Il vecchio Koering voleva diventare come il barone von Tintenfisch, così aveva deciso di intraprendere il lungo viaggio alla volta dell’abbazia di Staffarda, ma la ragione che l’aveva mosso non era certo legata al potere, ché il potere nulla conta quando la schiena è ormai un angolo acuto chiuso dalle artrosi come un messale nelle mani del prete. La ragione che aveva mosso il marchese era il dolore, il movente che l’aveva convinto ad affrontare un viaggio lungo e disagevole in una carrozza scricchiolante era l’opportunità di poter incontrare ancora una volta il conte di Saint-Germain, l’alchimista, l’unico che conoscesse la mistura capace di alleviargli lo strazio. L’ultima volta che Koering e Saint-Germain si erano incontrati il povero storpio non poteva credere ai propri occhi, l’alchimista sembrava non aver accusato il passare degli anni, era sempre ben diritto sulla schiena e sulle gambe, e il suo volto, bizzarramente truccato di bianco come quello di un cicisbeo, non presentava nessun segno dello scorrere del tempo. Anche questa volta, suo malgrado, Koering prese atto dell’aspetto e dell’energia giovanile dell’alchimista. I suoi occhi brillavano dello stesso vigore di sempre, chiari e ombreggiati dalle lunghe ciglia nere, che bene si accordavano al neo autentico sulla parte sinistra del mento, agli orecchini di agata nera e al vistoso anello di onice che il conte di Saint-Germain portava al mignolo della mano destra, retaggio di una moda antica che ancora lo connotava, soprattutto per la parrucca maschile, un torrione di riccioli rosso fuoco che gli arrivava a mezzo busto rendendo la sua figura vigorosa e inquietante. Sia la marsina che la sottomarsina, come le braghe corte al ginocchio, erano di un broccato bianco accecante, mentre la cravatta, di leggerissima mussola ornata di pizzo, che il conte portava negligentemente avvolta intorno al collo, aveva il bianco, qui e là, compromesso da decori granata, che parevano macchie di sangue rappreso.
Allo scienziato incipriato e imparruccato, in quegli anni, Koering aveva dato molto, foraggiando la vita e le ricerche dell’eccentrico uomo di scienze; ora, sentendo i suoi giorni finire, il marchese aveva deciso di affidarsi alla persuasione della parola e di tutto il suo patrimonio per ottenere il dono definitivo, aggiungendo alla sospensione del dolore quella dello scorrere del tempo. Per un marchese francese senza eredi e senza dinastia, l’unico bene concreto era il proprio corpo, quello che con disprezzo la monaca di Dresda nella sua Profezia aveva definito il «nido mortale», e per consentire al suo respiro di storpio sofferente di scaldare la Terra, ancora e ancora, Koering era in procinto di utilizzare tutte le sue capacità finanziare e retoriche:
«Vorrei parlare con voi, conte di Saint-Germain, del dolore, voi l’avete praticato solo come spettatore, lo deduco dalle vostre fattezze, perché nulla è guastato nel vostro corpo, mentre tutto è corrotto nel mio e voi siete più anziano di me, come il barone von Tintenfisch che, nonostante bastone e capelli bianchi, continua a controllare il mondo, con l’energia immutata di un giovane tiranno».
«Non si nomini l’empio in mia presenza» lo redarguì Saint-Germain.
«Obbedisco, ma vorrei comunque parlare con voi, del dolore; esistono due tipi di dolore, conte, il dolore dell’anima e quello del corpo, ma mentre il dolore dell’anima è sovrumano e può condurre a grandi rivelazioni, il dolore del corpo ci aggancia alla Terra, la mia vita è stata tutta una lotta per proteggere il nido mortale, ma ora che sto morendo, vorrei offrirmi a voi e al vostro sapere per fermare questa farsa senza senso».
«La vita è una farsa» lo interruppe Saint-Germain, rovesciando il bicchiere appena riempito di vino dolce, senza che una sola goccia si versasse.
«Vi sto parlando di dolore, Saint-Germain» disse Koering, «aiutatemi».
