Cara Vittoria,
i tempi per la realizzazione della campagna sugli alberghi si sono allungati, stiamo riconsiderando alcuni elementi. Al momento il progetto è sospeso, ti farò sapere se ci saranno nuovi sviluppi.
Un caro saluto
Andrea
Andrea dell’agenzia. Gli telefono, non risponde, gli lascio un messaggio in segreteria. “Ciao! Ho visto la mail, mi chiami quando hai tempo?” gli chiedo con il tono tranquillo, cordiale, della professionista che sa come vanno queste cose, nessun problema, tutto sotto controllo.
Se mi salta questo lavoro mi raggomitolo sotto il letto e ne esco a primavera. Sempre ammesso che ne esca.
Quali elementi stanno riconsiderando? Il progetto è sospeso nel senso che è rimandato o è sospeso nel senso che è saltato? La campagna pubblicitaria era stata stabilita, avevamo anche fatto il casting per i modelli, il mio preventivo era stato concordato, non ancora firmato, d’accordo, ma il progetto era stato definito in ogni dettaglio.
Mi alzo, chiudo il portatile, faccio un giro nella stanza, piego un plaid scivolato dal divano, abbasso la radio, tolgo delle briciole dal tavolino, lavo i piatti. Il lavandino si sta nuovamente ingorgando, bisogna chiamare l’idraulico – se solo Alice mi lasciasse il numero lo chiamerei io.
Prendo il cellulare e le mando un messaggio. Chiama l’idraulico!
Potrei fare le pulizie in casa. Come lavoro, intendo. Non da Alice, lei si rifiuterebbe e io da lei non mi farei mai pagare, ma magari, facendo girare la voce, c’è chi potrebbe preferire qualcuno di conosciuto a cui affidare le chiavi di casa.
Lavo i piatti, pulisco il piano e i fornelli, cambio il sacchetto della spazzatura.
Parliamoci chiaro, ho la nausea se solo mi avvicino alla macchina fotografica. Quel punto di vista che piace così tanto a tutti, l’ho perso. E forse se ne sono accorti anche quelli dell’agenzia, forse è per questo che hanno sospeso il progetto.
Torno a sedermi davanti al portatile, lo apro, vado su Google e cerco Offerte lavoro Genova.
Va bene tutto, basta che ci sia uno stipendio.
La schermata trilla decine di suggerimenti. Cerchi lavoro? Candidati su Adecco. Infojobs, mille nuove offerte del giorno. Cerca lavoro a Genova, Subito punto it. Sei in cerca di lavoro? Gazzetta Lavoro punto net. Offerte e annunci di lavoro su Kijiji punto it, che suona come l’ultimo squittio disperato di una cavia ma che in swahili significa “villaggio”. Lo swahili, una lingua usatissima. E ancora annunci su Bakeca, Monster, Trovolavoro, Randstad, Match, Linkedin.
Dovrei fare un corso solo per capire come muovermi in questa giungla.
Apro un sito a caso e scorro le offerte.
Agente di commercio, aiuto-pizzaiolo, animatore turistico, addetto al web-marketing, istruttore di fitness, programmatore, operatore telefonico, istruttore di vela, autista, aiuto-cuoco, tanti agenti immobiliari, addetti alla vendita e promoter commerciali, personale per direct marketing, account servizi assicurativi, fattorino moto-munito, tirocinante tavola calda, tecnici suono per villaggi turistici.
Salvo poche eccezioni, o devono vendere o devono divertire. Massima resa al minimo costo.
Sono tutte “aziende leader”, la maggior parte cerca “giovani talenti” tra i diciotto e i trent’anni, dunque io sono fuori gioco. Chiedono una laurea, disponibilità full time, buona predisposizione alla relazione col pubblico, determinazione a lavorare per obiettivi, doti di leadership e di problem solving, esperienza pregressa nel settore specifico di almeno sei mesi: le competenze di un professionista di lungo corso in qualcuno che ha appena lasciato, se l’ha lasciata, la cameretta in casa dei genitori.
Immagino che esista già un generatore automatico di presentazioni ad hoc, un’app dedicata: inserisci il lavoro per cui ti vuoi candidare e in trenta secondi hai un testo di venti righe da incollare sul tuo curriculum. Un fronte di resistenza dei disoccupati per vincere in questo circolo vizioso delle prese in giro.
