e marciai fino alle città di Ata, uomo di Arzizu, dove nessuno dei re miei padri era mai penetrato». (Assurnasirpal II, RIMA 2, n. 101.1: ii 72-73; cfr. anche n. 101.17: iii 62-65)
«Marduk-apal-iddina di Bit-Yakini, un re del Paese del Mare, che non era mai venuto alla presenza di alcun re mio predecessore, né ne aveva baciato i piedi, il terrore dello splendore di Aššur mio signore lo sopraffece e venne in mia presenza alla mia città di Šapiya a baciarmi i piedi». (Tiglath-pileser III, RINAP 1, n. 47: 26-27)
«Le tribù di Tamudi, Ibadidi, Marsimanu e Ḫayapa, arabi remoti, abitanti del deserto, che non (ri)conoscono sorvegliante né soprintendente, che non avevano mai portato tributo ad alcun re: con l’arma di Aššur mio signore io li abbattei, e il resto lo deportati a Samaria». (Sargon II, ISKh, pp. 110 e 320: 120-123)
«Nella mia seconda campagna Aššur mio signore mi rassicurò e io andai nel paese dei Cassiti e degli Yašubigallei, fieri nemici che da sempre non si erano mai sottomessi ai re miei padri... [segue conquista]». (Sennacherib, RINAP 3/1, n. 3: i 20 e n. 22: i 65-68)
«Il paese di Patušarri, distretto al margine del deserto salato, in mezzo alle terre dei Medi lontani, al confine col Monte Bikni, la montagna di lapislazzuli, sul suolo del cui paese nessuno dei re miei padri aveva mai camminato... [segue sottomissione]». (Esarhaddon, RINAP 4, n. 1: iv 46-48 e passi paralleli)
«Camminai sul dorso della gente di Ḫilakku (la Cilicia), montanari che vivono su montagne inaccessibili, accanto a Tabal (la Cappadocia), cattivi Hittiti che confidano nelle loro alte montagne, e che sin da giorni lontani non si erano mai sottomessi al giogo (assiro)...». (Idem, RINAP 4, n. 1: iii 47-51 e passi paralleli)
E lo stesso vale per l’ordinamento politico:
«Benché al tempo dei re miei padri nessun governatore di Suḫu fosse mai venuto in Assiria, Ili-ibni governatore di Suḫu portò a Ninive in mia presenza il suo tributo in oro e argento, per salvare la sua vita». (Assurnasirpal II, RIMA 1, n. 101.1: i 100-101)
«Io, Tiglath-pileser (III) re di Assiria, di mia mano conquistai tutte le terre dal sorgere al tramontar del sole, e istallai governatori in posti dove i carri dei re miei padri non erano mai giunti». (RINAP 1, n. 35: ii 18’-21’)
Talvolta non è il re assiro, alla testa del suo esercito, che va a scoprire e sottomettere regioni nuove, ma sono genti precedentemente ignote che si rivelano da sé; anche se il merito è sempre assiro, è la fama delle straordinarie vittorie e conquiste del re assiro che si è diffusa nel mondo, fino all’estrema periferia. I testi fanno riferimento sia al «nome» (šumu), cioè alla fama conseguita con le vittorie, sia allo splendore terrorizzante (puluḫtu e simili, cfr. cap. 3) che emana dalla testa del re a simboleggiare come la sua potenza generi un misto di rispetto e terrore anche a grande distanza.
