Erano stati fatti accomodare nella sala dei camini da un imperturbabile maggiordomo che rispondeva all’inverosimile nome di Chisciotte. Sir Mark Curtis Prise e Dante Fulvio Lazzari – in attesa di Sonoda Nobuhiro e dei suoi strumenti di analisi all’avanguardia – si aggiravano attenti intorno al tavolo dove i frammenti del violino del maestro Tondi erano stati adagiati. Flavio e Samuela avevano scelto, in muto concerto, di sedersi su un piccolo divanetto in primo stile georgiano, tanto grazioso quanto scomodo, che dava però loro la possibilità di comunicare senza essere intercettati dal resto del gruppo. Carlos Buyer li raggiunse dopo qualche minuto. Senza dire nulla si lasciò cadere pesantemente sull’unica poltrona della stanza che, con ogni evidenza, doveva essere la sua seduta abituale perché, come un lenzuolo funerario, riportava fedelmente le impronte del padrone di casa sul suo velluto verde acqua. Per un po’ nessuno parlò, gli esperti concentrati su quanto restava dello strumento, Buyer e Flavio concentrati sulla punta delle proprie scarpe, mentre lo sguardo di Samuela scivolava in lenta panoramica lungo le pareti della stanza per soffermarsi sull’enorme quadro a olio appeso sopra al camino centrale, l’evidente ritratto di un antenato di Buyer.
La somiglianza tra i due era sorprendente, tolta la parrucca e le ruches della camicia si sarebbe detto che i secoli non fossero passati: HORATIUS PHILIPPUS von BUYER, diceva il cartiglio. Con Carlos l’immagine condivideva i lineamenti pesanti, lo stesso sguardo di chi non è abituato a chiedere bensì a esigere, circonfuso dallo stesso colorito frutto di frequenti battute di caccia e altrettanto frequenti bicchieri di brandy.
«Hai visto l’avo?» sussurrò Samuela a Flavio dandogli impercettibilmente di gomito.
«Ssssssh» consigliò lui.
«Ufff» si risentì lei.
«Cerchiamo di concentrarci sulla sostanza e non sulla forma» rincarò Flavio.
«Allora ti consiglio di guardare quella eagle consolle ispirazione William Kent, è la prima volta che ne vedo una dove l’aquila abbia due teste».
«Cazzo!» si lasciò scappare il maestro Tondi.
Buyer tossicchiò leggermente.
L’attenzione dei due esperti liutai si spostò immediatamente dal tavolo alla poltrona dove il padrone di casa era comodamente affondato.
«Signori, vi ringrazio per essere qui con noi e…» iniziò Buyer.
«Scusa, Carlos» interruppe Flavio, «ma a cosa devo tutto questo dispiegamento di forze?»
«Alla nostra amicizia, caro Flavio, solo a quella».
«Sì, non ne dubito, ma credo che questo mio violino ti interessi al di là dell’affetto che ci lega, o sbaglio?»
«Questo è ancora tutto da vedere. Diciamo che potrebbe interessarmi, nel qual caso sarai generosamente ripagato del tempo e della disponibilità che mi stai, o meglio che ci stai dedicando».
«Ma se ci hai praticamente rapiti!» sbottò Samuela.
«Samuela, Samuela, controllati» ammonì Carlos Buyer, con il tono di una serena maestra elementare.
«Caro Carlos, Samuela non ha tutti i torti, ci sono diverse questioni che richiedono una spiegazione più precisa» intervenne Flavio.
«Capisco, gli animi sono troppo esacerbati in questo momento… La nottata è stata lunga e difficile, forse è meglio ritirarci nelle nostre stanze. Magari fare una bella doccia, rilassarci e aggiornarci dopo colazione».
«Insomma, Carlos, mi vuoi spiegare che cosa stai cercando? Altrimenti il problema della doccia e del relax io e Samuela lo risolviamo andando in un hotel e portandoci dietro il violino, perché io non lo lascio nelle mani di nessuno!» urlò il maestro.
«E va bene» acconsentì Buyer. «Se lor signori sono così gentili da lasciarci soli…» disse rivolgendosi ai due esperti, «io e i miei amici dobbiamo chiarire alcuni punti in privato».
