Secondo Alice sto meglio, penso tornando a casa e sperando, come ogni volta che guido, che qualcuno perda il controllo della sua auto e mi si schianti addosso in un frontale. Se questo significa stare meglio... Se non altro, non ho più paura della morte. Non la cerco, no, ma mi ritrovo spesso a desiderarla. Risolverebbe finalmente questa esistenza a cui non riesco più a dare un senso.
Mi chiedo se esista, un senso, perché a me sfugge e mi pare tutto un grande caos nel quale ci arrabattiamo per cercare di non farci troppo male. Non vedo giustizia, né logica, non ci sono cerchi che si chiudono, portoni che si aprono o mosaici che si ricompongono, i buoni non vincono e i sentimenti non bastano, non c’è nulla che ci premia o ci punisce, meritarsi qualcosa non significa averla in sorte, nessuna certezza, nessun disegno superiore, solo scelte, piccole o grandi. Che non bastano neanche.
Scelgo ogni giorno di alzarmi per le mie persone, è per loro che apro la finestra, rifaccio il letto, lancio il topino a Sugo, mi lavo i denti, mi spalmo la crema antirughe, mi faccio una tisana e inizio la giornata. L’unica cosa che per me ha ancora senso è non deluderle, non sprecare l’amore che hanno per me, ridere, farle ridere, ascoltarle, pensarle e tornare presto a dare qualcosa anch’io. Perché gli amici sono una famiglia che si tiene per mano.
Ma non mi sento più intera e mi manca una direzione, non so cosa posso ancora sperare, sognare, desiderare. Giusto cose piccole, come un bel film, il sole per stendere fuori o un po’ di soldi che mi diano respiro e libertà. Ma poi?
Ho creduto in un grande amore ed è durato pochi anni. Crederci ancora, se incontrassi un altro uomo, non basterebbe – non è bastato.
Ho creduto di essere una fotografa ma non lo sono se non fotografo, né se le mie fotografie non vengono pubblicate. Ho perso il mio sguardo, non ho idee che bussano e anche se lo facessero non basterebbe – non è bastato.
Ho paura di non avere la vocazione per la felicità, quella di chi procede a testa alta con la certezza di meritare ciò che desidera.
Per un attimo, un attimo rispetto alla mia vita, tre anni su quarantasei, sono stata felice. Ho davvero pensato di avere esattamente ciò che desideravo, aveva il suo prezzo ma andava bene, era reale: per tre anni ho potuto chiudere gli occhi e addormentarmi amata e intera, con tutti i pezzi al posto giusto, e ho respirato come chi ha appena fatto una lunga doccia dopo aver corso una maratona. Io, per tre anni, ho creduto di aver finalmente avuto il mio riscatto. E invece.
Mi sembra tutto una follia forza nove in cui dobbiamo cercare di non annegare. Qualcuno si aggrappa a una fede religiosa, a una spiritualità ben salda. La mia zattera è l’amicizia. La vedo, la tocco, è dimostrabile e mi tiene a galla, con una mano sotto il mento e un braccio avvinghiato per portarmi in rada senza farmi affogare.
Ma in quel mare in tempesta ho perso i miei desideri, sono scivolati fuori dalle tasche e affondati.
Lo so che c’è chi sta peggio, saperlo fa la tara ai miei problemi ma non me li alleggerisce, mi fa solo sentire meno in diritto di lamentarmi. Del resto, io sono quella che sta dietro un obiettivo, che ha paura di disturbare e che si veste di nero, color dell’ombra.
Sì, sto meglio. Fuori, per i miei amici che meritano di vedermi stare meglio. Ma dentro è un abisso di cui non vedo il fondo.
Rientro a casa, controllo la cassetta della posta, neanche oggi c’è una lettera di Federico. Salgo al mio piano, l’ascensore si apre, controllo le scale davanti alla mia porta, neanche stasera Federico è lì che mi aspetta. Nessun sacchetto misterioso pende dalla maniglia della porta e, come ogni giorno, nessun messaggio, nessuna mail.
Anche per oggi nessun lieto fine, per me.