«È vero, marchese, il dolore è reale, è l’unica verità del gran teatro del mondo» disse il conte afferrandogli la mano deforme.
Per un attimo Koering sperò che il contatto fisico con Saint-Germain potesse infondere sollievo alle sue sofferenze, ma immediatamente dovette ricredersi: la mano dell’alchimista bruciava come il fuoco e Koering si ritrasse gemendo.
«Annusate, Koering! Lo sentite quest’odore? È l’odore della vostra anima bruciata, ma è nulla rispetto alla vera potenza del fuoco». Saint-Germain si alzò, trasse dalla tasca un coltello, si avvicinò al camino, mosse le trine dal polso magro e, con gesto rapido e inesorabile, incise le vene lasciando colare il sangue sulla fiamma.
Il marchese impressionato vide il fuoco del camino decuplicarsi con un boato.
«Il dolore dell’anima è il dolore dell’aria, e il dolore del sangue è il dolore del fuoco, l’aria alimenta il fuoco e il fuoco alimenta il crogiuolo alchemico» sentenziò il conte di Saint-Germain nettandosi il sangue dal polso, che non mostrava alcun taglio.
«Ma… io?» balbettò Koering.
«Voi, ma, ma, ma voi» lo dileggiò Saint-Germain, ridendo, «voi dovete distendervi, marchese, e affidarvi alle mie cure, dobbiamo ancora evocare l’emersione delle terre dalle acque e poi i quattro elementi da me catalizzati vi faranno risorgere nell’uomo nuovo».
«Più che uomo nuovo, io vorrei…»
«Shhh» soffiò il conte di Saint-Germain, «silenzio, marchese, è giunta l’ora di ascoltare, ascoltare le maree, le lagrime del mondo…» Gli occhi dell’alchimista si spalancarono, mentre le sue mani andavano a sfregare le guance e un profumo di eucalipto invadeva la stanza coprendo l’odore di carne bruciata.
Piangeva, il conte, piangeva senza singhiozzare, il viso rigato dalle lacrime spesse che raccoglieva nel palmo della mano per poi versarle in una coppa di cristallo colma di acqua; appena ogni singola lacrima raggiungeva il liquido trasparente questo si tingeva di rosso, e quando il contenuto divenne così rosso da virare al nero Saint-Germain prese il bicchiere e lo porse al povero marchese.
«Bevete, Koering, questo sangue è il dolore del mondo, e che il simile curi il simile!» Ciò detto, l’alchimista mise nella mano destra del marchese la coppa, afferrandogli con forza la sinistra.
Koering bevve sentendo scendere nella gola la frescura dell’acqua e salire dalla mano sinistra una scossa paralizzante.
«Dall’oceano del dolore emerga un uomo nuovo, lasciato il vecchio nido, il corpo prenda il volo».
«Ahhh!» urlò Koering sentendo il braccio paralizzarsi progressivamente, il polso, il gomito, la spalla e infine il cuore. «Ahhh!» furono gli ultimi rantoli a uscire dalla bocca schiumante del marchese, e mentre rovinava a terra pesante come un macigno, i suoi occhi appannati registravano l’apparizione di un uomo in tutto e per tutto a lui identico che, dopo aver starnutito, assurdamente affermava:
«Scusa, Marius, ma non ce la facevo più a stare nell’armadio!»
Il marchese Koering socchiuse l’occhio destro e riuscì a distinguere la scarpa ferma a pochi centimetri dal suo volto. Era la sua scarpa: raso blu cobalto filato in Oriente e importato dal suo fornitore veneziano di fiducia.
Era innegabilmente la sua scarpa.
Allora come mai calzava un piede che non era il suo?
Koering si sforzò di aprire entrambi gli occhi, piegò il mento verso lo sterno cercando di guardarsi i piedi; realizzò di averli ancora attaccati al corpo, ed entrambi portavano scarpe color cobalto.
«Dio abbi di me pietà, cosa mi sta succedendo?»
E come se Dio l’avesse davvero sentito, una profonda voce baritonale disse:
«Bene, marchese Koering, vedo che vi state riprendendo, alzatevi, ché è giunto il tempo della luce».
