«Conte, venite qui» invitò Jeanne Antoinette battendo con la mano destra sulla chaise longue di broccato rosso collocata accanto alla sua poltrona, «mi siete mancato, sapete? Mi è mancata la vostra bocca, soprattutto, ma adesso, caro, vorrei che voi l’apriste per darmi delle spiegazioni, il piacere può attendere».
«Volentieri mi inchino alla vostra grazia, sono qui per servirvi e per servire la vostra curiosità, iniziamo ab ovo: cosa sapete di me, delle mie origini?»
Saint-Germain si accomodò sul pouf scavallando dalla seduta le code dell’inquartata color avorio.
«Si dicono tante cose, troppe; dipende dalla fonte, bisogna scegliere da chi farsi raccontare di voi. Conte, io ascolto tutti, ma credo solo al mio intuito, quindi prego…» la marchesa invitò con un gesto della mano il conte di Saint-Germain a continuare.
«Mi hanno chiamato Rocco, sono nato in un palazzo di Napoli, mia madre era una bellissima quattordicenne tipicamente sforzata all’amore dal nobile di casa, a lei ho sottratto la vita nascendo».
«Conte, mi state spezzando il cuore» sorrise Jeanne Antoinette.
«Non mi interrompete, marchesa. Dicevamo, sono stato cresciuto in un collegio gesuita, a undici anni conoscevo il latino, la matematica, toccavo discretamente più strumenti eccellendo nel violino, ma fortunatamente per me, e anche per voi…» e qui Saint-Germain si soffermò con lo sguardo sui seni della Pompadour, «ero stonato».
«Intendete dire che se foste stato anche intonato vi avrebbero castrato? Che spreco, conte».
«È il destino di molti orfani della città di Napoli, un destino che raramente concede gloria e fama, ma quando la concede…»
La marchesa di Pompadour si avviò verso la grande vetrata che inondava la stanza di luce.
«A volte mi chiedo quali imperscrutabili ragioni facciano sì che la dea Fortuna volga il suo cieco sguardo verso qualcuno, ignorando qualcun altro: ricordo ancora la rabbia che mi salì alla vista dei gioielli di scena del Farinelli».
«Jeanne Antoinette, voi mi deliziate, anche se mi è difficile pensare che la marchesa di Pompadour possa provare invidia».
Il conte di Saint-Germain si avvicinò alla marchesa e con il dito indice della mano destra cominciò a tracciare dei piccoli cerchi alla base del collo di lei, proprio dove la peluria bionda era sfuggita alla complicata acconciatura di Madame.
«Ero molto giovane e oggi, dei difetti della gioventù, ho conservato solo la curiosità: su, conte, andate avanti, e vi prego di non distrarmi con le vostre abilissime dita». La marchesa diede un leggero schiaffo alla mano di Saint-Germain.
«Come comandate, dolcissima amica. Avevo solo undici anni quando un signore riccamente vestito si presentò alla porta del collegio, reclamandomi».
«Il mistero s’infittisce. E qual era, di grazia, il nome di questo signore?»
«Questo signore rispondeva al nome di Saint-Germain».
«Cosa dite?»
«La pura e semplice verità, marchesa, il conte di Saint-Germain l’alchimista andava per collegi e conventi cercando giovani talentuosi in grado di ereditare il suo sapere».
«E scelse voi?»
«Scelse me e, nel suo paziente peregrinare, altri novantanove fanciulli».
«Cento giovani promesse!» calcolò la marchesa.
«Di queste cento promesse solo tre sono diventate certezze e io fui una di queste».
«Quindi ora i conti di Saint-Germain sono tre?»
«Marchesa, dominate l’aritmetica con la stessa disinvoltura con cui dominate il cuore degli uomini».
«E il vostro nome? Rocco, raccontatemi la sua storia».
«Molto volentieri, ma sono davvero assetato a questo punto, e voi sapete di cosa».
Rocco afferrò la vita sottile di Jeanne Antoinette e la trasse verso di sé: «Vorrei liberare, marchesa, la mia verità mentre libero le vostre membra».
«E io voglio accogliere la vostra storia mentre accolgo le membra vostre» disse la marchesa sedendosi composta sulla panchetta del cembalo, la schiena diritta, portando le mani verso la scollatura, le dita sui lacci a sciogliere i nodi della camiciola.
«Mi avvicino a voi navigando sul mare color del vino, come cantò il cieco poeta» disse Rocco.
«A Omero, oggi, preferisco la poesia del madrigale italiano, il nostro Monteverdi» rispose lei.
«Chiome d’oro, bel tesoro, Tu mi leghi in mille modi» attaccò Rocco.
«Se t’annodi, se ti snodi» continuò Jeanne Antoinette.
«Candidette perle elette, se le rose che coprite discoprite, mi ferite» flautò Rocco mentre con la destra si insinuava sotto le vesti, tra le cosce di lei sino a raggiungere il pelo della nobiltà.
«O gradita mia ferita!» ululò Jeanne Antoinette Poisson, marchesa di Pompadour.