Mentre Sir Mark Curtis Prise e Dante Fulvio Lazzari abbandonavano la sala preceduti dal maggiordomo, Carlos Buyer si alzò dalla poltrona e raggiunse il tavolo, infilò un paio di guanti di cotone bianco e, con cura reverente, afferrò un frammento dello strumento portandolo in favore di luce per esaminarlo.
«Vedi, Flavio, il tuo violino è un Nicolò Gagliano, questo ormai è assodato».
«Sì, l’abbiamo capito, vai al sodo» invitò Tondi.
«Un tempo esisteva una teoria di violini di Nicolò Gagliano, tutti commissionati da un personaggio che non è noto, ma quello che è noto è che dentro ogni violino era celata una parte di segreto; le parti sommate di tutti i violini davano come risultato quello che potremmo chiamare il grande segreto. Chi non voleva che questo fosse divulgato ha distrutto tutti gli strumenti, il tuo violino è l’unico superstite, un regalo del caso, e questo perché era convinzione comune che fosse uno Stradivari, non un Gagliano, dico bene?»
«Quale segreto?» andò direttamente al nocciolo della questione Flavio.
«Ingenuità di secoli passati! Alchimie di stregoni, nulla che abbia a che fare con la ragione. Favole, insomma».
«E in nome delle favole ci prelevi all’alba e ci trascini fin qui su un jet privato?» s’inserì Samuela. «Vai a raccontarla a qualcun altro, Carlos».
«Io sono un collezionista!» esclamò Buyer. «È la ragione del nostro primo incontro, Flavio, ricordi quegli spartiti autografi che non mi volevi vendere? Ricordi quanto sono stato disposto a spendere pur di averli? Io sono agito dallo spirito di chi ama gli oggetti sopra ogni cosa».
«Tutto qui?»
«Tutto qui» confermò lui.
«Va bene, allora io mi riprendo il violino e lo porto nella mia stanza, devo riflettere con calma…»
«Come desideri». Carlos Buyer chinò il capo.
«Puoi farci servire dal maggiordomo qualcosa da mangiare nella stanza? Niente di avvelenato, farò assaggiare al tuo Chisciotte le portate».
«Stai scherzando?» rise Buyer.
«Mai stato così serio, e adesso, noi raggiungeremmo le nostre stanze» concluse Flavio avviandosi verso le scale.
Chiusa dietro di sé la porta della stanza, Samuela si lasciò cadere sul letto.
«Ehi, guarda! Pure il parabrace è a forma di aquila a due teste… Flavio, siamo circondati!» proclamò Samuela, indicando il caminetto. «Sembra che il tuo amico Buyer abbia proprio un’ossessione».
«Amico…» sussurrò Flavio.
«Finalmente! Era da un po’ che mi domandavo quando ti saresti deciso ad aprire gli occhi su Buyer: ‘Io sono un collezionista… io sono agito dallo spirito di chi ama gli oggetti sopra ogni cosa…’» scimmiottò Samuela.
«Da un po’ quanto?»
«Anni, Flavio, anni! Solo che guai a toccarti lo pseudo baronetto».
«Carlos Buyer è sir, mia cara».
«Ma quale sir, l’amico tuo è un poseur semmai».
«Su questo ti sbagli, Samuela, credimi: tu provieni da un ambiente che, per quanto benestante, non è capace di leggere i segni distintivi dell’aristocrazia, soprattutto di quella inglese».
«Vai a cagare, Flavio».
«Ecco, questo è esattamente quanto intendevo dire» sorrise il maestro Tondi.
«Insomma, io ho fame, quando si decide ad arrivare quel Don Chisciotte?»
In quel momento si udì un leggero colpo di tosse di là dalla porta.
«Chi è?» sbraitò Samuela.
«Boris». La voce baritonale attraversò il legno di noce. «Scusate l’intrusione» disse l’uomo, facendo capolino.
«Entri, Boris» lo invitò Flavio, «a cosa dobbiamo l’onore?»
«Vi devo condurre in un’altra stanza, se volete seguirmi. Questa purtroppo ha dei problemi alle tubature».
«D’accordo, la seguiamo» aderì Flavio, afferrando la custodia del violino.
«Vi precedo. Una cameriera penserà ai vostri bagagli».
«Senta, Boris, non vorrei sembrarle troppo curiosa, ma perché tutta questa fretta?» s’informò Samuela.
«Vi prego, fidatevi di me».
Un veloce scambio di occhiate e i tre si avviarono verso la nuova destinazione.
