Notte e giorno appresso a te

Monaco di Baviera, Castello dei duchi von Luckner, autunno 1763

Un colpo, forti strepiti, porte che sbattono.

Mi sveglio.

«Entweich, meine heimliche Liebe, flieh!»

La donna soffia parole, troppo rapide per il mio tedesco, ma non c’è bisogno di capire la grammatica.

Mi alzo rapido, e via verso il balcone; guardo giù, Pinuccia tiene i cavalli, grida:

«Sono arrivati Vena’! Buttati, che so’ cazzi se ci pigliano».

Poi mi volto ancora un istante, Leopoldine ha il viso contratto, il suo corpo ancora nudo, bianchissimo, bellissimo, il suo pelo biondo come i capelli della Madonna.

Mi manda un bacio e fugge da una porta.

E io salto.

«Copriti Venanzio, piglia il mantello».

Salto in groppa, so cavalcare io, e manco stanotte mi pigliano.

E via verso il parco del castello, Pinuccia mi segue, si sentono i cani, i sicari sparano, i lampi degli schioppi bagnano gli alberi di bagliori rossi.

Lo sento il duca von Luckner, urla inferocito.

E io rido, cavalco e rido come un pazzo.

«Forza Pinu’ che non ci pigliano manco ’sta volta» grido e rido: «dai Pinu’ frusta ’sto ciuccio».

«Frusto assorreta Vena’! Vaffanculo, ho paura!»

Pinuccia urla.

Ancora cani, e cavalli e schioppi.

Urla ancora:

«Ti sei addormito, strunzo!»

E io rido, rido, rido come un pazzo.

«Notte e giorno appresso a te a pararti il culo mentre ti fotti tutta la Baviera».

I cani sono lontani, il galoppo rallenta, i cavalli fumano dalle narici.

Sono nudo e il sudore dell’amore si è congelato sulla pelle, ma ho ancora in bocca e sulle dita il sapore della figa di Leopoldine.

Rido e urlo:

«Pinuccia me l’hai insegnato tu l’amore» il suo cavallo si accosta al mio e mi mangio la sua bocca bella di baci.

«Ti piace il gusto della duchessa Pinu’?»

Mi guarda, non dice niente, è arrabbiata.

Poi mi prende la faccia, mi bacia, mi bacia con tutta la sua passione; chiudo gli occhi e mi lascio visitare dalla sua lingua.

Una sberla, forte.

«Lo sai che mi piace, scimunito».

Un bacio, un bacio ancora.

«Sei tu che mi piaci Vena’».

Un altro bacio.

Lo sparo mi stordisce, un tuono nelle mie orecchie, mi attacco alla criniera, il cavallo scarta improvviso, cado nell’erba bagnata.

Pinuccia urla:

«Venanzio svelto, monta».

Sono scalzo, corro e scivolo, arrivano, li sento dietro di me; Pinuccia mi viene incontro col cavallo, il mio è lontano.

La voce feroce del duca von Luckner è vicinissima.

Mi volto, il duca sta in sella con lo schioppo, in tre mi arrivano addosso e il terrore mi fa salire in groppa al volo sul cavallo di Pinuccia.

Il primo mi afferra la gamba, mi tira, mi serro a Pinuccia, stringo la sella, mi attacco a tutto quello che posso per restare a cavallo; Pinuccia colpisce un servo con la frusta, lo colpisce ancora, sulle braccia, in faccia una, due, tre, quattro volte, poi parte.

Il servo cade a terra, gli altri montano a cavallo, ci sono dietro, il duca sembra un leone, le sue urla un ruggito.

L’uscita dalla proprietà del castello è vicina, siamo fuori dal bosco, nel lungo viale coperto di ghiaia che porta al cancello.

«Stringiti Venanzio che se cadi qui ti ammazzi».

Si sentono di nuovo i cani alla nostra destra.

«Vena’ se hanno chiuso il cancello siamo fottuti».

«Non me ne importa un cazzo di morire Pinu’ se sto con te».

«Vaffanculo Vena’, vaffanculo, vaffanculo, la dovevi far godere e scappare».

Urla.

«Non dormire!»

Frusta con forza il cavallo stremato.

«Godere e scappare stronzo, e io lì sotto a mangiare male e non dormire».

Sono nudo, ma non sento freddo.

Guardo dietro, abbiamo ancora qualche lunghezza di vantaggio; avanti, il cancello non si vede ancora, troppa nebbia.

I cavalli sulla ghiaia del viale sono in difficoltà, noi siamo leggeri, guadagniamo terreno.

Poi improvviso nella nebbia il cancello.

Chiuso.

Pinuccia sprona la bestia verso la cancellata.

«Ci ammazziamo, fermati, ci ammazziamo!»

«Ma non hai detto che non ti importava di morire se stavi con me? Stronzo!»

«E mo’ che facciamo?»

Dietro di noi il duca e i suoi tre sicari sembrano rallentare, la strada è chiusa, Pinuccia frena, siamo vicini alle sbarre di ferro.

Ridono e urlano.

Guardo il duca, spara in aria:

«Ora possiamo godere italiano, vedere se hai le palle o no» dice lo stronzo, e ancora ride.

Pinuccia si volta:

«Ridi ridi, tedesco cornuto di merda, la prossima volta me la scopo anch’io tua moglie».

E il cancello si apre.

Da solo.

Pinuccia strilla eccitata, guardo dietro, il duca e i suoi sono sgomenti, ma von Luckner urla e riparte furente.

«Ma cazzo, si sta aprendo da solo!» urlo.

I sicari riprendono l’inseguimento, il duca è vicino, troppo.