Così Tiglath-pileser III, vittorioso in tutto il Levante, riceve l’omaggio e i doni di lontani capi arabi, non si sa se più ammirati o preoccupati:
«Le genti di Massa, Teima e Saba, Ḫayapa e Badanu e Ḫatte, e quelli di Idiba’il, che stanno al confine delle terre occidentali, che nessuno aveva mai conosciuto, la cui sede è remota, seppero della potenza della mia regalità e delle mie azioni eroiche, e invocarono la mia signoria, portando in mia presenza come tributo oro e argento, cammelli e ogni tipo di spezie, e mi baciarono i piedi». (Tiglath-pileser III, RINAP 1, n. 42: 27’-33’; n. 44: 8’-16’; n. 47: Rev. 3’-6’)
«(Un capo arabo) che non si era mai sottomesso ai re miei predecessori, e non gli aveva mai mandato alcun messaggio, seppe delle mie conquiste in Siria (Ḫatti). Il terrificante splendore di Aššur mio signore lo sopraffece e lo ridusse alla disperazione. Mandò i suoi messaggeri a Kalḫu, a rendermi omaggio». (Tiglath-pileser III, RINAP 1, n. 48: 20’-22’ e n. 49: Rev. 23-25)
Sargon II, che aveva conquistato le terre dal Mare Inferiore al Mare Superiore, e che era anche vittorioso su Babilonia, il centro del mondo nella mappa mentale mesopotamica, ormai «re di Assiria e Babilonia» riceve il tributo dei due re isolani «transoceanici» di Bahrein e di Cipro, ai due estremi opposti del mondo:
«Uperi re di Dilmun, che vive come un pesce a 30 doppie-ore di distanza in mezzo al mare del Sol Levante, udì della potenza di Aššur, Nabû e Marduk, e mandò i suoi doni. E sette re di Ya’, distretto di Yadnana, le cui sedi lontane stanno a sette giornate di viaggio in mezzo al mare del Sol Ponente, e il nome dei cui paesi sin da giorni lontani nessuno dei re miei padri, d’Assiria o di Babilonia, aveva mai udito: costoro udirono da lontano, in mezzo al mare, delle imprese da me compiute in Caldea e in Siria, i loro cuori si spezzarono, il terrore li invase, e mi portarono a Babilonia oro, argento, mobilia di avorio e di bosso, prodotti del loro artigianato, e mi baciarono i piedi». (Prunk 144-148, in ISKh, pp. 232-233 e 352; anche Annali 393-395, in ISKh, pp. 175-176 e 337)
Persino il re di Meluḫḫa (termine letterario per la Nubia), che stava «in un luogo inaccessibile, ad una distanza [lontana]» e i cui predecessori «sin da giorni lontani e fino ad oggi non avevano mai mandato i loro corrieri ai miei padri, ad informarsi della loro salute», finalmente sopraffatto dallo splendore terrorizzante del re assiro gli restituisce i rifugiati politici (Prunk 109-112, in ISKh, pp. 221-222 e 348-349).
Sembra di sentire le Res Gestae di Augusto11, che raggiunge l’estrema periferia a nord (i Cimbri, 26, 4) e a sud (Napata in Nubia, Marib in Arabia Felix: 26, 5), e che riceve ambascerie di re mai prima conosciuti: «A me spesso sono state inviate delle ambascerie di re dall’India, non viste prima di questo tempo presso alcun condottiero romano» (31, 1). Del resto, l’acquisita conoscenza di paesi precedentemente ignoti, è già motivo topico in Egitto12, dove però si preferisce attribuire l’ignoranza ai paesi alieni «che non conoscono l’Egitto», forse perché sarebbe inaccettabile un’ignoranza del re-dio.
Tornando alla sequenza assira, Esarhaddon insiste soprattutto sulla sottomissione dei Medi, senza poter dire che non si erano mai sottomessi (in effetti Sennacherib se ne era già vantato pochi anni prima: RINAP 3/1 n. n. 3: i 33; n. 34: 86-88) ma notando che essi non erano mai venuti in Assiria:
«PN1-3, capi di GN1-3, Medi la cui terra è lontana, e che non avevano mai attraversato il confine assiro, né percorso il suo terreno al tempo dei re miei padri: il terrore di Aššur mio signore li sopraffece ed essi portarono a Ninive, città della mia signoria, grandi asini carichi di blocchi di lapislazzuli delle loro montagne e baciarono i miei piedi». (RINAP 4, n. 1: iv 32-39 e passi paralleli)
L’anomalia s’infittisce nelle righe seguenti, dove il patto giurato è definito kitru anziché adû (rinvio al cap. 13 per il ben diverso significato); ma il tutto si spiega perché i capi medi si recano alla capitale assira per accompagnare i soldati che dovevano fungere da corpo di guardia del principe ereditario13.
