Tra Scozia e italia: identità, differenza e poetica interculturale in William Sharp

Annalisa Bonomo

FU L’IDEA DI UNA POETICA volutamente interculturale a costituire le fondamenta della letteratura del poeta scozzese William Sharp.

Viaggiatore alla scoperta di sempre nuove terre d’approdo, geografiche e spirituali al contempo, Sharp incarnò l’essenza stessa di un’esistenza personale e artistica a cavallo tra terre e lingue spesso in conflitto tra loro, distanti per matrice ed impatto culturale. Scozzese di nascita ma cosmopolita nell’animo e spesso restio alle rigidità dello spirito nazionalista tipico del vittorianesimo di fine ’800, Sharp costituì un mirabile esempio di critico acuto e scrittore attento, poeta raffinato e biografo esperto, viaggiatore in piena sintonia con il mondo terrestre e dunque artista moderno ed eclettico in ogni sua manifestazione.

Già nel 1911 Richard Le Gallienne s’interrogava su quello che egli stesso definiva a certain histrionism di Sharp, puntando l’attenzione sulla criptica rappresentazione dei suoi “sé” sfociata nel perpetuo incontro/scontro con l’affascinante e controverso alter-ego femminile, Fiona Macleod, nei cui panni firmò i suoi scritti migliori consacrandosi alla critica come “poet-essa” sopraffina. Lo sviluppo di una doppia personalità, custodita segretamente e protetta sino al giorno della sua scomparsa avvenuta nel 1905, insieme all’espansione verso una sensibilità poetica dai caratteri marcatamente femminili, fecero di Macleod una delle più autorevoli voci della Celtic Twilight School; tradussero un “neo-romanticismo” dai colori accesi del pastiche e della vagueness, incarnando il fascino (tipico del suo tempo) per il “diverso”, lo “straniero” e il “misterioso” – a volte ossessivamente rappresentato da un mitico e archetipico taste for places, manifestazione di un’ottica plurale che accompagnò Sharp/Macleod lungo le molteplici fasi della propria produzione letteraria. Come affermava Flavia Alaya nell’ormai lontano 1970 in William Sharp – “Fiona Macleod”:

He was in flight – in flight from the orthodoxies and convictions that a century of political expansion had given to the individual Englishman to secure his identity with the National fate and turn the romantic’s sense of dislocation, and in quest for identity, to excellent political use. (Alaya 1970: 13)

Alla luce di simili considerazioni, i suoi frenetici e continui viaggi ci restituiscono il quadro di una personalità poetica all’insegna di una difficile identificazione. Ne rimane piena testimonianza nell’intenso William Sharp, Fiona Macleod: A Memoir, a firma della compagna di sempre, Elizabeth Sharp, la quale, nella sezione “First Visit to America” scrive: “Born, as he would say, with the wandering wave in his blood, the fixed and the inevitable, were antipathetic to him.” (A Memoir I, 238)

La poetica di Sharp, infatti, parte dalla Scozia e attraversa l’Australia; riparte dai mari del Sud per ritornare a Londra; riscopre la Francia, la Germania e l’America; affonda in Africa per riemergere nell’antica Grecia e morire in Italia; accompagna, in altre parole, l’artista e l’uomo attraverso le diverse fasi di una quest perpetua, lungo una ricerca di una rotta e di un approdo che avessero il sapore di un definitivo “ritorno a casa.”

Una simile e smaniosa ricerca dai caratteri inter/intraculturali guidò Sharp in Italia: quest’ultima, rimase la controparte più amata della Scozia natale, una “nuova casa” presso cui riposare: “For the first time have seen the Sicilian Highlands with the beauty of Scotland” (A Memoir II: 322); il paesaggio e i profumi della Sicilia (in cui il poeta morì), tradussero, infatti, una definitiva empatia romantica con i luoghi. Alla maniera di una nuova divine adventure (titolo di una delle sue raccolte più rappresentative del 1900) vissuta alle pendici dell’Etna tra il profumo inebriante dei pistacchi della città di Bronte e nello splendido scenario offerto dal castello della Ducea dei Nelson (in località di Maniace, ove tuttora il poeta riposa), Sharp diede libero sfogo alla sua anima romantica e vagabonda, abbracciando per l’ultima volta il mondo con animo illusionista:

He did not see places or men and women as they were! He did not care to see them so: but he had quite peculiar powers of assimilating to himself foreign associations – the ideas, the colours, the current allusions, of foreign worlds. In Italy he became an Italian in spirit; in Algiers, an Arab. (A Memoir I: 170)

Negli ultimi tempi trascorsi in Sicilia e in entrambe le personae di Sharp, macrocosmo e microcosmo magicamente coincisero, rintracciando nel linguaggio della natura il definitivo incanto. D’altra parte, il senso di ogni singola scoperta partecipava al tentativo di ricostruire una sistematica identità nazionale che condividesse, in veste del tutto rinnovata, caratteri universali da un lato e nazionalistici dall’altro, costituendo, dunque, una risposta alla storia letteraria e culturale del suo tempo. Scriveva infatti Alaya:

It was Mme de Staël who had led the English to discover, with such delight and awe, their own National character, and it was through her, certainly, that cultural determinism was assisted in its way to England and influenced the thinking of the English on issues of nationalism. That famous Victorian byproduct, the fascination with Italy (eventually to play so important a part in Sharp’s career), was a result of this influence combined with the sense of place already described: it was a country where characteristic and compelling places had proliferated in semi-tropical abundance; and it was also a symbol of the national character discovering its homeland, its physical definition. (Alaya: 14)

L’eterogeneità dei suoi scritti unitamente alla criptica rappresentazione dei suoi sé (che non furono solo due ma tre, compreso Wilfion, con cui Elisabeth Sharp identificò il completamento tra le due prospettive originarie) condussero Sharp stesso a confessare e motivare le dinamiche della sua “creazione.” Si veda qui di seguito un estratto da una lettera a Mrs Janvier:

This rapt sense of oneness with nature, this cosmic ecstasy and elation, this wayfaring along the extreme verges of the common world, all this is so wrought up with the romance of life that I could not bring myself to expression by my outer self insistent and tyrannical as that need is. My truest self, the self who is below all other selves and my most intimate life and joys and suffering, thoughts, emotions and dreams must find expression. (A Memoir II, 227)

I ripetuti spostamenti divennero testimonianza di un raffinato atteggiamento romantico della fuga, della ricerca dell’altro da sé, della volontà di fagocitare il mondo insieme alle sensazioni fisiche e spirituali che ne costituiscono l’essenza, il tutto indirizzato verso la riscrittura di una via del ritorno, fatta spesso coincidere con i luoghi più intimi dell’anima piuttosto che con un unico spazio geografico di riferimento.

Pellegrino dell’essere, la natura rappresentò per Sharp la principale fonte d’ispirazione: egli stesso affermava: “but my heart is a lonely hunter that hunts on a lonely hill” (Macleod, 1914:27); cacciatore su una collina, dunque, una collina che potremmo dire grande quanto tutto il mondo, quello interno ed esterno di un artista capace di caricare ogni luogo di una personalità e di un carattere individuale e universale al contempo; una collina sulla quale il mondo naturale e quello degli uomini si muovono in maniera simbiotica e corrispondente.

L’energia di alcuni tra i suoi più alti momenti poetici non riesce comunque a colmare quel vuoto persistente e drammatico che ricoprì tutta la sua produzione. La ricerca di un’appartenenza perduta, i tentativi di ricomporre un itinerario intimo e privato rimasero, infatti, incompiuti – almeno all’interno del modo fisico e terrestre; la definitiva identificazione con una nuova comunità, la conclusione consapevole di un viaggio nella propria identità, insieme al ritrovamento di un unico luogo in cui fermarsi per sempre e riposare, sembravano essergli preclusi dalla sua stessa natura. Si legge in una sua lettera del 7 marzo 1902: “My wife says I am never satisfied, and that Paradise itself would be intolerable for me if I could not get out of it when I wanted.” (A Memoir II : 340) Ogni viaggio aveva dunque lo scopo di ricomporre un quadro più ampio, un’esperienza dei luoghi che avesse un valore etico, morale e simbolico non necessariamente delimitata da ristretti confini geografici.

Ed è rileggendo By Sundown Shores (raccolta a firma di Fiona Macleod del 1900, pubblicata a cura di Thomas B. Mosher nel 1902) che si palesa una simile rivelazione. A tracciare il filo conduttore della preziosa raccolta – pare ve ne siano solo circa 400 copie – v’è l’unicità delle leggende e dei miti, identici in Scozia come in Siria e in tutto il mondo; v’e l’universalità del loro valore nella storia degli uomini.

