Anche io, Firmus Willmann, ho paura di lui, tutti hanno paura di lui.
Chiude gli occhi inspira e ti legge il viso, ti annusa la pelle sente l’odore della menzogna, aspetta il respiro della verità, le sue dita vibrano e lui entra nelle pieghe della mia anima.
E io ho paura.
Il barone von Tintenfisch apre gli occhi, sorride.
Io gelo.
«La busta era aperta» dice.
E resta così in silenzio, non fa domande, parla e lascia le frasi appese nel vuoto. Il silenzio è cattivo, mi stringe il cuore e mi sforza l’anima fino alle lagrime.
Resisto.
Resisto, non respiro. E parlo.
«Il Ticino quando è gonfio porta giù la legna dalla montagna e così il cavallo si è stroncato nel mezzo del guado; un tronco gli ha spezzato le zampe anteriori, l’acqua mi ha travolto. La busta che tenevo nella borsa di cuoio si è bagnata, si è aperta, non l’ho potuto evitare. Sul mio onore, sulla vita dei miei figli, chiedo perdono a Dio. Sono un uomo, sono un peccatore, ho tradito, ho visto, ma non ho detto neanche una parola».
Silenzio.
Mi sgonfio, lentamente, e cedo alla necessità di respirare a fondo. Poi arriva il suono, sordo e lontano ma in crescendo fino al fortissimo come una batteria di timpani di rame: il mio cuore. Picchia: ossessivo, ostinato, implacabile.
Tintenfisch chiude gli occhi e annusa la verità.
Poi parla. «Il sigillo era spezzato» dice.
Ancora non chiede, asserisce e lascia un vuoto pieno di sé, del suo potere assoluto. Domina il silenzio, l’imbarazzo, l’incertezza, cavalca il respiro fragile e penetra la mia mente con dolore, abusandone.
Mi fa male.
Una lagrima. Non riesco a frenarla, mi riga il viso, cade sul pavimento.
«Mio signore, è la verità» dico.
I suoi capelli sono di un bianco purissimo, sono luminosi, un’aura di possanza, terribile.
«Lo so» dice.
Così rilascio i muscoli:
«Signore, da sempre vi sono fedele, mai vi ho mentito, voi lo sapete, lo sapete. È stato uno stupido incidente a compromettere la busta e la sua integrità e io ho visto lo scritto per asciugarlo, salvarlo dal disastro, non per leggerlo».
Silenzio.
Si alza, si avvicina, mi afferra la mano sinistra e con la destra fa schioccare le dita a pochi centimetri dal mio naso.
Poi giungono suoni, fischi acuti come provocati dal vento d’inverno.
È il suo respiro, un vento gelido, il suo fiato, un odore terribile.
E resta così in silenzio, non fa domande, parla e lascia le frasi appese nel vuoto.
Tintenfisch tace e io sento l’urgenza di parlare, di liberarmi, sono spettatore di me stesso, non riesco a fermare la mia voce:
«THOMAS PHILIPPUS de ALSATIA de BOUSSU, ENRICO THIARD de BISSY, IOSEPHUS de la TREMOILLE, CAROLUS THOMAS MAILLARD de TOURNON, HORATIUS PHILIPPUS SPADA, MELCHIOR de POLIGNAC, CURTIUS de URIGHIS EMERICUS CSAKY, NUNIUS da CUNHA e ATAIDE, PETRUS MARCELLINUS CORRADINUS, CAROLUS COLUMNA…»
Crollo di dolore, sono per terra, il fischio è assordante.
«… LUIGI XV DI BORBONE, LUDOVICUS BELLUGA y MONCADA, MICHAEL FRIDERICUS von ALTHAN, FRANCISCUS AQUAVIVA de ARAGONIA, FRANCISCUS de MAILLY, BENEDICTU ODESCALCUS HERBA, HORATIUS PHILIPPUS von BUYER…»
Sono tutti i nomi dei membri devoti a Mammona, gli appartenenti all’Ordo Mundi, li ripeto così come li ho memorizzati ed elencati al conte di Saint-Germain quando ho tradito. Ma al conte ho anche detto altro, ho dato i nomi delle case reali che sotto ricatto pagano Tinten-fisch. Ho detto tutto, ho detto troppo.
«Il tradimento va punito» sussurra von Tintenfisch.
Sento una lama scivolarmi nel costato, e il mio corpo si arrende al tempo senza inizio.