Ci siamo, superiamo il cancello e nel momento in cui passiamo, quello si richiude alle nostre spalle. Ci fermiamo a distanza di sicurezza e ci voltiamo a guardare: i sicari mollano il galoppo, il duca prova a frenare la corsa, le zampe posteriori del cavallo scivolano sulla ghiaia, la bestia pattina e impenna, sembra un balletto.

La fine è rovinosa: cavallo e cavaliere per terra, la bestia è ferita, il duca urla di dolore.

Poi i fantasmi.

Prima una fiamma verde sopra il muro di cinta, poi un’altra, anch’essa verde, sopra il muro ma dall’altra parte del cancello, e dietro di noi la terza.

Un uomo con una grande parrucca rossa ci supera a cavallo, ha una cappa bianca con pietre granata, nella destra una torcia.

«Vena’, sei protetto dagli spiriti, il principe di San Severo ti ha legato all’inferno, ora fai pane con i morti, la Maronna Venanzio, il fuoco della torcia è verde!»

Guardo in direzione delle altre fiamme, sono tutte verdi. Gli spettri in alto, sopra il muro, sono uguali a quello a cavallo.

«Ecco chi ha aperto e chiuso il cancello» mi sussurra Pinuccia.

«Chi?»

«L’anima dei tuoi morti, potessi essere acciso».

Silenzio.

Le fiamme verdi fanno un leggero movimento verso l’alto e quando ritornano in posizione i tre spettri urlano verso il duca:

«Misero, attendi se vuoi morir» perfettamente a tempo, stessa intonazione, stesso ritmo, stessi movimenti.

Perfetti.

I servi scappano, il duca urla, i cavalli scartano e nitriscono.

E io rido.

«Ma che cazzo ti ridi, scimunito».

«Che teatro Pinu’!»

«Ma che teatro, questi sono i demoni che hai in corpo».

Rimaniamo immobili, il duca cerca di caricare lo schioppo. Dallo spettro sopra il muro di destra parte un colpo.

Poi ancora in tre, all’unisono:

«Duca, torna a casa e impara ad amare, cuore di pietra».

Sento il tonfo sordo dello schioppo abbandonato sul selciato.

Il duca von Luckner ritorna con l’ultimo sicario nell’oscurità e scompare alla nostra vista.

Ora ho freddo.

I tre spettri si voltano verso di noi, il cuore batte fortissimo, tremo.

Lo spettro a cavallo si avvicina.

«La Stravaganza».

«Ecco la parola giusta, conte, Stravaganza» dice la seconda voce identica alla prima.

«Certo, la Stravaganza, conte, e con tutto il suo apparecchiamento di sinonimi» dice la terza.

«Lei, signor Rauzzini, è visitato dalla Stravaganza» urla il primo a cavallo, illuminato dalla fiamma verdastra, con la stessa voce degli altri due.

«O dallo… sghiribizzo».

«Dall’estro, certo!»

«Venanzio il musico castrato che visita e seduce le nobildonne bavaresi».

«Ah, briccone!»

«Seduttore!»

«Briccon!»

«La bizzarria e la stravaganza…»

«… Stravaganza e illogica eccentricità…»

«… Originalità, o bizzarra velleità?»

«Insensatezza, stranezza o curiosa mattana, si potrebbe definire…»

«… Ma se la pazzia, l’idea, la follia, insieme al…»

«… desiderio, amici miei, porta a dissennatezza o smaniosa fissazione…»

«… Balordaggine, strampaleria, demenza e ubbia…»

«… Non è stravaganza…»

«… Ma?»

Mi guardano.

Silenzio.

Non so cosa dire, cosa fare.

Continua quello a cavallo.

«Uff… non è stravaganza, ma?»

«Coraggio signor Rauzzini, usate la singolarità del vostro intelletto, concludete!»

Sto tremando e mi stringo a Pinuccia.

I due spettri sul muro saltano giù.

Nel buio ci sono i loro cavalli.

Si avvicinano, e io tremo di freddo.

Sono identici, il viso, la voce, i vestiti, i cavalli.

Mi fissano:

«Allora, ripetiamo».

«… Se un geniale…»

«… e bellissimo…»

«… castrato…»

«… s’incapriccia delle femmine e il suo desiderio si muta in…»

«… smaniosa fissazione…»

«… balordaggine, strampaleria, demenza e ubbia…»

«Non è stravaganza…»

«Ma?»

Pinuccia si gira, mi guarda, sussurra:

«Idiozia, dai ripeti, idiozia».

Mi sento uno stupido e provo:

«Idiozia?»

«Sì!»

Gridano i tre insieme.

«Idiozia!»

Si avvicinano, Pinuccia tira fuori un coltello, ridono.

«Nun me toccate che vi squarto».

«Signor Rauzzini» dice il primo, «ci aspettavamo un ringraziamento».

«… Una qualsivoglia parola a piacimento» dice il secondo.

«… Un inchino con smodato intento…» poi il terzo.

«… E invece la ragazza ci minaccia col pugnale…»

«… E con l’intento di far male».

Quello a sinistra, velocissimo, la disarma, poi si toglie la grande parrucca rossa e la lancia all’altro nel centro che brontola, cambiando il timbro di voce:

«Eh certo, intanto sono io che la arriccio, vero? Puoi avere un po’ più di cura dell’arte mia?»

«Piantala Marius!» ride lo spettro a destra e parla con una voce nuova.

Io guardo quello senza parrucca, è vicinissimo:

«Albert, dai una coperta al signor Rauzzini, il freddo non giova alla sua voce miracolosa». Poi volge il suo sguardo a Pinuccia.

«Quanto ti sei fatta bella» dice, con voce diversa e accento napoletano, «dammi un bacio Pinu’, da’ un bacio a tuo fratello Rocco».