Leopold Mozart si rivolse a Saint-Germain: «Cosa consigliate, conte?»
«Partire, senz’altro».
«Sì, partire, anche se il vostro piccolo Amadeus è ancora molto debilitato» convenne il maestro Leclair, asciugandosi una lacrima: le malattie delle persone a lui vicine lo riportavano sempre con il pensiero a Marie-Rose, straziandolo.
«C’è ancora una cosa di cui debbo parlarvi, ora che siete entrambi qui, accanto a me, a darmi il coraggio e la determinazione che in questi nerissimi giorni stavano per abbandonarmi» disse Leopold, offrendo un fazzoletto a Jean-Marie.
«Dite, non esitate» lo incoraggiò il conte di Saint-Germain.
«Dopo l’estrema unzione… il mio bambino ormai delirante… mi ha cercato con gli occhi e mi ha chiesto di annotare quella che avrebbe dovuto essere la sua ultima composizione…»
«È terribile, abbiamo rischiato una perdita incommensurabile» singhiozzò Jean-Marie, «se non fosse stato per l’antidoto procacciatovi dal nostro fratello Saint-Germain ora piangeremmo la morte del fanciullo celeste e l’orrendo von Tintenfisch avrebbe vinto».
«Maestro Leclair, per cortesia, tacete e lasciate parlare il padre del piccolo» si spazientì Saint-Germain.
«Grazie, conte, mio figlio, il dono della vita mia».
«Della vita di tutta l’umanità» precisò Jean-Marie, soffiandosi il naso.
«Esatto, di tutta l’umanità, e ha solo sei anni, ma è già così segnato, così messo alla prova, il corpicino completamente ricoperto di pustole rosse della dimensione di una moneta, il figlio mio tutto rivestito di kreuzer dolorosissimi e purulenti».
«Erythema nodosum» non si trattenne dallo specificare Leclair.
«Vogliamo giungere al punto?» sollecitò il conte di Saint-Germain.
«Il punto, sì» convenne Leopold, «ma il bambino ha le ginocchia che non lo reggono: piene di artrosi, a sei anni non sta in piedi e…»
«Leopold, decidetevi» rampognò Saint-Germain.
«Ebbene, in questo stato di martirio, in punto di morte, il figlio mio mi ha dettato quanto io, sgomento e terrorizzato, non posso esimermi dal definire la musica più sconvolgente di tutta la storia dell’umanità. Lasciate che ve la mostri» concluse Leopold, avviandosi verso lo scrittoio.
Il conte e Leclair si scambiarono uno sguardo d’intesa, il momento era arrivato.
Leopold squadernò i suoi appunti sullo scrittoio. Leclair afferrò subito i fogli e li portò a pochi centimetri dal naso; poi cominciò a canticchiare le note, prima piano, poi sempre più forte, infine, lasciando cadere gli spartiti a terra, si afferrò la testa tra le mani ed emise un lungo gemito.
«Maestro, vi sentite bene?» domandò il conte.
«Tutto questo è semplicemente insostenibile» soffiò Leclair.
«Vero, semplicemente insostenibile» approvò Leopold. «Dobbiamo nascondere queste note, celarle agli occhi di chi non è ancora in grado di comprenderle e anche di chi, in grado di comprenderle sin troppo bene, potrebbe distruggerle».
«Fino a quando il momento non sarà giunto, e poi diffonderle» confermò Leclair.
«Leopold! Non potete portare questi preziosissimi spartiti in viaggio con voi insieme al piccolo Mozart, vi ordino di consegnarmeli» ingiunse Saint-Germain.
«No» urlò Leclair, «voi conducete una vita troppo perigliosa, conte, me ne occuperò io. Saprò come celarli temporaneamente al mondo: la musica nasconderà la musica, abbiate fiducia, mi farò aiutare da un liutaio».
«Non se ne parla, gli spartiti verranno con me, a Parigi» s’oppose Saint-Germain.
«Conte, vogliate perdonarmi, voi avete salvato mio figlio e ve ne sono grato, ma io sono sicuro che un musico, un compositore come il qui presente maestro Leclair che io stesso ho testé visto perdere i sensi per la bellezza della composizione del mio piccolo… ecco, io, Leopold Mozart, a lui voglio e pretendo si affidino le note fatali».