Infine Assurbanipal riceve la sottomissione sia degli Arabi sia dei residui regni siro-anatolici:
«Natnu, re dei Nabayate, la cui sede è lontana, e che mai ai re miei padri aveva inviato un messaggero a recare i saluti, ora udì della potenza di Aššur e Marduk... e inviò il suo messaggero a recarmi i saluti e a baciarmi i piedi, e pregò la mia signoria di stabilire un patto di pace e sottomissione». (Cil. B: viii 51-60 in BIWA, pp. 116 e 245)
«Yakinlu re di Arwad, che abita in mezzo al mare e che non si era mai sottomesso ai re miei padri, si sottomise al mio giogo... Mugallu re di Tabal, che ai re miei padri aveva indirizzato parole ostili... Sandašarme di Ḫilakku, che non si era mai sottomesso ai re miei padri, e non aveva mai trainato il loro giogo...». (Cil. A ii 63-80 in BIWA, pp. 29 e 216-217; cfr. anche LET: 28-37 in SACT n. 20)
Ma il contatto considerato più clamoroso è senza dubbio quello intercorso (seppure per via indiretta) con Gige re di Lidia, evidentemente preoccupato dell’avanzata assira. Nel riferire l’episodio, il racconto assiro sottolinea la novità del contatto, suscitato da un sogno rivelatore, ma poiché l’accento è posto soprattutto sul linguaggio incomprensibile, che rende il contatto difficile, ne rinvio la menzione al cap. 25.
Rispetto alle esplorazioni geografiche della prima modernità14, si ravvisano differenze e somiglianze. Simile è la sequenza logica e operativa di apertura di nuove vie, conquista militare, sottomissione politica. Ma ben diversa è la scala del fenomeno, e diversa è la personalità di chi ne è l’artefice. Nel mondo proto-moderno, le esplorazioni erano compiute da navigatori, inviati dai loro re verso isole e continenti transoceanici. In Assiria è il re stesso a compiere l’esplorazione (tutta per via di terra) o almeno ad attribuirsene l’esecuzione, e la compie già alla testa dell’esercito in modo che conoscenza e conquista si collegano assai più strettamente ed esplicitamente. C’è però in questa presentazione autocratica un’evidente esagerazione: da testi d’archivio (lettere) ricaviamo indizi del fatto che le vie nuove, da aprire a colpi di piccone, fossero in realtà già note, già percorse magari da mercanti, e certo da esploratori mandati a preparare il terreno per il passaggio di un esercito di migliaia di soldati (più ovviamente le ingombranti salmerie) che non avrebbe potuto avere successo senza un’adeguata preparazione (tornerò sulla questione al cap. 29).
Infine, qualcosa occorre dire sul concetto assiro di «frontiera», giacché l’esplorazione prima e la conquista poi spingono avanti il confine tra cosmo e caos, operazione che abbiamo visto essere il nucleo sostanziale della «missione imperiale» assira. Il termine miṣru (si veda il CAD M/2 s.v.) ha la doppia valenza di «confine» (in senso statico) e di «frontiera» (in senso dinamico). Nell’uso legale corrente il confine è stabile, non si deve muovere, è segnato da cippi (kudurru), delimita proprietà, terreni agricoli15. Sono correnti i divieti di spostarlo (miṣirša ul ussaḫḫa / kudurraša ul uttakkar, «il suo confine non sarà spostato, il suo cippo non sarà cambiato») e le maledizioni contro chi lo spostasse (ša miṣra innû, kudurra unakkaru, «chi cambiasse il confine, spostasse il cippo», oppure ša miṣra u kudurrašu ušannû, «chi facesse cambiare il confine e il suo cippo»). Invece nell’uso ideologicamente connotato, proprio delle iscrizioni reali, il confine deve essere continuamente spinto in avanti, «allargato» (verbo ruppušu), e dovrà essere segnato da cippi solo quando avrà raggiunto la sua collocazione estrema/ottimale alla fine del mondo. Sono epiteti regi correnti quelli di murappiš miṣri u kudurri («allargatore del confine e del cippo»), murappiš miṣri māt Aššur («allargatore del confine dell’Assiria»), anche con mušarbû, «ingranditore», invece di murappiš, «allargatore», o anche la metafora dello «scettro di giustizia, che allarga il confine» (ḫaṭṭu išartu murappišat miṣri), o anche vanti del tipo miṣir mātīya urappiš, «allargai il confine della mia terra», e simili. Si usa anche il verbo turru nel senso di «recuperare», che non è solo applicato alla riconquista di territori perduti, ma anche a nuove annessioni: GN ana miṣriya / ana miṣir māt Aššur utir, «il Tal paese recuperai al mio confine / al confine dell’Assiria» – nel senso che ogni acquisizione è un recupero rispetto al teorico e perenne possesso di tutto il mondo da parte del dio Aššur e del suo re/delegato.
