Tagliandosi le labbra

Vienna, Castello di Schönbrunn, 1763

«L’iniziazione è una via stretta» affermò Raimondo di Sangro principe di San Severo, «una via stretta dai margini ridotti e obbligati, facile è muovere i primi passi, non altrettanto facile è procedere senza deviare ma, una volta deviato il cammino, perdersi nella foresta della notte sarà inevitabile quindi, signor Rauzzini, quello che io pretendo è la vostra assoluta determinazione, a costo della morte, naturalmente».

Venanzio chinò la testa in un cenno di silenzioso assenso.

«Sarete separato dal resto del mondo, quindi fatto transitare sul confine, infine reinserito; il superamento della soglia potrà essere molto doloroso, il passaggio simbolico della transizione può comportare modifiche corporali permanenti» avvertì il principe.

«Diciamo che ai momenti di transizione devastanti e alle modifiche corporali permanenti sono abituato, no? Chi meglio di voi dovrebbe saperlo?» rispose Venanzio alzando lo sguardo.

«È vero, sull’attraversamento del limen non c’è come un castrato che possa portare testimonianza. Tendo a dimenticare la vostra condizione fisiologica poiché in voi le classiche modificazioni fisiche dell’evirato non sono ancora così evidenti».

«Volete che mi abbassi i calzoni, principe?» lo sfidò il castrato.

«Faccio riferimento ad altre caratteristiche secondarie, come lo stomaco da cappone e la pesantezza del corpo, prerogative che sembra non vi caratterizzino».

«Per ora» provocò Rauzzini.

«Forse, semplicemente, un residuo sottile dello spirito maschile ancora pervade la vostra complessione; d’altra parte, come spiegare altrimenti l’impetuosità, il furore che può essere devastante come quello di un guerriero fornito di coglioni? È molto facile per chiunque dimenticare la vostra alchimia».

«È facile per chiunque, ma non per me. Vi posso assicurare, principe, non passa minuto che io non ricordi esattamente chi fossi e chi sono adesso, quanto mi è stato tolto, quanto mi è stato dato, quanto cavato e quanto donato, perché è pur vero che questa mia condizione è un privilegio».

«Il vostro corpo è materia trasformata, la castrazione è l’azione che modifica il vil metallo in oro e voi ne siete la prova. Pensate da dove venite, dalla miseria che costringe l’uomo a piegarsi sulla terra, e realizzate dove siete adesso: in una reggia, seduto davanti a un principe, parlandogli da pari».

Raimondo di Sangro si alzò, aprì la finestra di una delle 1441 stanze di diversa grandezza della reggia di Schönbrunn, respirò a fondo l’aria della notte, si girò e riprese posto:

«Quanto voi dite mi rallegra, la vostra consapevolezza, l’ammissione di avere avuto un regalo, e non solo una sottrazione, bene si avvicina alla comprensione alchemica».

«Lodevole il vostro parlare, ma a quando l’agire?» sollecitò il castrato.

«Signor Venanzio Rauzzini da Camerino, adesso vi dico perché siete qui» rispose il principe appoggiando entrambe le mani sull’impugnatura in ambra del suo lungo bastone. «Voi siete qui perché avvertite qualcosa che non riuscite a comprendere, sapete solo che c’è, lo sapete da quando avete infranto l’arcano del silenzio con la vostra voce, non capite di cosa si tratti, è un mistero, un tormento ostinato da perderci il senno. Voi sapete di che cosa sto parlando?»

«Di me stesso».

«Vi interessa sapere chi siete?»

Venanzio annuì.

«Voi siete Dio, voi siete in questa stanza e siete ovunque, voi siete quello che vedete affacciandovi alla finestra, ma quello che voi non siete è ciò che vi rimanderebbe la superficie di uno specchio, quello che voi non siete è la vostra immagine riflessa della quale vi compiacete chiamandola ‘io’, dimenticando la vostra vera natura che è divina, regale e comune a tutti gli uomini».

«Gli uomini non sono uguali, questa è la sola verità!» sfidò Venanzio piegandosi in avanti verso il principe.

«La verità, signor Rauzzini, è che voi siete il servo della vostra immagine riflessa; questa è la sola verità, e se volete andare oltre quell’immagine dovete decidere, e dovete farlo adesso».

Il principe di San Severo si voltò verso il tavolino dove erano appoggiati due bicchieri, un calice di finissimo cristallo contenente un liquido ambrato, l’altro di rozzo vetro soffiato dal bordo tagliente pieno di un respingente liquido verdastro. Raimondo di Sangro li afferrò entrambi:

«Il bicchiere prezioso contiene un eccellente vino liquoroso, che proviene dai miei vigneti irpini scaldati dal sole del Sud d’Italia; il bicchiere umile invece è pieno di un veleno dalle virtù straordinarie, letali per la parte dell’uomo che possedete ma, al tempo stesso, capace di farvi risorgere alla conoscenza».

Porse i bicchieri al Rauzzini.

«Liquido ambrato, e domani vi sveglierete nella vostra stanza appannato come dopo una sbronza; liquido verde e attraccherete sull’isola di Utopia, vedrete la perfezione del luogo felice e inesistente della vera essenza».

Venanzio Rauzzini allungò la mano, afferrò il bicchiere dal bordo affilato che conteneva il liquido verde e tracannò in un solo ingordo sorso, tagliandosi le labbra.