Una volta nella stanza, Boris si decise a chiedere: «Vorrei sapere cosa intendete fare nelle prossime ore».
«È lei che lo vuole sapere o sir Buyer?» chiese Samuela, accentuando ironicamente la parola sir.
«No, è una mia iniziativa personale».
«Molto bene. Allora, quello che io ho intenzione di fare è bere, lavarmi, mangiare, e andarmene al più presto» rispose Samuela.
«E lei, maestro?» sollecitò Boris.
Flavio lanciò un’occhiata alla custodia del violino posata sul letto.
«Io intendo aspettare l’arrivo di Sonoda Nobuhiro e del suo scanner, vorrei capirne di più…»
«No! Non c’è tempo, dovete lasciare immediatamente questa casa».
«Esatto» approvò Samuela. «Questa casa va bene solo per essere lasciata, come certe femmine latinoamericane di nostra conoscenza» aggiunse, guardando Flavio di sottecchi.
«Vedo che non perdi mai la tua vis polemica».
«Signori, signori, vi prego, non c’è tempo, la ragione per cui vi ho condotti qui è che in questa stanza non ci sono microfoni, cimici, chiamatele come vi pare».
«Intende dire che eravamo spiati?»
«Spiati e non solo. Dobbiamo trovarci sul retro fra trenta minuti, uscire esattamente da dove siamo entrati oggi. Ho neutralizzato le telecamere, per le prossime ore i monitor trasmetteranno il nastro registrato la notte scorsa. Siete in pericolo di vita, fidatevi di me» affermò Boris deciso.
«Ma che cosa dice!» urlò Flavio, lo sguardo vitreo. «Lei vaneggia, perché dovrei fidarmi di lei?»
«Perché io so cose che voi non sapete» spiegò Boris, accorato.
«Il mondo è pieno di persone che sanno cose che noi non sappiamo…» Flavio si lasciò cadere sul letto. «Mi dica qualcosa di più convincente, Boris».
«Nel XVIII secolo una monaca fece una profezia, annunciando la nascita di un puledro dorato, capace di emancipare l’umanità dall’ignoranza, rovesciando i potenti dai troni…» riprese Boris.
«Sì, e il sei di gennaio una vecchia a cavallo di una scopa distribuisce doni» lo provocò Tondi, storcendo le labbra in una smorfia sarcastica.
«Vorrei che si trattasse di una leggenda altrettanto innocua, ma purtroppo i potenti non sono quasi mai disposti a dispensare doni all’umanità, soprattutto quando questo va a scapito dei loro privilegi. L’Ordo Mundi ha radici contorte, ramificate, affondate nell’avidità di cuori decomposti da secoli di dominio e disposti a qualsiasi nefandezza. Attualmente l’Ordo si sta occupando di industria farmaceutica, un campo che dal tempo della peste bubbonica ha sempre dato grandi soddisfazioni all’establishment nel controllo dell’umanità».
«E adesso mi spieghi: cosa c’entra il mio violino con l’aspirina?»
«Il suo violino, maestro, è una parte del segreto che potrebbe vanificare la stessa esistenza dell’Ordo, esistenza difesa con qualsiasi mezzo per quasi tre secoli. Quanto credete che possa valere la vostra vita, in confronto a questo?»
«E lei sarebbe qui per salvarci, vero?»
«Io non voglio salvare soltanto voi, ma l’umanità intera. Io sono un portatore di luce, un Figlio di Lucifero, io appartengo a un gruppo di donne e uomini scelti che vogliono portare alla luce il segreto custodito nel suo violino e in quello di Carlos Buyer».
«E così, adesso i violini sono diventati due?» chiese Flavio, ormai più incuriosito che diffidente. L’enfasi che Boris metteva nelle sue parole non poteva essere simulata, quell’uomo aveva davvero una missione che considerava più importante della sua stessa vita. Non si poteva fingere un’emozione del genere, Flavio se ne era convinto, anche se forse non era ancora pronto ad ammetterlo.
«Due sono quelli che dobbiamo portare fuori di qui, il terzo è già nelle nostre mani. Se mi concedete un altro po’ di fiducia e mi seguite, entro i prossimi dieci minuti posso dimostrarvi che razza di mostro sia Carlos Buyer. Credetemi, anche se il rischio che correremo è grande, l’alternativa è infinitamente peggiore».