La contraddizione tra i due valori, statico e dinamico, è solo apparente: a ben vedere i confini interni al cosmo, al regno giusto e garantito dal dio, sono e devono essere stabili, inamovibili, mentre è solo il confine esterno del cosmo rispetto alla sua periferia che deve essere spinto più avanti possibile. Si noti anche come il re assiro assuma la funzione di stabilire e garantire il confine tra regni suoi «vassalli»: tale è il caso del confine stabilito da Adad-nirari III e dal suo turtānu (capo dell’esercito) Šamši-ilu tra il regno di Hama e quello di Arpad (RIMA 2, n. 104.2), come pure di quello tra Kummuḫ e Arpad (ibid., n. 104.3), o di quello ribadito da Šamši-ilu per Kummuḫ al tempo di Salmanassar IV (ibid., n. 105.1).
All’epoca del Tardo Bronzo, in clima di coesistenza più o meno pacifica o competitiva tra stati «fratelli», il confine era soprattutto uno spartiacque di tassazione, di giurisdizione, di responsabilità16. Per la precisa definizione dei confini tra stati, si vedano soprattutto i trattati hittiti con Šunaššura di Kizzuwatna e con Ulmi-Tešub di Tarḫuntašša (li si veda in WAW 7, n. 2, 60-64 e n. 18B, 2-4). Però regni particolarmente aggressivi come l’Egitto tuthmoside e poi ramesside e anche il Medio Regno Assiro già vantano la loro politica espansionistica17. La specifica «missione» di allargare il confine per ridurre il caos all’ordine mediante conquista e sottomissione è ben presente nell’Egitto del Nuovo Regno18, con espressioni come «conquistare il confine» (ỉn ḏrw) e soprattutto «allargare le frontiere» (swsḫ t3šw)19 che abbiamo detto essere il plausibile modello dell’analoga espressione assira.
Sul piano comparativo, la frontiera dinamica, non linea di demarcazione ma direttrice di espansione, è stata specialmente resa famosa per il West americano: un concetto iniziato già con Turner (1893) e ripreso poi da numerosi autori20, e applicabile anche all’avanzata zarista nell’Asia settentrionale fino al Pacifico e oltre21. Ma per il mondo antico c’è l’ottimo studio di Whittaker (1989) sulla frontiera dell’impero romano, nella doppia natura della frontiera come linea o come zona, e come fissa ovvero avanzante (propagatio imperii). A Roma è chiaro che la frontiera estrema/ideale deve coincidere con elementi naturali, rappresentativi della fine del mondo: l’oceano, i grandi fiumi, le alte catene montane (cfr. Tacito, Annali, 1.9): proprio come l’Assiria che stabilisce le sue frontiere naturali dapprima all’Eufrate poi al Mediterraneo, agli Zagros, al deserto siro-arabico. Ma, potremmo dire, come in tutti i grandi imperi territoriali. Il concetto stesso di «frontiera naturale» è una convenzione ideologica, in fondo un surrogato della frontiera estrema che si rivela difficilmente raggiungibile. Si pensi all’espansione della Russia zarista, che considera confini «naturali» l’Oceano Pacifico che però viene superato con l’annessione dell’Alaska, e il fiume Amur che in realtà è confine con un altro impero, quello cinese.
La frontiera può materializzarsi in una muraglia, oppure in una linea di fortini, o per nulla (solo mediante stele simboliche). La Grande Muraglia cinese22 o certi tratti del limes romano come il Vallo di Adriano in Scozia23 quando manchi un ostacolo naturale valido non hanno precedenti e restano casi tanto imponenti quanto rari. Più spesso si ha una serie di forti, di posti di controllo, come avviene per il limes romano in Africa e in Asia, e poi quello bizantino24; e questa soluzione è già presente nell’antico Oriente: si pensi al «muro del principe» in Egitto, o il «muro anti-Martu» della terza dinastia di Ur, che sono chiamati «muri» ma dovevano essere (stando a documenti come le miscellanee scribali per l’Egitto o la corrispondenza reale di Ur III) piuttosto delle sequenze di fortezze o posti di controllo fortificati25. L’Assiria non risulta aver mai adottato neppure questa soluzione (ma su questo punto cfr. anche cap. 18), disponendo forti sparsi nelle province, ma non proprio a marcare la linea di confine26.