Anche in questo caso, la riscoperta di un’esperienza misticheggiante procede senza che nulla venga lasciato al caso; i particolari forniti dall’autore nel suo ennesimo viaggio, costituisco, infatti, itinerari realistici lungo i quali l’autore/autrice si identifica, ritrovando luoghi e immagini reali a lui/lei cari: sono le coste del remoto archipelago scozzese di St Kilda e Ushant, isola del canale britannico a nord della Francia; sono Achill, la più grande isola ad ovest dell’Irlanda e la gallese St. Bride’s Bay nel Pembrokeshire. Fu, in questo caso, la più pura vena celtica di Macleod a riemergere da uno spazio riservato al mito e al folklore, all’aspetto visionario delle sue creazioni e al contemporaneo e vivido riaffiorare di ricordi e osservazioni personali, protagonisti tutti di una storia spirituale narrata da un moderno wandering Breton Minstrel che Macleod stessa definì “as the soul of the Celt who wanders homeless to-day.”

È all’interno della raccolta (composta da un prologo e dalle sezioni By Sundown Shores, The Lynne of Dreams, The Wind, Silence and Love, Barabal, Sheumas, The Sea-Madness, e Earth Fire and Water) che si palesa una probabile risoluzione della sua perpetua ricerca di “un ritorno a casa.” Proprio nella sezione che diede il titolo alla raccolta leggiamo: “But there are poets who have no name and no country, because they are named by the secret name of the longing of many minds, and mysteriously come from and pass to the Land of Heart’s Desire, which is their own land.”

O ancora, dalla sezione The Wind, Silence and Love:

With most of us the shaping influences are the common sweet influences of motherhood and fatherhood, the airs of home, the place and manner of childhood. But these are not for all, and may be adverse, and in some degree absent. Even when a child is fortunate in love and home, it may be spiritually alien from these: it may dimly discern love rather as a mystery dwelling in sunlight and moonlight, or in the light that lies on quiet meadows, woods, quiet shores: may find a more intimate sound of home in the wind whispering in the grass, or when a sighing travels through the wilderness of leaves, or when an unseen wave moans in the pine.

Si trattò dunque di elaborare una nuova geografia, una literary geography del tutto rivoluzionaria, che sfociò nella creazione di un’omonima raccolta nel 1904, all’interno della quale natura e cultura, spirito e corpo costituirono percorsi nuovi, ridisegnando il mondo terrestre facendo della letteratura e dell’arte lo strumento prediletto di una nuova geografia dello spirito (lo testimoniano i titoli altamente significativi delle sezioni della raccolta: The Country of George Meredith, The Country of Stevenson, Dickens-land, Scott-land, The Country of George Eliot, Thackeray-land, The Bronte Country, Aylwin-land, The Carlyle Country, The Literary Geography of the English Lakes, The Literary Geography of the Thames, The Literary Geography of the Lake of Geneva).

A tal proposito poi: “According to the critic in The World: ‘It was a characteristically original idea of the author to combine descriptions of certain localities with criticisms and appreciations of those famous writers who had identified themselves therewith. It gives one a fresher and keener insight.’” (A Memoir II: 273-274)

Solo qualche anno prima della sua scomparsa, dunque, Sharp approdò ad una nuova prospettiva descrittiva, all’interno della quale i luoghi e gli spazi non possono che proporre in maniera perpetua un’intima identificazione con l’animo che li attraversa, li impersona, li respira.

Works Cited

Alaya, Flavia. William Sharp – “Fiona Macleod” 1855-1905. Cambridge, Massachusetts: Harvard University Press, 1970.

Macleod, Fiona. By Sundown Shores (1900). Portland Maine: George Loring Press, Thomas B. Mosher, c.1902; i riferimenti alla preziosa raccolta contenuti all’interno di questo contributo sono stati tratti dal testo integralmente disponibile al seguente URL: http://www.sundown.pair.com/

_____. Poems and Dramas. New York: Duffield, 1914.

_____. The Divine Adventure. London: Chapman & Hall, 1900.

Sharp, Elizabeth. A. William Sharp, Fiona Macleod: A Memoir. London: William Heinemann, 1910; i riferimenti all’interno di questo contributo sono tratti dall’edizione, Sharp, Elizabeth A., William Sharp, Fiona Macleod: A Memoir, Voll I-II, La Vergne: Kessinger Publishing, 2002.

Sharp, William. Literary Geography. London: Pall Mall, 1904.