Una fragorosa risata interruppe la voce di Dio:
«Marius! Basta col teatro, diamo delle spiegazioni a questo pover’uomo».
«Rocco, non è perché sei truccato e imparruccato come Koering che sei autorizzato a simpatizzare con il nemico».
«Ma Marius, sai com’è Rocco» disse una terza voce maschile che usciva, inaspettatamente, dal corpo di una donna, «lui si deve completamente identificare col suo personaggio».
Risero tutti e tre, mentre una lagrima scendeva dall’occhio destro del marchese Koering.
«Ma su, non piangete, marchese» disse la donna con voce virile, mentre disinvoltamente lo sollevava mettendolo a sedere sul sofà, «è arrivato il tempo delle spiegazioni… Comincio io?»
«Comincia tu, Albert» convennero Rocco e Marius.
Attonito, Koering valutò i tre individui: chi aveva di fronte? Questo tale Marius uguale al conte di Saint-Germain per aspetto, modi e voce, quest’altro Rocco che gli assomigliava come una goccia d’acqua, neanche lui avesse avuto un fratello gemello di cui non fosse a conoscenza. E, infine, Albert, la più grottesca madonna che gli fosse mai capitato di vedere: elegante, sinuosa ma al contempo inaspettatamente maschia.
Il particolare più agghiacciante era il fatto che queste tre creature fossero tutte e tre in grado di parlare con qualsiasi voce decidessero di utilizzare.
Teatro? Magia?
Dov’era finito?
«Dio abbi di me pietà, cosa sta succedendo?» implorò ad alta voce.
«Marchese, l’Uomo può tutto; anche Gesù Cristo, il figlio dell’Uomo, ci ha detto di essere fatto a immagine e somiglianza di Dio e quindi noi, suoi fratelli, siamo a lui uguali per umanità e deità» spiegò Marius. «Mi rendo conto che la sto prendendo un po’ alla larga, ma voi mi seguite, vero, marchese?»
Koering non rispose.
«Quando ogni uomo avrà consapevolezza di questa semplice verità, ogni essere vivente potrà dire: io sono Dio. Vi sembrerà strano, ma anche voi, marchese, potrete affermarlo».
«Questa è una bestemmia, conte, o chi diavolo voi siate…» ringhiò Koering.
«La consapevolezza dell’essere Dio ci porta a non percepire i limiti della nostra umanità e la creatività diventa onnipotente, io sono Dio, io sono il Demiurgo della mia felicità. Voglio essere il marchese Koering? Ebbene, lo sono, perché nulla manca all’intelletto dell’uomo se non la consapevolezza del suo potere».
«E quest’intelletto si applica anche alle forme dei desideri» precisò Rocco.
«Ma parliamo di tecnica, infine» invitò Albert.
«Parliamone» convenne Marius.
«Vedete, marchese, per chi ha la consapevolezza del suo sé, l’intelletto diventa lo strumento di ogni cosa. Vogliamo avere la vostra voce? Basta ascoltare, applicarsi e volere o, in altre parole: studiare. Così abbiamo fatto, la vostra voce è la voce di un vecchio che conosce il potere e se io desiderassi avere la voce di un vecchio come voi, molto semplicemente, prima di tutto ascolterei attentamente, ascolterei il vostro peso vocale, quindi le ragioni della vostra voce, come parlate ai vostri pari, ai vostri servi, ai vostri padroni. E così ho fatto, e così abbiamo fatto, le può interessare che io vi parli di suono, di risonanze, di appoggio o forse, preferite che io cambi argomento e vi spieghi come sia possibile sanguinare senza essersi recisi la carne, oppure incrementare le fiamme senza legna o trasformare l’acqua in sangue? Trucchi, marchese, semplici trucchi».
«Teatro!» esclamò Albert, rafforzando l’immagine con un’elegante piroetta.
«Il gran teatro del mondo» consolidò il concetto Rocco, mostrando al marchese Koering la sua stessa tipica, claudicante camminata.