Scopro che l’Energy Account “può contare su un percorso di crescita professionale fatto di step stabiliti” di ragguardevole interesse, che variano dall’assunzione diretta al piano di retribuzione con fisso, rimborsi, provvigioni e premi fino a raggiungere, come ultimo traguardo, “un sistema di lavoro che non prevede il porta a porta”. Però, aspettative altissime.
Mentre per l’autista di container chiedono la conoscenza del rumeno – salto a malincuore anche questo annuncio.
Devo ricordarmi le quattro mosse: valorizzare la mia esperienza, aggiornarmi, reinventarmi, essere flessibile.
Mi soffermo sull’offerta per addetto al portierato e controllo accessi: sei ore al giorno, richiesta massima flessibilità, un giorno libero a settimana, milleduecento euro. Magari non valorizzo la mia esperienza e mi aggiorno giusto sul tempo, ma questo potrei farlo, speriamo ci sia il wi-fi in portineria. Invio il curriculum.
Ma non è così che troverò lavoro, lo so.
Dovrei tempestare di telefonate e visite a sorpresa le persone di una qualche influenza che ho conosciuto in questi anni, ma non ci riesco.
Ho passato oltre metà della mia vita a lavorare, ho fatto tutte le gavette necessarie, ho accumulato lavori precari e un paio di lustri in un’azienda, ogni giorno, cinque giorni alla settimana, crescendo, invecchiando, cambiando i sogni in corso d’opera, spostando gli obiettivi, convinta di costruire qualcosa, lasciando alla giovinezza l’energia per fare di più o osare di più. Capisco i giovani che escono dall’università e si aspettano di trovare l’occupazione ideale nel mondo del lavoro, ma già la mia generazione sapeva di essere la prima a non poter contare sul posto fisso e su una pensione assicurata, stupirsene adesso è più che ingenuo, è peregrino. E capisco cosa voglia dire essere precari a venticinque anni o a trenta, senza un terreno su cui costruire un futuro, con l’amarezza di quella meritocrazia mai applicata, la fatica di arrangiarsi. Siamo in milioni, a capirlo. Ma ci sono altre porte da aprire, a quell’età, che alla mia sono molto più difficili da raggiungere. E se non avere un lavoro a trent’anni è ancora socialmente accettabile, a quarantasei è umiliante, perché non è la sensazione di non avere ancora vinto, è quella, ormai, di avere perso.
Davanti a te c’è la vecchiaia che si avvicina con rapidità imprevista, c’è il corpo che cambia, la testa che rallenta e fatica a imparare cose nuove, il mondo che galoppa con nuove tecnologie che ti sembrano sempre più ostiche e lontane, il linguaggio che si trasforma, i bilanci personali che ti annientano, le speranze che si assottigliano, e sei estraneo e disorientato, con la spietata consapevolezza di ogni dettaglio, con quell’imbarazzante obbligo a comportarsi come un giovane aspirante e l’esperienza di vita che nel frattempo hai immagazzinato. Venire esaminati da consulenti che potrebbero essere tuoi figli, dover rispondere a indagini incalzanti sulle tue scelte, sul margine di abbassamento delle tue aspettative, con la sufficienza di chi è lì a spiegarti che forse non hai fatto abbastanza o abbastanza bene, se sei ancora senza un lavoro. L’enorme, incolmabile differenza tra il non ancora e il non più.
E se sei una donna sola senza figli, sei doppiamente perdente: se prima avevano paura che li facessi, dopo si insospettiscono perché non li hai fatti.
Giudizi, cumuli di giudizi che ti si appiccicano. E che a volte ti appiccichi da sola.
Se Alice avesse potuto aiutarmi lo avrebbe già fatto. Mando un messaggio a Monica. Aiutami a inventarmi un lavoro, le scrivo. Poi aggiungo: Che non sia da abbraccia-alberi, punto e virgola, parentesi chiusa, l’occhiolino anti-acido.
Scrivo una mail a una wedding planner conosciuta qualche mese fa, avevamo lavorato bene insieme, magari potrebbe aver bisogno di me. Per fotografare matrimoni non sono indispensabili il talento artistico o il punto di vista speciale, solo capienti schede di memoria, un paio di obiettivi, la creanza di un maggiordomo, la diplomazia di un ambasciatore e la pazienza di uno stercorario.
E forse sarà il caso di pensare a qualche taglio alle spese.