Enfin il est en ma puissance

Versailles, venti minuti dopo

«Aiutatemi a capire la ragione della vostra irritazione, maestà, perché io da sola non sono in grado di comprenderla» domandò la marchesa di Pompadour, accarezzando lievemente la fronte aggrottata del re.

«Ah, così voi non la comprendete! Eppure siete una donna intelligente… eppure siete una donna sensibile… eppure siete una donna, infine, e tanto basterebbe, da quanto mi è dato sapere sulla vostra comune natura» sbraitò lui.

Dopo questa precisazione di Luigi, Jeanne Antoinette si alzò dal letto per avviarsi, calma e completamente nuda, verso il tavolo da toilette.

Se il re alludeva alla natura delle donne la ragione del suo malumore non era di sicuro attribuibile a questioni politiche ma, presumibilmente, aveva a che vedere con la regina, decise Jeanne Antoinette piuttosto sollevata, prima di afferrare il pettine.

«Non mi dileggiate, vi prego, avrò pur diritto a una spiegazione» sollecitò cominciando ad acconciarsi i riccioli, con mosse lunghe e indolenti.

Luigi si stirò sul letto, aggiustò meglio i cuscini dietro il capo e, sorprendentemente, cominciò a cantare:

«Enfin il est en ma puissance…»

Jeanne Antoinette lo osservò dallo specchio, non osando voltarsi per evitare di scoppiargli a ridere in faccia.

«Ce fatal Ennemi, ce superbe Vainqueur. Le charme du sommeil le livre à ma vengeance. Je vais percer son invincible coeur…»

La voce stridula di Luigi si alzò ancora.

«Basta, per pietà, ho capito, ho capito, ho afferrato e mi scuso» pregò la marchesa portando entrambe le mani alle orecchie.

La sera prima, davanti a tutta la corte, la regina l’aveva invitata a cantare, lei prima si era schermita, poi, solo dopo molte insistenze, si era decisa a intonare il monologo dall’Armide di Lully: «Infine egli è in mio potere» alludendo, con ogni evidenza, al potere che esercitava su Luigi.

La regina era sbiancata dalla rabbia.

L’imbarazzo era stato generale.

«Brava! Allora se avete capito non aggiungo altro, ma vi diffido in futuro dal creare altri incidenti diplomatici, perché se è vero che io ho bisogno di voi è altrettanto vero che la mia tranquillità è sacra, e la regina e gli umori della regina influiscono enormemente sulla mia pace quotidiana» la redarguì il re.

«Vi chiedo perdono».

«E io ve lo concedo, ma siete avvisata! Non costringetemi ad allontanarvi dalla corte». Il re si alzò dal letto, afferrò un angolo del copriletto e lo utilizzò per asciugarsi l’interno delle cosce.

«Maestà!» esclamò la marchesa.

«Maestà, cosa?»

«Sono onorata che abbiate scelto il mio copriletto per detergere il vostro seme».

«Ah, lo credo bene».

«Vi sono debitrice».

«Faccio molto per voi, sono condiscendente» Luigi infilò le braghe, «ascolto pure quei vostri filosofi, gente noiosa oltre ogni ragionevole limite» il re calzò le pantofole.

«Grazie, caro amico». La marchesa s’inchinò profondamente.

«Prego, per oggi è tutto, direi».

Luigi si avviò verso la porta.

«Mio signore?» lo bloccò Jeanne Antoinette.

«Cosa?»

«Vi amo».

«Bene» assentì il re, afferrando la maniglia.

«Sono pronta a morire per voi».

«Ottimo» gongolò lui, gonfiando il torace.

«Mio signore?»

«Cosa?»

«Potete, di grazia, farmi recuperare la collana che avete gettato dalla finestra?»

Quando Luigi e il suo rumoroso seguito si furono allontanati, Madame si avvicinò allo scrittoio.

Caro conte, ho appena avuto la prova di quanto il vostro insegnamento sia prezioso e insostituibile. Occorre metter l’accento sull’Uomo, sull’Uomo vivente, indipendentemente dal censo, dalla ricchezza, dal sesso. Il re è uomo come tutti gli uomini, ma certo peggio di tanti altri modestamente nati. Il capriccioso Luigi può solo ringraziare la dea Fortuna per averlo sistemato su un trono e non su un bidet!

Il caso spesso è cieco, ma l’Uomo ci vede, l’Uomo che cerca e guarda dentro di sé può vedere, eccome. Siamo tutti uguali in potenza, arbitri del nostro destino, e allo stesso tempo nulla possiamo se non amiamo la vita e per amarla dobbiamo sentire la divinità dentro di noi. Caro conte, quanto può essere piccolo Luigi re di Francia rispetto a uno stalliere, quando il primo ha paura e il secondo ha possanza. Il re guarda indietro, pietrificato dai suoi privilegi, incartapecorito nei suoi vantaggi, sedotto dai cortigiani, rincoglionito dalla regina. Irrigidito, morto. Ah io so bene che cosa sia la vita, e così voi o lo stalliere che ho provocatoriamente preso ad aulentissimo esempio: modello di appetito, di aspettativa, di fame della grande avventura. Si deve vivere così: curiosi e affamati di vita. Quanto parla il re! Lui non pensa con la testa, pensa con la lingua, mentre dovremmo pensare tutti con il cuore.

Io sono pronta.

Vostra

Jeanne Antoinette