«Ma, ma, ma io ho sentito il caldo, ho percepito il bruciore, ho sentito il morso della paralisi lungo il braccio, io non sono pazzo!»
«Marchese, voi non siete pazzo!» Marius lo guardava vicinissimo. «Siete solo ignorante, voi non conoscete l’arte di dominare la mente: perché la mente… mente! Caro marchese, l’ipnosi è l’arte antica che può piegare le volontà» concluse Marius, soddisfatto.
Ora tutti e tre erano vicinissimi al volto terrorizzato di Koering.
«Allora! Chi siamo?» chiese Rocco.
«Siamo uno e trino, l’umana personificazione della Trinità» pronunciarono serrando i visi, e poi, all’unisono:
«Noi conte di Saint-Germain, crediamo nell’uomo Dio onnipotente che non si umilia mai a pregare, abbandonare l’orgoglio non è essere misericordiosi, perché chi si umilia impara a umiliare, un uomo senza paura che mai s’inginocchi, quello è il Dio in cui crediamo. Noi conte di Saint-Germain crediamo in questo Dio, perché essendo uomo sarà un Dio mortale e sarà in onore al suo nome di uo-mo al di sopra della paura, della morte, del male. Noi crediamo nel Dio uomo orgoglioso come il più potente Dio immortale, che parli agli dèi, ai potenti, con dignità d’uomo, da pari a pari. Koering, non pensiate che ci rivolgiamo a voi perché potente, usuraio, ladro, mentitore, dispotico, brutale e, financo, marchese. Voi che volete convincere da sempre il mondo che il vostro blasone, la vostra autorità sia necessaria e giusta, noi crediamo nel Dio uomo onnipotente: ogni uomo è un dio!»
Poi il silenzio, contrappuntato solo dal crepitio del fuoco nel camino.
Koering, stupito dalle tre creature e dal loro filosofare, per qualche minuto restò in silenzio, poi una fitta dolorosa al ginocchio gli ricordò chi fosse e di che cosa avesse bisogno:
«Ma cosa ne farete di me?»
«Caro marchese, ormai i nomi dei devoti a Mammona, gli appartenenti all’Ordo Mundi sono tutti, e ribadisco tutti, in nostro possesso».
«Come è possibile?»
«Firmus il Viaggiatore».
«Il servo di Tintenfisch?» sussurrò interrogativo il marchese.
«Lui ha tradito, ha tradito il suo padrone!»
Koering annuì: «Avrei dovuto capirlo, avremmo dovuto capirlo tutti, nessuno si spiegava come Tintenfisch fosse riuscito a domare Firmus, uno degli spiriti più coraggiosi e indipendenti del secolo, e farne il suo servo».
«Eppure l’aveva domato, ma anche noi Saint-Germain abbiamo molte risorse quando si tratta di persuasione, noi non minacciamo, noi ipnotizziamo».
«Ma, adesso, cosa ne sarà di me?»
I tre si studiarono per qualche istante, quindi Albert, nel sistemarsi le protesi a forma di seno, disse con soavissima voce di fanciulla:
«Avrei davvero bisogno, per il viaggio a Venezia, di un’ancella per la conversazione, la toeletta e la musica: so che lei, marchese, tocca il cembalo in modo superbo, posso dire altrettanto per il violoncello, faremo musica insieme. E poi, credetemi, marchese, le gonne, in viaggio, son così comode».
«Io, invece» propose Marius, «penso che il marchese Koering debba seguire me, conte di Saint-Germain, a incontrare l’empio barone von Tintenfisch e, perché no, a portarmi le valige».
«Eh no! Il marchese merita di vedere se stesso a letto con la sua giovane moglie, guarito dall’artrosi e finalmente in grado di produrre un’erezione, lo voglio con me a palazzo». Rocco si sbottonò le braghe, prese in mano il cazzo, lo mostrò al povero Koering e chiese:
«Cosa ne dice, marchese? Basterà alla marchesina?»
«Metti via l’arnese, Rocco, altre le pene altro il fallo…» lo invitò Marius.
«… si disordini l’Ordo, si distrugga von Tintenfisch!» urlarono Rocco e Albert.