Ovviamente una frontiera «lineare», precisa, segnata e protetta, si attaglia a regioni popolate, con città e villaggi che si deve stabilire se stanno «dentro» o «fuori»; mentre una frontiera «profonda», cioè una fascia ampia e a controllo sfumato dal centro verso la periferia, si confà a zone semi-desertiche, come la steppa arida e le montagne, terre segnate dal difficile rapporto tra l’impero sedentario e i suoi vicini nomadi. Basti considerare il caso della frontiera centro-asiatica della Cina27 per comprendere come neppure l’erezione di una Grande Muraglia riesca a modificare il carattere della frontiera come fascia sfumata e interattiva (nel bene e nel male) tra nomadi e sedentari.
Infine, la fattibilità pratica di un controllo sul mondo intero muta nel tempo. Nel mondo antico, con un’ecumene ristretta, si può davvero ritenere di poter conquistare «tutta» la terra (conosciuta), anche se l’estensione resta piccola: dunque ideologia potente, attuazione compatta ma limitata. In questo senso l’Assiria si avvicina davvero al controllo della sua mappa mentale, lasciando esterne solo zone (montagne e deserti) ragionevolmente considerabili come irrilevanti. Lo stesso si può dire, ad esempio, per l’impero achemenide, o per quello cinese, o per quello di Roma. Certo, man mano che l’ecumene conosciuta si amplia, soprattutto dopo le grandi «scoperte geografiche» che segnano l’inizio della modernità, nessun impero per quanto potente può occuparla tutta, ed è necessario coesistere, trattare, accettare compromessi: dunque ideologia flessibile, attuazione vasta ma discontinua, egemonia più che conquista.
1 Nicolet 1988, trad. it. pp. 49-89.
2 Si veda Villard 1997a e 2000. Una tripartizione del tipo «core/semiperiphery/periphery» è adottata da Fales 2001, pp. 13-20.
3 Sul motivo in età assira e post-assira cfr. Rollinger 2012. Si veda anche la dettagliata trattazione di Yamada 2000, pp. 273-299 su Salmanassar III.
4 Sulla quale rinvio a Liverani et al. 1982b; da ultimo Karlsson 2013, pp. 113-120.
5 Ponchia 2004; anche Favaro 2007, pp. 103-133 si dilunga molto sulla «via difficile», in tono storico-religioso.
6 WAW 7, n. 24.C; Mora e Giorgieri 2004, n. 17.III.
7 Il passo è discusso da Galter 1988; Liverani 1990a, pp. 48-50; Cifola 2004.
8 Reade 1979c, pp. 56-57 (che lo data ad Assurnasirpal I); Pittman 1997; Liverani 2012a.
9 Sul cambio di politica da Assurnasirpal II a Salmanassar III rinvio a Liverani 2004b; discutibile l’approccio di Lambert 1974.
10 Russell 1991, pp. 191-215, e Mazzoni 1992.
11 Cito dall’edizione Arena 2014 (cui rinvio per le precedenti edizioni).
12 Cfr. fra gli altri Kemp 1978.
13 Liverani 1995.
14 Si vedano Scammell 1989 e Brilli 2012 per trattazioni d’assieme.
15 Slanski 2000 e 2003.
16 Liverani 1990a, pp. 87-95. Sull’evoluzione dall’età medio-assira a quella neo-assira si veda Galter 2000.
17 Liverani 1990a, pp. 44-65; sull’Egitto anche Redford 1973.
18 Hornung 1966; Kemp 1978; Galán 2000 (specialmente su nḫt(w) «vittoria»).
19 Su ỉn ḏrw cfr. Lorton 1974, p. 73; Galán 2000, pp. 128-132; su swsḫ t3šw cfr. Grimal 1986, pp. 685-687 con nota 713; Galán 2000, pp. 128-132. Si veda anche cap. 1 nota 26.
20 Prescott Webb 1953.
21 Bassin 2004.
22 Rinvio a Di Cosmo 2002, pp. 138-158; Lewis 2007, pp. 52-59.
23 Rinvio a Whittaker 1989.
24 Ravegnani 2015, pp. 81-88.
25 Cfr. Morris 2005 per l’Egitto.
26 Parker 1997a-b, 2001, 2002, 2003.
27 Lattimore 1940 e Barfield 1989.